Vaccarini: L’architettura non richiede necessariamente più tempo, solo più attenzione
Base in Abruzzo. Trent’anni di attività, 40 opere costruite, 450 progettate, 10 partecipazioni a concorsi ogni anno
Da quasi trent’anni, dal 1993, è iniziata l’avventura dello studio Giovanni Vaccarini Architetti. Oltre trenta progetti costruiti, progettati oltre 450, «in questo rapporto – commenta l’architetto – si descrive l’enorme fatica che il nostro mestiere nasconde». L’ultima opera completata è un edificio residenziale a torre, che affaccia sul mare a Pescara. Si chiama Riviera107 ed è un “innesto”, un intervento di rigenerazione urbana in un tassello della conurbazione diffusa adriatica. «Un progetto in cui oltre a misurarsi con il tema dell’abitare post-pandemico abbiamo reinterpretato il tema dell’edificio a blocco isolato, la cosiddetta “palazzina”. Una tipologia anarchica per definizione – racconta Vaccarini – a cui abbiamo affiancato un forte ruolo urbano rivisitandone la struttura tipologia organizzata per fasce funzionali». Una sorta di sezione aperta mette gli interni in rapporto diretto e assoluto con la vista del litorale adriatico.
«Da subito abbiamo scelto di lavorare in Italia e in Abruzzo, ma con un raggio d’azione globale. In studio siamo in dieci, con ruoli, competenze e professionalità complementari. Un gruppo che è cresciuto nel tempo e che attiva altrettanti gruppi di lavoro in remoto». Vaccarini vive e lavora a Pescara, in una piccola Regione di circa 1,3 milioni di abitanti di cui circa la metà vive nell’area metropolitana Chieti-Pescara. «Nella mia Pescara – racconta – mi muovo a piedi o in bici, una bella dimensione per una buona qualità della vita».
C’è anche un risvolto della medaglia rispetto a questa condizione privilegiata della routine quotidiana?
Certamente, è legato alla dimensione allargata che il nostro mestiere richiede, che ci impone di renderci disponibili alla mobilità di medio e lungo raggio. In questo momento stiamo lavorando tra Abruzzo-Umbria e Riyadh. Proprio questo mix di prossimità differenti è la nostra condizione. E in quest’epoca post-pandemica siamo sempre più chiamati a gestire questa mescolanza, tra reale e virtuale.
In Abruzzo si trova l’ultima opera da voi costruita ma anche l’ultima gara che vi siete aggiudicati.
Da pochi giorni ci siamo aggiudicati il concorso per il nuovo istituto onnicomprensivo “Giovanni XXIII” di Avezzano. Un concorso in due fasi per la realizzazione di un edificio scolastico, una scuola-parco.
Sul tema della scuola è da un po’ che ci lavoriamo, cercando di aprire la scuola al territorio in cui si insedia. La scuola è il fulcro attorno al quale ruota la vita della comunità, oltre alla formazione, vi si annodano relazioni, si fa sport, si sperimenta la vita di relazione che poi trasferiamo nelle professioni e nelle famiglie.
Mediamente, a quante gare e concorsi partecipate come studio, ogni anno?
Generalmente partecipiamo a circa dieci concorsi di architettura ogni anno, mentre facciamo molte più gare, in media tre o quattro al mese. I concorsi di architettura, senz’altro, sono molto più lunghi ed “energivori”.
Come giustifichi la fiducia nel sistema dei concorsi, nonostante le note difficoltà?
Rimane uno dei dispositivi di accesso alle commesse: una buona quota dei nostri progetti sono figli del buon esito di un concorso di architettura (pubblico o privato). Il concorso è anche lo strumento che ci permette di confrontarci e di misurare costantemente le nostre capacità di ideazione e progettazione, e racconto.
Per questo, malgrado tutto, continuo a pensare che siano uno strumento utile e necessario per innalzare il livello del confronto tra progettisti e committenti. Non certo l’unico, e non certo perfetto.
I filoni di maggior interesse del vostro studio?
L’energia da fonti rinnovabili. Le residenze, quelle pluripiano di pregio e il social housing. Gli spazi per il lavoro e il tempo libero.
Un progetto rappresentativo del primo tema?
Powerbarn, a Ravenna: un esempio virtuoso di integrazione di paesaggio, architettura ed agro-energia.
Un tuo giudizio sulla leva del Pnrr?
Le risorse europee saranno un’opportunità unica per ripensare edifici, spazi pubblici, modi per lavorare e stare insieme. Se non utilizziamo questa opportunità al meglio impiegando le migliori competenze e conoscenze dei vari settori, le sprecheremo. Sarebbe ottuso cadere nella trappola dell’emergenza per semplificare. L’architettura non richiede necessariamente più tempo, richiede solo più attenzione.
In copertina: Powerbarn, Ravenna. Giovanni Vaccarini Architetti. Ph. @Massimo Crivellari
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