01-02-2013 Paola Pierotti 1 minuti

Sostenibilità e paura. C’è dell’architettura che condivide e ce n’è altra che comunica

Peluffo (5+1AA) attacca la "vegetecture" e la scelta di puntare su eliche o alberi aggiunti sui balconi

"Nessun edificio può essere così debole da aver bisogno di rappresentare una presa di coscienza ecologica ormai ovvia e inevitabile"

Gianluca Peluffo

“Quando l’architettura decide di piegare verso la ‘comunicazione’ piuttosto che puntare alla ‘condivisione’, inevitabilmente banalizza i suoi contenuti”. Gianluca Peluffo, socio dello studio genovese 5+1AA – intervenuto alla presentazione di un volume curato da Carmen Andriani “Le forme del cemento” (Aitec – Gangemi) dedicato al rapporto tra cemento e sostenibilità – ha concentrato la sua attenzione sulla differenza tra condivisione e comunicazione. “E’ un modo diverso di rappresentare” ha detto Peluffo.

“Nessun edificio può essere così debole da aver bisogno di rappresentare una presa di coscienza ecologica ormai ovvia e inevitabile”.

Se lo scopo dell’architetto è quello di condividere bellezza, il suo mestiere non può essere che quello del dialogo. "E se l’architettura non può prescindere dalla sua corporeità (a volte forte o anche violenta) sembra strano – dice Peluffo – che l’evoluzione linguistica degli edifici ecologici abbia portato a separare in modo netto la struttura e l’involucro dell’edificio". Le migliori ricerche tecnologiche si sono tradotte in invenzioni di pelli che annullano il dialogo tra la facciata dell’edificio e il suo carattere interno. Involucri che dialogano più con il mondo esterno che con lo spazio interno.

Gli effetti di un’architettura che vuole dichiarare di saper rispondere alla domanda di sostenibilità sono anche le eliche e gli alberi aggiunti sui balconi, sono le facciate-grigliate che rivestono contenitori che ospitano qualsiasi funzione (da hotel ad aeroporti), ma anche quella che è diventata una nuova moda, la “vegetecture”.
 

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Paola Pierotti
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