Rigenerazione e housing sociale, la via romana all’emergenza casa

26-11-2024 Aurora Lo Casto 4 minuti

Mondo del real estate insieme alla politica per nuove politiche abitative. Zevi: nella Capitale un fabbisogno di circa 170mila unità.

Come trasformare l’assetto abitativo della Capitale, ma soprattutto come contrastare l’emergenza casa? Sono le domande a cui Tobia Zevi, assessore al Patrimonio e Politiche abitative di Roma Capitale, insieme a esperti di edilizia e imprenditori del settore immobiliare hanno cercato di dare risposta durante la tavola rotonda organizzata da Aspesi. Per l’assessore capitolino il segreto sta nelle locuzioni: rigenerazione urbana, housing sociale, senior housing e studentati. E un alert imprescindibile: stop al consumo di suolo. Con il peso del vuoto normativo e una fragile partnership pubblico-privato.

Il tema è caldo e se la crisi degli alloggi nelle città sarebbe per alcuni un fallimento del mercato dovuto alla carenza di offerta, per altri è una crisi di abbordabilità, dovuta cioè alla sproporzione tra il costo delle abitazioni nel mercato e le risorse disponibili in termini di redditi e salari.


Al centro dell’emergenza non sono più solo i meno abbienti, ma il ceto medio. La conseguenza: l’espulsione di individui e famiglie e la difficoltà di mettere in pratica la mobilità lavorativa.


«Il fabbisogno di nuove abitazioni a Roma per il prossimo decennio è di circa 170mila unità, suddivise tra case popolari, housing sociale e mercato libero», precisa l’assessore. Tuttavia, l’emergenza abitativa della Capitale è aggravata dal fatto che solo il 6% delle case popolari della città è disponibile, una percentuale ben al di sotto della media europea, dove città come Parigi e Berlino superano il 20%. Se da un lato Roma ha una forte propensione alla proprietà privata (oltre il 70% degli immobili), dall’altro lato la domanda di alloggi è in costante aumento, tanto che le persone che vivono in affitto si trovano sempre più spesso in difficoltà.

Ad aggravare la situazione contribuisce anche il segmento intermedio del mercato, cioè quella fascia di persone che non riesce a rientrare né nell’housing sociale né nel mercato libero. «Questa fascia di popolazione, che include famiglie e giovani, è la più trascurata.


I figli sono un coefficiente diretto di povertà e di impossibilità ad avere una casa. L’idea che una città in cui chi ha figli non ha una casa è una città che ha rinunciato al futuro. Il dato della povertà e il dato anagrafico vanno di pari passo: più giovani più poveri, più anziani più ricchi», afferma Zevi.


Fondamentale è la riflessione su come riqualificare le aree urbane che oggi sembrano aver perso la loro funzione originale. «Alcuni edifici, come alcune scuole, che non sono più adeguati ai bisogni contemporanei, cioè non sono più in grado di svolgere il loro ruolo, necessitano di una trasformazione. Ci sono casi, infatti, in cui è più sensato ripensare il loro utilizzo o, in alcuni casi, trovare nuove destinazioni. In questo contesto, il principio della sostenibilità è il fil rouge da applicare nella costruzione di un’alternativa dell’abitare, mentre l’impatto che ciascuno progetto avrà sulla comunità è la domanda maestra prima di iniziare ogni progetto di trasformazione», prosegue Zevi.

In questo processo, non è sufficiente l’impegno del settore pubblico o privato da solo; è necessario che vi sia una sinergia tra tutti gli attori coinvolti, dai professionisti agli amministratori, per sviluppare soluzioni condivise, ricette differenti. A Napoli, sì è scelto di abbattere le vele di Scampia, mentre a Roma si è optato per la ricostruzione di Tor Bella Monaca.

«Nel Lazio, il Piano casa prevedeva di cedere alloggi sociali a soli 5 euro al metro quadrato. Un’iniziativa che però non ha avuto successo», spiega Walter Macchi, ceo di Bmstudio. Oggi, la realtà è che i fondi sono insufficienti. Ma l’obiettivo comune deve essere far tornare l’Italia un Paese che offre housing sociale a basso costo a chi non può permetterselo. Per questo non c’è scampo ne futuro senza partenariato pubblico-privato.

Secondo uno studio fatto nella propria società, Bioedil, Renato Guidi afferma che «Il quartiere Bastogi ha circa 600 famiglie che vivono in estremo degrado, in edifici che sono dei residences, con tutto un sistema impiantistico inadeguato alle funzioni attuali. In quest’area casualmente stanno nascendo attività importanti e l’amministrazione ha dato un grande segnale prevedendo il prolungamento della metropolitana. Il nostro progetto prevede oltre a interventi di edilizia libera e sociale, anche tutta una serie di servizi, come mercati, centri sportivi, collegamenti stradali, scuole, parcheggi, che farebbero collegare l’area a tutto il sistema urbanistico. È un intervento importantissimo di sviluppo rigenerativo ma anche sociale, di lunga durata, pensato demolendo le case vecchie e costruendo le case nuove», conclude.

Uno degli aspetti più discussi durante il convegno riguarda il senior housing, un settore ancora poco sviluppato in Italia ma che sta acquisendo sempre maggiore importanza. «Il senior housing è una sfida sia culturale che progettuale», spiega l’assessore Zevi. «Non si tratta solo di costruire case per anziani, ma di creare spazi abitativi che siano anche luoghi di socializzazione e di qualità della vita».

Anche gli studentati sono al centro dell’attenzione, soprattutto in vista dell’aumento del numero di studenti universitari provenienti da altre città. Tuttavia, le difficoltà legislative e burocratiche spesso rallentano la costruzione di nuovi alloggi. L’intervento privato è fondamentale in questo settore, ma sono necessari ulteriori incentivi per permettere alle imprese di sviluppare progetti a lungo termine.

 

In copertina: Aerial view of the main street of the Pigneto district in Rome, Italy ©Stefano Tammaro

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Aurora Lo Casto
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