27-09-2024 Maria Racioppi 4 minuti

Riappropriarsi dello spazio pubblico: la sfida delle città del futuro

Al Festival del Pensare contemporaneo di Piacenza il dialogo tra Molinari, Granata e Testa di Confcommercio

Servono “patti spaziali”, bisogna riunire le comunità nello spazio fisico, nello spazio pubblico, per costruire patti intergenerazionali che guardano avanti. In questo accordo, le amministrazioni hanno il privilegio e la responsabilità della visione, perché senza visione politica non c’è programmazione
Luca Molinari

Placemaking e progetto di architettura, quale relazione per una città di valore e qualità? Quali sono i catalizzatori delle trasformazioni urbane, chi sono i protagonisti, e quali i casi virtuosi di crescita e rinascita in Italia? E le sfide post iniezione europea (con il Pnrr) per attivare rapporti sinergici tra pubblico e privato? Ancora, quali ruoli e responsabilità hanno i progettisti? In occasione del festival del Pensare contemporaneo, tenutosi a Piacenza dal 19 al 23 settembre, l’urbanista e docente del Politecnico di Milano Elena Granata, il curatore, critico e ordinario di Teoria e progettazione architettonica all’Università Luigi Vanvitelli di Caserta Luca Molinari e il responsabile del settore urbanistica e rigenerazione urbana di Confcommercio Paolo Testa si sono confrontati sul tema “Come cambiano le città. Scoprire e vivere diversamente gli spazi urbani” nell’ambito di un’iniziativa coordinata da PPAN. Partendo da loro recenti pubblicazioni, i tre relatori hanno portato esperienze e punti di vista sulla città, utili a tracciare un quadro sul cambiamento in essere.

Tutti in linea sull’impegno a non consumare suolo, ridando centralità al progetto. «Le città costruite non devono essere aumentate, ma hanno tutti gli ingredienti per essere ripensate – commenta Molinari –. Le comunità hanno gli strumenti per dialogare e partecipare, e le committenze e le amministrazioni stanno generazionalmente cambiando, realizzando che gli strumenti a disposizione spesso sono incompleti».


«Questo è un momento straordinario, perché siamo di fronte a sfide in cui il progetto, che è immaginazione, sarà determinante», aggiunge.


La marcata dicotomia tra l’attività finanziaria promossa dai fondi immobiliari e le regole non attualizzate a cui si devono attenere le Pa, sostenuta da Molinari e supportata dalla lettura di Elena Granata, esprime differenti e contrapposti interessi in campo nella gestione dello spazio pubblico, quindi, tra la privatizzazione e il tentativo di garantire un possibile accesso gratuito al bene comune. A questa si contrappone una nuova visione circolare, dove i cittadini acquisiscono un ruolo attivo. In campo tra i placemaker ci sono reti di associazioni, cittadini e comunità che iniziano a riconoscersi nello spazio pubblico e con nuove istanze considerare in vista della rigenerazione di luoghi a lungo abbandonati. «Il progetto è una forma di fiducia nel futuro, è un gesto di generosità perché per definizione si proietta in avanti, è guardare qualcosa che ancora non c’è. Questo è il compito dell’architettura. Il progettista non è più figura singola, ma fa parte di un team di professionisti che contribuisce collettivamente» prosegue il critico milanese. La circolarità impone un rinnovato ragionamento sulla variabile tempo, «mai così urgente e drammatico come quello di ora» conclude.

Dalla sua, Granata traccia l’identikit dei placemaker come persone impegnate per il bene comune, indipendentemente dal loro ruolo istituzionale, «l’Italia è piena di chi si impegna a vario titolo, sconfinando, traguardando, andando oltre il compito istituzionale per prendersi cura del territorio, del paesaggio e dei beni comuni» dice.

Le pratiche positive in Italia, il rapporto sinergico e virtuoso con l’amministrazione. Non mancano Pa che si fanno promotrici di pratiche di rigenerazione urbana. Paolo Testa, che ha guidato per anni il centro studi Anci, racconta l’esperienza “Cities (Città, terziario e socialità – per approfondimenti video 1 e video 2)”, promossa da Confcommercio con alcuni cantieri pilota. L’idea è quella di una città come “laboratorio del cambiamento”, come piattaforma di conoscenza multidisciplinare tesa a migliorare i centri urbani e sostenere le economie di prossimità. Testa a Piacenza riporta a titolo di esempio l’esperienza di Bari dove «strumenti finanziari pubblici (con i fondi Pon Metro) hanno aiutato le imprese ad avere impatto diretto sulla comunità: piccole attività commerciali si sono attivate con iniziative di coinvolgimento allargato. Un negozio di abbigliamento per bambini ha introdotto il corso alla genitorialità mentre un parrucchiere ha attivato un corso per make-up per malati oncologici. Esperienze pilota che la Pa sta cercando di consolidare con policy mirate» racconta Testa alla platea del festival che in questa edizione si è concentrato sul tema della “meraviglia”.

E il ruolo dell’architettura? Molinari chiosa ricordando che «l’architettura oggi corrisponde a un asset finanziario» e apre il dibattito su dove stia la responsabilità politica nella costruzione della città, sul ruolo degli amministratori e dei progettisti. «L’architettura è materia e speranza, insieme. La speranza – dice Molinari – è un driver che ci insegna a progettare. Servono “patti spaziali”, bisogna riunire le comunità nello spazio fisico, nello spazio pubblico, per costruire patti intergenerazionali che guardano avanti. In questo accordo, le amministrazioni hanno il privilegio e la responsabilità della visione, perché senza visione politica non c’è programmazione» conclude Molinari.


«Il progetto è una visione sul mondo, il progetto è politica. Fare architettura vuol dire quindi fare politica»


Prossimità e spazio pubblico. Da più voci l’appello affinché si consolidi una visione comunitaria della vitalità urbana e lo spazio pubblico torni al centro dell’agenda politica. «L’Italia è sempre stata promotrice della vita di prossimità, nelle città italiane sono state inventate la qualità urbana, la prossimità, la città dei 15 minuti, prima ancora del dibattito animato da Carlos Moreno negli anni della pandemia. Attualmente l’idea straordinaria di civitas sta subendo l’oppressione del sistema capitalista che lavora sullo spazio pubblico con altre intenzioni, privatizzandolo» l’appunto di Elena Granata che con Testa si è confrontata sulla questione della “gratuità” degli spazi pubblici da considerare però in relazione alla necessità di «mantenere e gestire nel tempo i beni comuni».


«Questa urbanità è qualcosa che dobbiamo difendere, rivendicare. Oggi sempre di più la città ha interiorizzato l’idea che se non consumi non la abiti» chiosa Granata.


In copertina: ©pensarecontemporaneo.it

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Maria Racioppi
Articoli Correlati
  • A Milano servono più case, vincoli meno stretti sull’edilizia sociale

  • Dalla città invisibile, linee di indirizzo per una politica pubblica che guarda al futuro

  • Piano casa-lavoratori, una delle ricette per l’emergenza abitativa

  • Orizzonti per le città di domani, il punto al Forum di Rapallo