Olivetti a Ivrea, con Zucchi per continuare ad ispirare le prossime generazioni

28-10-2022 Paola Pierotti | Valentina Iozzi 6 minuti

Recupero e valorizzazione delle Officine Ico. La sfida: 45mila mq con un nuovo mixed use

Ivrea è patrimonio Unesco dal 2018. Una città di medie dimensioni resa nota nel Novecento dal suo polo industriale, e in particolare dall’attività imprenditoriale di Camillo Olivetti. Un esempio di architettura industriale diffusa, che ha visto impegnati i migliori architetti del tempo. Un laboratorio che ancora oggi è pronto a scommettere su un ambiente che sintetizza il lavoro e la tensione umanistica. «Quella di Olivetti – racconta Cino Zucchi – è una lezione globale e oggi, grazie al proprio patrimonio architettonico, Ivrea può diventare un centro culturale capace di ispirare le generazioni del presente e del futuro». Era un luogo di lavoro che non aveva come obiettivo solo la produzione, «ma che puntava a mettere le persone al centro. Dobbiamo uscire da una logica nostalgica e guardare al futuro di questa città», continua.

Lo studio Cino Zucchi Architetti è stato coinvolto nella città piemontese per la riqualificazione delle Officine Ico, uno degli edifici vincolati, dove già altri architetti della corrente razionalista, come Luigi Figini e Gino Pollini sono intervenuti per i primi ampliamenti. Le Officine sono l’avatar di “Ivrea, città industriale del XX secolo” costruite in un lungo arco temporale dal 1898 al 1958. Hanno ospitano la produzione Olivetti fino al 1955; con il decentramento produttivo che investe prima l’area di San Bernardo (dal 1954) e poi di Scarmagno (dal 1962), hanno ospitato uffici e laboratori fino al 1997.

«L’architettura della fabbrica non era solo sinonimo di industria, ma anche di una nuova etica basata sul lavoro collettivo». Da qui le scelte di mantenere inalterate alcune parti storiche dell’edificio e di riqualificare invece le aree chiamate ad accogliere nuove funzioni. Tra le altre il mantenimento dell’ingresso originale «con lo storico pino». L’architetto milanese sottolinea come lo studio del manufatto pre-intervento sia stato lungo e meticoloso e che solo grazie a moderne tecnologie si sia riusciti a risalire a tutte le minime superfetazioni e difformità.

Il gruppo Icona, composto da una ventina di imprenditori interessati a stimolare energie creative nella zona, guidati dal presidente Andrea Ardissone, ha affidato allo studio guidato da Cino Zucchi la rigenerazione dei 45mila metri quadri delle Officine Ico, per ospitare nuovi spazi in coworking, sedi di aziende impegnate in ricerche tecnologiche avanzate, spazi sociali per i cittadini, la nuova sede del Laboratorio-museo Tecnologicamente, l’info point Unesco che introdurrà i visitatori all’intero complesso, un ristorante e luoghi sociali per il pubblico.

Vi è, dunque, l’idea comune che il territorio di Ivrea torni ad essere attrattivo per l’insediamento di nuove aziende e nuove realtà.

«Ma perché gli spazi industriali piacciono così tanto?». Zucchi condivide il suo punto di vista partecipando all’evento organizzato dalla Sapienza di Roma (dove sono stati protagonisti altri architetti italiani e dove non sono mancati approfondimenti internazionali dedicati al rapporto tra città e cultura) sottolineando che «questi luoghi danno la possibilità e la flessibilità di lavorare con essi e viverli senza eccessive prescrizioni». Il riferimento è al restaurato Salone 2000, dove Adriano Olivetti teneva i discorsi ai dipendenti, che diventa un luogo per eventi di nuova generazione, trasformando la Ico in un catalizzatore dell’eredità di Olivetti e incubatore per nuove forme di apprendimento e ricerca capaci di competere in uno scenario globale difficile e incerto. Oggi la tecnologia ha cambiato il nostro spazio e anche il nostro approccio al lavoro e per questo motivo questi spazi si prestano ad essere flessibili per una nuova vita».

Living Heritage. Questo è il messaggio di Zucchi ricordando che l’Italia è da sempre in prima linea per gli aspetti che riguardano la conservazione del patrimonio esistente, ma quello di cui ci siamo resi conto di recente è che «è più difficile recuperare e restaurare delle piastrelle in vetro cemento proveniente da un’architettura moderna, piuttosto che un intonaco del Palladio. Ridare nuova vita ai luoghi è il miglior modo per trasmetterli» sostiene l’architetto.

Con l’auspicio di riuscire a tornare in possesso di tali edifici, Icona non ha adottato una via prettamente immobiliare, ma un vero e proprio progetto di rigenerazione urbana che passa per nuovi modi di fare impresa e che aiuta a guardare al futuro e all’heritage del territorio. L’architetto Zucchi sostiene che il tema principale, in sintesi, sia quello di aprire questo manufatto ad una nuova vita che sarà multifunzionale. Una vita dove sarà presente una mixitè di interazioni.

Da un paio d’anni è stato aperto un visitor center dell’Unesco e istituita un’impresa sociale che si occupa della progettazione dell’animazione e della vita culturale. «Dopo 4 anni, la prima fase di rigenerazione e progettazione del masterplan è conclusa. Si sta già pensando alle aziende che verranno insediate sotto la luce dell’innovazione e della tecnologia».


Il piano ambizioso ha bisogno di gambe e di fiducia per decollare. Ivrea non può «vivere solo nella nostalgia di un passato glorioso, piuttosto interpretarlo come fiducia nel futuro» aggiunge l’architetto Zucchi.


Il dibattito sulla conservazione, il recupero e la sua fruizione è aperto. Paolo Galuzzi, architetto e Ordinario al dipartimento Pianificazione, design, tecnologia dell’architettura alla Sapienza e coordinatore di questo focus, riassumendo le dinamiche che hanno portato Ivrea ad essere patrimonio dell’Unesco, ha sottolineato: «Bisogna parlare di patrimonio materiale dell’Olivetti. Con riferimento diretto alle persone che hanno vissuto questo ambiente e che sono i veri eredi di questa città». La città di Ivrea non deve essere un caso di studio solo perché è patrimonio, ma perché rappresenta un’idea innovativa di welfare e di progetto materiale. Come fare di questo luogo uno spazio accogliente, con condizioni di micro-clima coerenti con la domanda e le aspettative? Come continuare il lavoro avviato negli anni, adattandola a come cambiava il lavoro? Come fare di questo laboratorio un palinsesto che farà letteratura?

Quale rapporto tra le regole della conservazione rigorosa e la sostenibilità nel tempo? Queste le domande di Galuzzi dando il senso del lavoro di Cino Zucchi Architetti.

Nel dibattito organizzato alla Sapienza, dove è stata allestita una mostra ‘Ivrea moderna, immagini, piani e progetti’, è intervenuto anche Renato Lavarini, coordinatore del piano di gestione del sito Unesco che, ricordando il lavoro fatto per la candidatura e le difficoltà riscontrate come ‘l’Heritage impact assesment’ non previsto dalla normativa italiana, ha sottolineato il fatto che la maggior parte degli edifici interessati dal processo sia di natura privata.

Enrico Giacopelli, progettista del museo a cielo aperto dell’architettura moderna ad Ivrea ha elencato altri nodi relativi ad esempio «alla rigenerazione di tali complessi, considerando il riuso di edifici così grandi, la difficoltà di catalogare e caratterizzare i singoli materiali, l’ardua scelta di sostituire le parti originali di facciata che non sono più ritenute ottimali, la riconversione in funzioni totalmente diverse dalle precedenti». Non ultima la riflessione sulla trasmissione del materiale e del ricordo di questo laboratorio da mantenere vivo e aggiornato, per le future generazioni.

Tanti i livelli che Icona vuole considerare nello sviluppo di questa riconversione: il piano sociale e quello industriale, coniugando la funzionalità e gli usi con la cultura, tutto in stretta correlazione attraverso percorsi di innovazione, per dare un futuro all’eredità.

Foto di copertina ©Ministero Cultura

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Paola Pierotti
Valentina Iozzi
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