02-12-2017 Paola Pierotti 5 minuti

L’oscar dell’architettura italiana del 2017 a Caravatti con un progetto in Mali

Il giovane talento dell’anno è Elisabetta Gabrielli. Menzioni a Markus Scherer e C+S, oscar alla carriera a Cino Zucchi

"Legge per l'architettura? Bisogna cambiare passo con gli strumenti costituzionali, legislativi, economici, proporre una riflessione complessiva e più coerente che guardi ai beni comuni, affinchè tutti possano godere dei benefici"

Paolo Baratta

Caravatti Caravatti Architetti ha vinto il Premio Architetto italiano 2017. Per la quinta edizione dell’iniziativa promossa dal Consiglio Nazionale degli Architetti il riconoscimento ai professionisti, che si ritiene rappresentino un’eccellenza nel Paese, è stato assegnato a Emilio Caravatti, Matteo Caravatti, Chiara Gugliotta e Elena Verri. Un’architettura autentica quella proposta dallo studio monzese e, secondo le motivazioni della giuria presieduta da Andreas Kipar, “rispettosa non solo dei luoghi, ma anche dei contesti sociali nei quali si inserisce”. Esempio emblematico ne è il progetto Jigiya So’, un centro di riabilitazione psicomotorio realizzato a Katì, nella Repubblica del Mali “dove con poche risorse disponibili è stata realizzata una architettura essenziale, capace di dare forma ad una funzione nobile come quella del Centro”.

Per lo studio Caravatti le parole chiave del lavoro di un architetto sono ‘comunità’, perché per quella si sviluppano i progetti, e ‘responsabilità’ perché ci si prende carico di una questione per dare un contributo attivo per la collettività. “Nel nostro percorso professionale abbiamo portato i nostri studenti del Politecnico a lavorare con i detenuti, organizzato laboratori con i bambini e gli anziani insieme – racconta Emilio Caravatti– abbiamo lavorato sul tema della collaborazione con le persone, pensando al processo e non solo al prodotto finale. È vero che la politica genera e determina i luoghi, ma è vero anche che i luoghi possono determinare la politica”.

A Elisabetta Gabrielli è stato assegnato il Premio Giovane Talento dell’Architettura 2017 per il progetto del Molo di Askim – Goteborg, oltre ad una menzione per il tema degli spazi pubblici. Un tema quello del molo, “molto importante per il rapporto tra terraferma e acqua, un approfondimento della connessione tra natura e cultura approcciato in maniera architettonica, senza mai dimenticare la funzione sociale dell’architettura” ha spiegato Kipar.

“Una sorta di Oscar alla carriera”, così è stata definita dalla giuria la Menzione Speciale che è stata assegnata a Cino Zucchi “quale grande interprete dell’architettura del novecento italiano che con la sua proposta progettuale per il nuovo centro direzionale della Lavazza a Torino riesce a stabilire un equilibrato rapporto tra il tessuto esistente e la nuova architettura inserita”. Il progetto mostra, infatti, grande attenzione per la storia della città e del quartiere, così come per la storia e la cultura dell’azienda.

Sono state anche assegnate una serie di Menzioni d’Onore. Per la categoria “Opere di restauro o recupero” a Markus Scherer per il progetto di restauro e recupero del Corpo “C” del Forte di Fortezza (BZ); allo studio C+S, di Carlo Cappai, Maria Alessandra Segantini per Aequilibrium 15th, installazione disegnata per la 15a Biennale di Architettura di Venezia per la categoria ‘Opere di allestimento o di interni’; mentre il progetto del Molo di Askim – Goteborg vincitore del “Premio Giovane Talento dell’Architettura 2017” ha ricevuto anche la Menzione d’Onore per la categoria “Opere su spazi aperti, infrastrutture e paesaggio’.

La Festa dell’Architetto 2017 è stata anche caratterizzata dalla consegna del riconoscimento di “Architetto Onorario” a Paolo Baratta, Presidente della Biennale di Venezia, per il prestigio mondiale della Biennale di Architettura quale vetrina per celebrare il contributo reale e duraturo che l’architettura di qualità offre all’umanità. In questo occasione il Consiglio Nazionale degli Architetti ha acceso un faro sulla legge per l’architettura rispetto alla quale lo stesso Baratta è intervenuto ricordando che “La legge per l’architettura non è da pensare come uno strumento capace di far apparire una dea sperduta nell’isola. È una legge particolare e specifica, si fa riferimento alle modalità con cui si fanno gli appalti per le opere pubbliche. Questa legge – ha commentato il Presidente della Biennale di Venezia – ha bisogno di un contesto e deve essere puntuale, deve ad esempio incentivare lo strumento del concorso, contrastando ad esempio forme false di competizioni come sono a volte i concorsi di idee, dove le proposte muoiono nel nulla. Questa legge deve far in modo che progetti di qualità diventino realtà”. Baratta si è concentrato sul tema delle opere pubbliche, sostenendo che “la legge andrà inserita in un contesto di innovazione più generale. Siamo nell’epoca del non consumo di suolo – ha ribadito – non c’è nulla da conquistare, il nostro futuro riguarderà il lavoro in un territorio già urbanizzato. I Piani Casa sono l’ultimo spiccio di un’epoca passata, un tassello di un tempo infelice. Bisogna cambiare passo con gli strumenti costituzionali, legislativi, economici, proporre una riflessione complessiva e più coerente che guardi ai beni comuni, affinchè tutti possano godere dei benefici”. 

Baratta, ritirando il premio del Consiglio Nazionale degli Architetti presieduto da Giuseppe Cappochin, ha ricordato il suo impegno con la Mostra d'Architettura della Biennale di Venezia. "Ci pare che nel tempo si sia determinato un crescente scollamento tra l'architettura e la società civile. Ci interessa l'architettura – ha precisato – e ci preoccupa la sua assenza nel pubblico e nel privato". Baratta ha ribadito un'osservazione che da tempo porta avanti nell'ambito della Biennale: "l'architettura come disciplina, ma anche come arte civile e politica sembra in ombra". Baratta ha ricordato ancora il valore dei beni pubblici, in un contesto dove sembra essersi perso il desiderio di qualità e in un tempo di delusione generale nei confronti delle istituzioni. "Di fronte ai pericoli delle ipersemplificazioni – ha suggerito – occorre un vero riarmo culturale, anche per ripristinare la fiducia, che sola può far funzionare i sistemi con cui governiamo presente e futuro".

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Paola Pierotti
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