21-05-2024 Chiara Brivio 6 minuti

Le ingegnerie in campo per la rigenerazione urbana

Dalla Toscana prende il via l’alleanza tra Cni e Anci

Dati (dalla raccolta, alla strutturazione al loro utilizzo), partnership pubblico-privata, competenze, ruolo del governo del territorio in relazione alla rigenerazione urbana. Sono questi solo alcuni dei temi emersi dalla giornata di studi organizzata dal Consiglio nazionale degli ingegneri (Cni) e dalla sia Fondazione dal titolo “Traiettorie Urbane e Territoriali – Esperienze di rigenerazione urbana”, tenutasi il 20 maggio a Prato. Un evento che ha visto la firma del protocollo d’intesa che il Cni ha recentemente siglato con l’Associazione nazionale Comuni italiani (Anci) e che si va ad aggiungere ad un altro accordo che gli Ordini professionali hanno stretto proprio pochi giorni fa con l’Agenzia del Demanio su un altro tema caldo, quello della riqualificazione degli immobili pubblici. Un protocollo che si fonda su diverse azioni – tra le quali divulgare nella maniera più appropriata le informazioni e sensibilizzare le amministrazioni rispetto a questi temi, l’analisi normativa, e la promozione delle evoluzioni tecniche e delle buone pratiche –, e che potrebbe diventare un utile strumento al servizio dei Comuni più piccoli che devono orientarsi e agire, e che spesso non hanno le competenze necessarie per farlo.

Ma sono tanti gli spunti emersi a Prato, dove al centro della discussione è stato il tema del ripensamento della pianificazione urbana delle nostre città anche da un punto di vista normativo, alla luce anche delle sfide del cambiamento climatico e delle direttive europee sulla decarbonizzazione. Un evento che ha visto anche porre l’accento sulla riforma del Testo unico per l’edilizia, che ha ricevuto un consenso unanime, anche se con modalità diverse, che permetta il superamento delle leggi 1444 del 1968 e 1150 del 1942 (tema affrontato dal Censu e degli Ordini professionali), che ancora oggi regolamentano l’urbanistica in Italia e che sono oramai disallineate rispetto alle necessità della pianificazione odierna (e il cui titolo quinto è alla radice del recente scontro tra la magistratura e il Comune di Milano in tema edilizia).

Proprio su questo tema è intervenuta Erica Mazzetti, membro dell’VIII commissione parlamentare ambiente, territorio e lavori pubblici, spigando come: «dal mio punto di vista, credo che il settore debba partire da una legge madre, il Testo unico edilizia, perché quello del 2001 è troppo vecchio e necessita di modifiche. Dovrà essere un vero codice unico, con principi identici per tutto il territorio nazionale, e con una legge delega quadro per tutti. Il testo dovrebbe comprendere norme e regole per la rigenerazione – che è una cosa diversa da quanto fatto negli ultimi anni, è ripensare un intero quartiere – e che non è solo urbana, ma anche socio-economica. Un altro conflitto da risolvere – ha poi aggiunto – è quello che riguarda il capitolo quinto, con il quale le competenze sono passate alle Regioni, creando confusione, ripercussioni sulle opere o impugnazioni.» E se in Senato la proposta ha già iniziato il suo iter parlamentare, Mazzetti si augura che «si arrivi a un testo con norme chiare e applicabili».


Infine, ha annunciato la formazione di un nuovo gruppo interparlamentare, chiamato Progetto Italia, nel cui comitato scientifico siedono anche i Consigli nazionali degli ingegneri e degli architetti.


Il tema delle sinergie è stato anche toccato da Irene Sassetti, consigliera del Cni con la delega all’edilizia e all’urbanistica, che coordina anche il gruppo di lavoro sulla rigenerazione urbana, che ha parlato delle azioni che il suo ordine nazionale, insieme al Consiglio nazionale degli architetti (Cnappc), stanno portando avanti congiuntamente, con la presentazione di un documento sia al Consiglio nazionale dei lavori pubblici che al ministero dei Trasporti per «individuare quei principi indispensabili che dovranno essere contenuti nella nuova Legge delega».

Non solo, dai costruttori, rappresentati dal vicepresidente nazionale Ance Stefano Betti, agli investitori privati impegnati nel social housing, come nel caso di Paola Del Monte di Redo sgr e Tancredi Attinà di Abitare Toscana, arrivano richieste di regole condivise e di certezze temporali e del diritto sempre nel campo della regolamentazione della rigenerazione urbana.


Che si collegano anche al tema sostenibilità e degli Esg, dove è sempre Del Monte a richiamare alla stretta correlazione tra la s’ del sociale e alla ‘g’ della governance, che per i loro investitori è rappresentata dai partenariati pubblico-pubblico e pubblico-privato (Ppp),


perché «nel momento in cui bisogna fare degli interventi che hanno impatto occorre un fortissimo coinvolgimento del pubblico-privato, altrimenti rimangono interventi per fasce medio-alte del mercato. Ma noi abbiamo esigenza di fare interventi che abbiano anche un impatto sociale», richiamando anche a «un’alleanza nella filiera». E le partnership pubblico-privato saranno più necessarie per le risorse, soprattutto una volta esauriti i fondi del Pnrr.

Certezze dei tempi, ma anche la necessità di una programmazione a lungo termine, una questione centrale per le professioni tecniche ricordata dal vicepresidente vicario del Cni Remo Giulio Vaudano, oltremodo necessaria nell’ottica di quanto richiederà la direttiva Case green (Epbd). «Bisognerà che ogni Stato presenti un piano generale di ristrutturazione entro due anni dall’approvazione della legge – ha detto – che è quello che stiamo chiedendo anche noi. Il 17% degli edifici riqualificati entro il 2030 non è così fantomatico, ma non vorrei che arrivassimo a un altro decreto emergenziale come è successo con il Superbonus. Proviamo a fare delle programmazioni, lo strumento c’è ed è richiesto da una norma».


Un altro aspetto fondamentale sottolineato da Vaudano sono la raccolta e l’accessibilità dei dati per comprendere anche «il reale stato del patrimonio edilizio italiano».


Dati e innovazione che vengono dal “laboratorio” di Prato, città all’avanguardia sia nell’ambito della rigenerazione urbana (basti pensare al progetto dell’Urban jungle) che nell’uso dei dati e della sensoristica. «A Prato abbiamo provato a tenere insieme pianificazione e azione – ha illustrato Valerio Barberis, assessore all’Urbanistica della città toscana per due mandati – e ci siamo mossi su quello che abbiamo imparato dalle agende urbane. Nel 2015 abbiamo stilato un documento di vision sulle politiche urbane, che ha guidato tutta l’azione dell’amministrazione in termini di pianificazione urbanistica, mobilità, ambiente. Di fatto si è costruita una filiera collegata ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu (Sdgs) che sostanzialmente ha messo il comune in una rete, collegata con documenti di pianificazione globale e di pianificazione urbana dell’Unione europea».

Pianificazione, collaborazione e sostenibilità che si è tradotta da una parte con interventi nell’immediato – che oggi chiameremmo di urbanismo tattico – e dall’altra con operazioni di rigenerazione con una prospettiva di 6-7 anni. E i dati sono stati fondamentali per indirizzare politiche e azioni, come ha spiegato Beniamino Gioli, dell’istituto di Biometereologia del Cnr, sottolineando come «Prato è diventata un laboratorio a cielo aperto. Oggi la città è piena di sensori (installati grazie a finanziamenti europei e nazionali), con 40 centraline a basso costo per la qualità dell’aria, contro le 2 stazioni di riferimento dell’Arpa. Sono dati diversi da quelli ufficiali, che però tra loro che si integrano, e forniscono uno strato informativo che non c’era prima. Inoltre, i dati satellitari – ha aggiunto – mappano isole di calore con grande dettaglio».


Tutto ciò non è sufficiente, sono dati che vanno uniti a quelli socio-economici, se si vuole avere una visione complessiva che permette di indirizzare politiche e azioni più mirate, anche sulla base delle cosiddette “nature-based solutions”.


I dati sono anche alla base del digital twin, il modello digitale che può essere ricreato per monitorare e gestire interi quartieri da un punto di vista anche energetico, che aprirà nuove competenze per i progettisti, che, se da una parte dovranno mantenere salda la competenza progettuale, «un aspetto che dovrà diventare sistematico è comprendere come quell’intervento di trasformazione fisica generi una trasformazione di persone e luoghi», ha evidenziato Saverio Mecca, professore di Building production all’Università di Firenze. Perché le città devono attrezzarsi oggi per rispondere alle sfide del cambiamento climatico (basti vedere le recenti inondazioni in Veneto e Lombardia), oltre che a migliorare la qualità della vita dei cittadini.

In copertina: Città di Prato © Fernando Guerra

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Chiara Brivio
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