L’architettura della speranza. Tre storie di italiani all’estero: TAMassociati, Livio Sacchi e Mario Cucinella
L’architettura è per tutti / Progettare nei luoghi dell’emergenza e del bisogno: opere fatte, problemi, politiche da mettere in atto
“Dobbiamo tornare a fare architettura dimostrando la sua capacità di raccontare con pochi elementi, pochi segni e poche risorse. Un buon progetto può dire che anche nell’emergenza il bello deve essere parte del nostro quotidiano”
L’Architettura per tutti. Parte dalle esperienze di TAMassociati con Raul Pantaleo, di Mario Cucinella e Livio Sacchi il racconto di cosa l’Italia ha fatto sul tema dell’accoglienza e della permanenza. Dimostrazioni concrete di come l’architettura sia un’arte sociale, di come si possa esportare il made in Italy in contesti che non hanno “nulla a che fare con il glamour” come dice Cucinella, ma dove il mestiere dell’architetto si riscopre, e dove gli architetti, lavorando in condizioni estreme, migliorano il modo di esercitare la professione.
“Dobbiamo tornare a fare architettura dimostrando la sua capacità di raccontare con pochi elementi, pochi segni e poche risorse. Un buon progetto può dire che anche nell’emergenza il bello deve essere parte del nostro quotidiano”. Raul Pantaleo da più di dieci anni lavora con Emergency; ha costruito piccole e grandi architetture in Sudan, in Darfur in tante altre zone dell’Africa, e grazie a questo lavoro nel 2013 ha vinto il prestigioso premio Aga Khan. Ora lo studio è impegnato in Italia per la costruzione di numerosi poliambulatori e a Lampedusa, nell’ambito della seconda Festa dell’Architetto promossa dal CNAPPC ha raccontato alcune tra le storie più interessanti. “Stiamo realizzando il centro di Polistema, riqualificando un edificio di Libera sequestrato alla 'nndrangheta – racconta l’architetto veneto Pantaleo – dove riusciremo con poco tempo e poche risorse a ridare senso ai luoghi, a trasformarli in luoghi parlanti”.
Pantaleo dimostra con l’attività del suo studio che “la bellezza è parte integrante del fare cooperazione” e che la centralità del progetto garantisce ricadute anche quando si mettono pochi segni e si hanno poche risorse. Livio Sacchi, architetto romano, in Etiopia ha realizzato un interessante operazione di ‘Heritage’ e la sua esperienza riguarda il restauro di complessi imperiali, “occasione per innescare la diffusione di tecniche di restauro innovative importandole dall’Italia, trasformare architetture locali inutilizzate in musei, occasioni di lavoro e culturali – commenta Livio Sacchi – anche chiamando in campo imprese e aziende italiane”. Sacchi ha realizzato quattro opere e un nuovo cantiere è in corso. “Abbiamo fatto un importante lavoro di rilievo, firmato il progetto di restauro e seguito il cantiere. Abbiamo coinvolto ingegneri locali, organizzato il loco una squadra coordinata dai nostri tecnici” racconta Sacchi.
Lavorare in territori di emergenza è un mestiere che cambia la prospettiva, “chi affronta i temi con pragmatismo – dice Pantaleo – sa affrontare problemi complessi”. Agli architetti si chiede di mettere in campo fantasia e operatività, di semplificare, di realizzare in poco tempo un progetto, e un’opera, che risponda a questioni economiche, di efficienza e performance climatiche. Pantaleo per sintetizzare dice “gli architetti dovrebbero fare quello che facevano i medici condotti, portare la professione nel quotidiano”.
“Il tema delle competenze è centrale – dice Cucinella – in questo contesto di forte innovazione tecnologica abbiamo perso le competenze di base: dobbiamo tornare ad interrogarci sull’uso dei materiali, saper mettere l’edificio nella posizione giusta, dobbiamo in qualche modo contribuire a costruire la domanda, lavorare sui bisogni”.
Dai tre studi di italiani all’estero, passando per l’architettura dell’accoglienza, arriva anche un messaggio di speranza: il made in Italy può essere esportato e gli architetti possono essere il veicolo per trainare imprese e aziende; “bisogna essere disposti al sacrificio” dicono i professionisti, sporcarsi le mani, confrontarsi con la realtà, “se si fa per i soldi non si parte – dice Cucinella – il motore è il cuore”. Tanto si parla di rigenerazione urbana: "per essere concreti intervenire con azioni micro che si fanno in territori difficili che ci sono anche sotto casa" aggiunge Cucinella.
“Ieri ho visto la pianta dei centri sanitari di alcun campi profughi, al di là della qualità del progetto – racconta ancora Raul Pantaleo – è significativo che venga fatta su fogli Excel. Non c’è nemmeno il progetto di un ingegnere, con tutto rispetto, non c’è nemmeno la fase tecnica. In questi luoghi c’è bisogno del lavoro degli architetti che possono fare la differenza”.
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