19-01-2015 Paola Pierotti 8 minuti

Il cantiere Expo 2015 sotto la lente dello studio Nemesi: la sfida, le criticità e l’opportunità

Intervista a Michele Molè e Susanna Tradati: il punto sul progetto per il Padiglione Italia, il secondo padiglione e l’ufficio a Milano

"In fase di sviluppo del progetto abbiamo escluso la soluzione ipotizzata con i primi rendering di lavorare su un cemento faccia a vista, scoprendo l'incredibile opportunità di riuscire ad utilizzare pannelli prefabbricati ad alto know how. La soluzione finale prevede 920 pannelli hi tech, unici e progettati uno ad uno, pieni e traforati"

Michele Molè

Tra le centinaia di progetti sviluppati per Expo 2015 che vedono coinvolti altrettanti studi e società italiane e internazionali, Nemesi con il suo Padiglione Italia è una delle maggiori attese per il mondo dell’architettura e non solo. Ma lo studio romano guidato da Michele Molè e Susanna Tradati a fine anno ha posato la prima pietra anche del Joomoo Amazing Asia Pavilion che sarà realizzato per l’evento del 2015 e che rappresenterà il padiglione corporate del gruppo leader nel mondo delle telecomunicazioni.

La rimonta di Nemesi dopo anni di investimenti sulla ricerca e il progetto, in Italia e nel mondo. Una sfida che dopo la vincita del maxi-concorso Eni per il nuovo headquarter di San Donato milanese (con gli americani di Morphosis) e con questo doppio incarico per il 2015 ha riportato lo studio sotto i riflettori. Tre lavori milanesi che hanno spinto Nemesi a decidere che è arrivato il momento di aprire una seconda sede nel capoluogo lombardo.

Susanna, complessivamente che idea si è fatto Nemesi del cantiere di Milano?
L’operazione è davvero interessante. Ci sono stati grandi rallentamenti nei mesi scorsi, ma ora la macchina sta funzionando e già si vedono molti edifici praticamente pronti: non sono scatole ma progetti con forte identità, anche se realizzati con materiali prefabbricati e in tempi record.

E secondo te, Michele?
E’ davvero un cantiere vivo nonostante tutto quello che è successo. Sarà un importante risultato e in questo Milano è diversa da Roma ed è più vicina all’Europa: tante cose non funzionano, ma poi alla fine si è capaci di portare a casa il risultato. Si vede la qualità nelle architetture del Cardo e del Decumano e nonostante tutto anche il masterplan rivela un forte carattere di urbanità: camminando nell'area, lungo gli assi, in queste settimane si vedono pezzi nuovi salire continuamente e tanta gente che corre. Non siamo abituati in Italia ed è una bellissima esperienza anche accorgersi di quante aziende del sistema Paese siano in campo per questo progetto.

E il cantiere del vostro Padiglione Italia, come procede?
Il nostro progetto di Padiglione Italia comprende il Palazzo Italia e gli edifici del Cardo, per complessivi 26.000 mq di superficie. Per il Palazzo Italia abbiamo realizzato un edificio di 13.000 mq complessivi e 5 livelli fuori terra. Stiamo completando la parte strutturale della vela di copertura con l’azienda Stahlbau Pichler: ad oggi siamo al 70% del totale. L’impresa, Italiana Costruzioni, sta realizzando i corpi scala e in questo caso siamo al 90% del lavoro totale. Italiana Costruzioni ha vinto la gara come general contractor a fine 2013: è un lavoro molto impegnativo, per alcuni mesi l'attività per questioni di cambio organizzativo in Expo, e conseguenti ritardati pagamenti, si era anche rallentata, ma ora ha ripreso a pieno ritmo e in cantiere si lavora su tre turni.

Michele, i costi del padiglione? Ci sono state variazioni dal concorso?
In fase di gara si prevedevano 40milioni di investimento per il Padiglione e per 200 metri di sviluppo di edifici lungo il Cardo: 30 per il padiglione e 10 per l’altra parte. In fase di sviluppo del progetto la cifra è salita a fronte di aumenti di superficie e volumetrie determinati da sopravvenute richieste di Expo; in sede di appalto il costo di costruzione contrattualizzato è stato di 19 milioni di euro per l'appalto generale; 7,8 milioni di euro per la pelle; 4,8 milioni di euro per la vela di copertura; 32 milioni circa per il solo Palazzo Italia e altri 10-11 per il Cardo. Oltre alla necessaria ingegnerizzazione e ad uno sviluppo di dettaglio che non si sarebbe potuto fare in fase concorsuale, il committente ci ha richiesto di aumentare la superficie e le altezze dell’edificio: Palazzo Italia si è alzato da 25 metri a 35 (è aumentato lo spazio di interpiano) ed è stata prevista la possibilità di rendere maggiormente fruibile la copertura. Abbiamo nel frattempo semplificato il progetto degli edifici lungo il Cardo che costeranno 800 euro/mq e saranno realizzati con cartongesso, reti metalliche, vetro u glass. In sintesi il conto finale non si può ancora fare: bisognerà tener conto anche di extra-costi di realizzazione dovuti a varianti in corso d’opera. In fase di cantiere rispetto al progetto esecutivo è stata apportata una variante strutturale con aggiunta di calcestruzzo, mentre alcuni pannelli di rivestimento previsti non saranno installati a causa dei tempi stretti.

Il concept del Padiglione Italia era stato presentato in fase di concorso come una ‘foresta pietrificata’. Fin da subito avevate scelto di studiare una soluzione con il calcestruzzo?
Si, al cemento siamo arrivati quasi subito, era senza dubbio il materiale che più si prestava a dare forma al nostro concept; in fase di sviluppo del progetto abbiamo escluso la soluzione ipotizzata che prevedeva di lavorare su un cemento faccia a vista, con particolari cassaforme, a causa dei tempi limitati per la realizzazione. Alla fine la scelta si è rivelata vincente: abbiamo usato pannelli in cemento miscelato che hanno reso la pelle una componente centrale del progetto; abbiamo optato per una pelle-schermante appesa e distaccata dalla parte strutturale che non richiedeva a quel punto caratteristiche di faccia a vista. L’innovazione tecnologica l’abbiamo riservata quindi all'involucro realizzato con pannelli prefabbricati che hanno garantito massime prestazioni tecniche ed estetiche, e accelerato la produzione fuori-opera delle lavorazioni.

Una scelta dovuta ai tempi ridotti al minimo?
Conoscendo la complessità di passare dal progetto al cantiere e magari con una gara per le imprese al massimo ribasso, era impensabile delegare in pochi mesi il compito di fare un impalcato strutturale con tutte le cassaforme diverse, senza avere il tempo necessario ad esempio per fare dei test sulla fluidità del cemento.

Per la costruzione del Padiglione Italia sono state indette tre gare: una per il volume, una per la facciata e una per la vela di coperta. Nemesi ha sostenuto e incoraggiato questa scelta di Expo?
Per il successo dell’operazione abbiamo dovuto tutelarci e garantire la massima qualità per la vela di copertura e per la pelle e abbiamo individuato sul mercato i soggetti che potevano collaborare per questi due temi specifici, e tra questi grazie anche alla migliore offerta termico-economica sono stati selezionati Stahlbau Pichler e Italcementi con Styl-comp con cui abbiamo sviluppato i dettagli e l’ingegnerizzazione. 

Di quanti pannelli parliamo per la facciata?
Si contano 920 pannelli unici, progettati uno ad uno, agganciati alle passerelle retrostanti e autoportanti rispetto ai 4 layer di cui sono composti. Si tratta di pannelli di 16 mq con 5 punti di attacco (il quinto per l’anti-sismica), pieni alla base e man mano che salgono si svuotano, si alleggeriscono per dare l’idea della ramificazione dell’albero.

I pannelli pieni sono più economici di quelli traforati, pur avendo più materiale. Nella parte inferiore sono monofacciali e salendo diventano bifacciali trovandosi difronte alle finestre e dovendo assolvere ad una lettura estetica tridimensionale. Italcementi ha finanziato la fornitura del materiale.

Michele, precisamente cosa avete chiesto a Italcementi? Che caratteristiche doveva avere la facciata del Padiglione?
Ci servivano parti opache ed altre trasparenti, la pelle doveva essere traforata davanti alle finestre per contenere l’irraggiamento e piena in altri punti corrispondenti alle facciate interne opache: dovevamo trovare un sistema tecnologico capace di assolvere questi due temi e di rispettare il linguaggio del progetto, che arriva in copertura ad un 10% di opacità.

Susanna, come siete arrivati a Italcementi?
La struttura di Expo e del Padiglione Italia ha voluto coinvolgere fin da subito il sistema Italia e le sue eccellenze. Abbiamo visitato aziende leader dei diversi settori e Italcementi è stata scelta sulla base di una gara ad offerta tecnico-economica quando siamo riusciti ad ingegnerizzare gli elementi dell’involucro con Styl-Comp Group. Ne è uscito un materiale hi tech, con performance meccaniche volute e con le caratteristiche estetiche e di peso desiderate.

Per Nemesi il Padiglione Italia è stato una palestra e una sfida: una grande occasione per portare a termine un’opera e passare finalmente dal rendering alla realtà. Le tappe?
Una volta vinto il concorso nell’aprile del 2013 con Proger, Bms Progetti e Livio de Santoli, abbiamo ricevuto l’incarico a metà maggio. A ottobre avevamo già presentato quattro esecutivi e nel frattempo ci era stato richiesto di ridisegnare il preliminare per adeguarlo a sopravvenute esigenze funzionali. Molta carta e poi da zero abbiamo iniziato a rimodellare il progetto in Revit per gestirlo solo in 3D: da giugno a settembre, in quattro mesi, abbiamo sviluppato il progetto e una volta aggiudicato l’appalto, il committente ci ha chiesto di rivedere le funzioni, ad esempio di cambiare spazi-ufficio in espositivo con tutte le conseguenze del caso. Una serie di modifiche che ci hanno permesso tuttavia di affinare il progetto in corso d’opera.

Il Padiglione dopo l'Expo?
Sarà un nuovo edificio dello Stato. Forse un incubatore di imprese, ci sono varie ipotesi ma nessuna certezza.

E Nemesi dopo Expo? Susanna che aspettative avete?
L’ufficio a Milano. Roma evidentemente non è paragonabile al capoluogo lombardo, nella capitale non c’è un sistema dell’architettura, non c’è mercato e non è comparabile il livello degli standard qualitativi. Dopo le commesse per Eni ed Expo abbiamo cambiato passo: sono state ottime palestre anche dal punto di vista manageriale, nonostante siamo consapevoli che non si potrà mai vivere di rendita.

Michele, il tuo bilancio dello studio Nemesi?
Abbiamo approfittato negli ultimi mesi di queste commesse per riorganizzare lo studio e far crescere il know how. Da anni facciamo progetti complessi, anche preliminari di aeroporti, ma senza arrivare al cantiere. Con queste opportunità recenti ci siamo strutturati internamante con dei responsabili per le gare, per la comunicazione, per capitalizzare il lavoro fatto. Auspichiamo che questo salto organizzativo ci porti altri risultati. Intanto il committente cinese del padiglione Joomoo ha già richiesto un ulteriore progetto in Cina.

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Paola Pierotti
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