Eurocities: La qualità della vita è trasversale, le Pa non lavorino per compartimenti stagni
Intervista a Anna Lisa Boni, segretario generale della rete europea che riunisce le grandi città. Shaping European Cities a Bruxelles)
Senza un attento piano bilaterale pubblico-privato si possono attivare iniziative che non decolleranno mai, senza una strategia unitaria e costruttiva. Vendere un prodotto per le città non è come vendere uno smartphone ad un cliente
Da giugno 2014 il segretario generale della rete Eurocities è l’italiana Anna Lisa Boni. Lasciando la carica di direttore dell’ufficio di Bruxelles della Regione francese Provenza-Alpi Marittime-Costa Azzurra (PACA), Boni ha 20 anni di esperienza professionale negli affari pubblici dell’Unione europea, a livello locale e regionale. Ha conseguito due lauree presso l’Università di Bologna (in Scienze Politiche) e Lovanio (in Studi Europei). Oltre alla sua esperienza presso la PACA, ha anche lavorato per la città di Bologna. Durante la sua carriera, inoltre, ha collaborato con le principali reti europee e internazionali e con il Parlamento Europeo.
Anna Lisa Boni ha aperto i lavori del seminario Shaping European Cities organizzato il 15 settembre a Bruxelles negli spazi del Bozar. Un evento promosso dalla Fondazione Mies Van der Rohe e da Europa Creativa per raccogliere idee e riflessioni su come possono essere attrattive le città contemporanee.
Forte della tua esperienza, secondo te come su quali temi si gioca il futuro, lo sviluppo e l’appeal delle città?
Sono davvero tante le sfide che le città devono affrontare per essere attrattive. È ormai riconosciuto che soprattutto nelle grandi città europee si concentrano le principali criticità: dall’esclusione sociale all’inquinamento, dall’assenza di senso civico al degrado delle periferie, ma proprio nelle città si sperimentano anche interessanti soluzioni ai questi ed altri problemi puntuali. Le città devono sapersi innovare per rispondere alle nuove sfide, sapendo valorizzare il potenziale che esiste dentro le città. Le persone sono nelle città e con il loro supporto si possono trovare soluzioni.
Eurocities è una rete delle principali città europee, i cui membri provengono dai governi delle 130 municipalità più grandi. Eurocities collega città, regioni, governi nazionali e istituzioni europee e si propone l’obiettivo di intervenire concretamente nella politica europea, mettendo al centro il tema delle città. Qual è la realtà che il vostro osservatorio registra in questo momento?
Nella rete di Eurocities riscontriamo che ci sono amministrazioni, associazioni e singole persone impegnate sul tema delle città. I cittadini sono centrali nel ripensamento delle città, bisogna far tornare loro la voglia di esprimersi, di partecipare. Se i partiti oggi sono in crisi, bisogna lavorare comunque per avere un contributo attivo dal basso, ad esempio lavorando con le nuove tecnologie. Innovando, per tirar fuori quello che c’è a livello locale. Ovviamente resta fondamentale una buona regia pubblica.
Generalmente registriamo che molte Amministrazioni sono lente. Se pensiamo a quanto potrebbero fare internet o i social media per attivare un dialogo con la cittadinanza, riscontriamo che le Pa non riescono a stare al passo dei nuovi media. Ma sono veramente molti i singoli, i professionisti e le associazioni che lavorano su questi temi. I risultati più interessanti si dimostrano nelle realtà di medie dimensioni, ma nulla ostacola nelle grandi città a lavorare alla scala del quartiere: Bristol è tra le città più attive, e tra le città italiane c’è sicuramente Milano.
Che ruolo ha l’architettura?
Noi con Eurocities lavoriamo soprattuto con i policy maker ma l’architettura è sicuramente un mezzo efficace per apportare soluzioni, risposte innovative alle singole sfide di cui abbiamo accennato. L’architettura crea nuovi spazi, facilita l’attrattività, è importante per concretizzare politiche attente all’efficienza energetica e al rispetto dell’ambiente costruito. L’architettura è una soluzione che con un solo gesto può risolvere completamente più questioni.
Si può definire un modello di città europea?
Non c’è e non potrà esserci. Le variabili sono molte: il clima, la gestione degli orari, le persone variano di Paese in Paese e nelle singole città. Sicuramente il tema della città metropolitana e il processo di trasformazione in atto nei diversi paesi è un elemento comune a tutt’Europa. Greater Manchester è un esempio interessante. La gestione di una città a livello metropolitano è frutto di una legge che va sperimentata, anche a livello di governance, servono mezzi, competenze ma bisognerà soprattutto viverla.
Le città contemporanee soffrono di un pesante momento di recessione economica. Come fare?
Il tema delle risorse è cruciale, non si può farne a meno. Ecco perché anche come Eurocities spingiamo perché ci sia la volontà politica di inserire il tema delle città nell’agenda europea. Senza risorse non si attivano servizi e non si fa innovazione. Si possono fare test, laboratori, si può lavorare con la popolazione, ma non si riuscirà a consolidare obiettivi e azioni.
In Inghilterra a livello nazionale i partiti si sono battuti per lavorare sul tema delle città, per integrare le questioni nelle riforme prioritarie. Il sindaco di Londra, per fare un esempio, è intervenuto cambiando radicalmente la gestione dei trasporti locali e intervenendo sul piano della mobilità, il tutto nell’ambito di una riforma che ha suscitato lunghi e accesi dibattiti. Servono leader che credono in questo tipo di cambiamento e che lo fanno non solo per la carriera personale ma sapendo che incidono sul territorio e sulla vita dei cittadini.
Più le realtà sono grandi, come Londra o Parigi, più servono operazioni complesse. Ma ci sono realtà minori, come quella di Nantes, dove il cambiamento è stato promosso e spinto dal basso e dove si sono raggiunti interessanti risultati stravolgendo ad esempio l’immagine di una città industriale abbandonata.
Risorse dall’Europa?
La direzione Educazione e Cultura ha un programma che si chiama “Europa Creativa” ma è una nocciolina rispetto ai Fondi strutturali che finanziano i grandi progetti, compresi quelli infrastrutturali.
Per la Cultura il budget è davvero minimo se si deve pensare di suddividerlo per i 28 stati membri. I pochi fortunati sono sempre comunque felici di partecipare, se i progetti sono buoni si ha accesso alle risorse, e non di rado le città italiane sono tra quelle che partecipano e si aggiudicano quota delle risorse.
Cos’è concretamente Eurocities?
Eurocities lavora con la Commissione Europea sia a livello politico che tecnico, nonchè con il Parlamento Europeo, il Comitato delle Regioni e gli Stati membri dell’UE, per garantire che le tematiche relative al clima, al recupero e all’inclusione a livello locale vengano effettivamente affrontate ad ogni livello dell’Unione. È un’associazione, come fosse un’Anci delle grandi città a livello europeo. Per l’Italia ci sono anche Milano, Venezia, Roma, Pisa, Genova, Torino, Salerno, Palermo. Città che decidono di partecipare per condividere esperienze in vari settori e con la consapevolezza dei sindaci che dalle città possono nascere nuove opportunità anche per creare posti di lavoro e per dare garanzie ai giovani. I temi sono tanti: dalla mobilità ai rifugiati, dall’ambiente alla cittadinanza attiva.
Oggi ai tavoli che contano siedono gli Stati Membri e subito dopo l’Industria, la mission di Eurocities è quella di far sentire la voce delle città.
All’inizio del 2015 avete lanciato il progetto “Culture for cities and regions”. In cosa consiste?
Vogliamo raccogliere e raccontare quelle città europee che hanno investito nella Cultura e abbiamo già ottenuto una settantina di best practice. Promuoveremo visite studio e occasioni di condivisione per analizzare nel dettaglio cosa è stato fatto, per imparare e studiare opportunità e criticità.
Come partecipa l’Italia alla vostra rete?
Salvo qualche eccezione il momento di criticità economica ricade anche sulla partecipazione delle città ad una rete come la nostra. I tagli del personale e degli investimenti portano a riflettere sul fatto che fare lobby sia un lusso, e non uno strumento prezioso anche per la formazione dei tecnici. Le riunioni di Eurocities non vanno intese con un ritorno immediato ma come un investimento nel medio termine.
C’è chi misura la qualità delle città con il Pil, chi con la Felicità. Quali parametri privilegia Eurocities?
La qualità della vita è trasversale e le sfide sono trasversali. Le amministrazioni sono abituate a ragionare settorialmente ma la complessità non ammette chiusure per compartimenti stagni. Serve una governance non solo amministrativa e le soluzioni devono essere sempre complesse e integrate.
Eurocities lavora molto sul tema delle smart cities. Opportunità e criticità?
In questo caso si integrano temi della mobilità, dell’energia e delle nuove tecnologie. Capita però che privati del mondo dell’industria si presentino alle Pa con una soluzione puntuale e tecnica, e che un sindaco non preparato sulla strategia complessiva accetti l’offerta senza inserirla in una pianificazione urbana complessa. Risultato? Senza un attento piano bilaterale pubblico-privato si può arrivare ad un dispendio ulteriore di energie, con iniziative che non decolleranno mai, e soprattutto che non rispondono ad una strategia unitaria e costruttiva. Vendere un prodotto per le città non è come vendere uno smartphone ad un cliente finale!
Anche i privati devono quindi confrontarsi con il tema della rigenerazione urbana?
È fondamentale. In realtà e periferie difficili, come in alcuni quartieri di edilizia sociale di Malaga dove il reddito della popolazione è bassissimo, dove la povertà e la criminalità incidono fortemente sul degrado, è inutile installare dei contatori intelligenti per spingere i cittadini ad economizzare sulle proprie bollette. Ogni realtà deve essere affrontata con un approccio mirato. Il dialogo pubblico-privato è centrale e in tema di smart cities non bisogna tralasciare il tema dell’educazione sulla precarietà energetica da comunicare alla cittadinanza con risultati concreti.
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