27-09-2024 Paola Pierotti 4 minuti

Dalla città invisibile, linee di indirizzo per una politica pubblica che guarda al futuro

Clima, salute, digitalizzazione, istituzioni, infrastrutture. Il punto con Alessandro Balducci

Portare alla luce e discutere della città invisibile vuol dire scoprire un patrimonio di risorse latenti che possono riannodare i legami tra città e società. Legami decisivi per prendersi cura dello spazio urbano, dei suoi abitanti e dell’intero ecosistema». Questo il senso del progetto editoriale curato da Alessandro Balducci, ordinario di Pianificazione e Politiche Urbane al Politecnico di Milano, fondatore e primo presidente di Urban@it, intervenuto nell’ultimo forum di Scenari Immobiliari a Rapallo.

Secondo Balducci, che è stato anche assessora all’Urbanistica del Comune di Milano, la nostra capacità di comprendere la portata delle trasformazioni in atto è limitata dall’estrema complessità delle molteplici interazioni degli elementi in gioco. Alcuni evidenti e visibili, molti altri invisibili, difficili da percepire. Si va dalle grandi questioni del clima e della salute all’effetto dei processi di digitalizzazione, dall’esplosione della disponibilità dei dati con l’opacità degli algoritmi che li utilizzano, alle popolazioni degli anziani, soli, intrappolati nelle loro case fino ai giovani invisibili alle politiche. Si aggiungano la polarizzazione crescente che ridefinisce le forme della stratificazione sociale, l’inerzia dei governi nell’affrontare i problemi sulla scala di una città che si è estesa sul territorio ed ha superato i confini tradizionali, la non trasparenza delle decisioni riguardanti infrastrutture e mobilità, e ancora l’ambiguità di un’urbanistica sempre più dipendente dall’iniziativa privata, fino alle periferie sempre in attesa di un progetto.


Balducci alla platea di Scenari Immobiliari ha offerto un contributo al dibattito sulla città sociale, complementare a quello di Gregorio De Felice (Banca Intesa) sull’economia, e di Carlo Ratti sui cambiamenti e l’innovazione territoriale.


«Quello che non vediamo sta cambiando le metropoli». Balducci inizia con il clima, «la trasformazione nelle città si vede con le alluvioni, le precipitazioni, l’emergenza recente in Emilia Romagna: la situazione sta peggiorando e sono urgenti politiche radicali e meno timide di quanto si stia facendo». Qualche proposta? «Dall’abbandono dei combustibili fossili all’incremento della forestazione, dalla rinaturalizzazione delle isole di calore, a iniziative di retrofitting per gli edifici. Le conseguenze si vedranno nella disuguaglianza e nella sofferenza dovuta ai cambiamenti climatici: si pensi solo a chi non ha l’aria condizionata in casa o a chi ha casa vicino ai fiumi a rischio esondazione». Dal clima alla salute, «la pandemia ci ha trovati impreparati» e la fotografia della concentrazione degli ospedali, piuttosto che dell’abbandono del territorio è esplicativa di una situazione che richiede politiche e azioni mirate e capillari.

La rivoluzione digitale è un altro tema e gli effetti concreti si leggono nelle piattaforme di e-commerce, «basti pensare a Airbnb con le sue modalità e le ricadute sul tessuto fisico della città, ma anche alle grandi possibilità nate dal fatto che le piattaforme si sono “impossessate” dei dati – dice Balducci – utili per potenziali strategie e politiche di precisione in termini di servizi alla società». Luci e ombre, criticità e opportunità, come quelle offerte e attese dal settore dei data center, le «nuove centrali infrastrutturali» come le chiama il professore del Politecnico.

La popolazione è un altro dei grandi temi sotto i riflettori, «non solo per il cambiamento demografico in atto, ma per i servizi da erogare ad esempio agli anziani, e non solo con offerte che si possono circoscrivere al ‘senior living’ – Balducci fa un esempio concreto per aprire una riflessione sulla voglia di molti di invecchiare nel proprio luogo di residenza – da estendere quindi a politiche e pratiche ancora una volta di retrofitting, limitando la disuguaglianza tra chi se lo può permettere e chi meno». Dagli anziani ai giovani, «in gran parte invisibili perché raccontati attraverso la movida, le gang, e molto poco valorizzati come risorsa per progettare città più vivibili». E poi ancora, quando si parla di invisibilità della popolazione ci sono i neet, che non studiano e non lavorano, ma che richiedono politiche di coinvolgimento perché non restino appunto invisibili alla società. Il dibattito si allarga e torna a Milano, efficace esempio per parlare di una “polarizzazione” di ricchezza con conseguenze dirette sulla disuguaglianza, con un accento su quella quota di comunità, legata alla globalizzazione, che è cresciuta in termini di reddito, distaccandosi da quella collettività che contribuisce al funzionamento della città stessa.

L’invisibilità per Balducci ha a che fare anche con le istituzioni, l’evoluzione urbanistica, le infrastrutture. «Cechiamo di governare la città del XXI secolo con modalità del XX e confini del XIX». È una questione di scala dei problemi, di effetti che si misurano in quel populismo che cresce fuori dal centro città e di manifestazioni che si fanno sentire più nelle zone centrali. «Inevitabile l’urgenza di nuove forme di governance». E poi sull’urbanistica Balducci cita la questione della procura milanese e dice «si interpreta l’urbanistica di 30 anni fa come controllo di conformità di quello che prescrivono i piani regolatori, ma in virtù dei tagli ai finanziamenti pubblici degli enti locali la politica urbanistica delle amministrazioni è diventata sostanzialmente legata alla cattura di benefici pubblici dalle iniziative private». Bisogna piuttosto scommettere su un altro rapporto tra pubblico e privato, come parte e non tutto, «alcune questioni come quella della casa non si possono affrontare se non costruendo politiche pubbliche mirate».

L’invisibilità delle periferie è sotto gli occhi di tutti. «Purtroppo, le risorse sono limitatissime e ci dobbiamo accontentate dei fondi che arrivano da governo e dall’Europa, aspettiamo le risorse straordinarie per fare gli interventi, costruiamo progetti per partecipare a bandi. Ma bisognerebbe invertire la tendenza, cambiare prospettiva: costruire progetti per cercare i fondi, invece del contrario».

Invisibile è ciò che non si vuole vedere, che è difficile da percepire o ciò che richiede scelte radicali. «Se si leggessero nell’insieme questi fenomeni si potrebbe costruire di fatto un elenco di temi per un’agenda pubblica che coinvolge una pluralità di attori, e che veramente va nella direzione di una città più vivibile» la chiosa di Balducci.

In copertina: Copertina della pubblicazione “La città invisibile”, ©Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

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Paola Pierotti
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