Da Torino ad Afragola, passando per l’Hotel House di Porto Recanati, la solitudine dei ghetti urbani
Ad Urbanpromo 2018 il confronto tra amministratori ed esperti
Faro acceso su porzioni di città isolate rispetto al contesto interessate da processi di degrado urbanistico ed edilizio
L’ex villaggio Olimpico, che solo dodici anni fa ha ospitato gli atleti delle Olimpiadi di Torino 2006, oggi è la più grande occupazione abusiva d’Europa con un migliaio di rifugiati che abitano in quattro palazzine ormai da cinque anni. Pochi giorni fa la sentenza del Tar Piemonte: «in ragione del numero di persone coinvolte e dei risvolti sociali e di ordine pubblico, non ricorrono le condizioni per l’effettuazione dell’intervento di sgombero». In sicurezza e «tutela dell’incolumità delle persone a vario titolo coinvolte nella circostanza». Il caso rimane aperto. E Paola Del Monte, CDPi sgr, coinvolti con il fondo FIA accanto a Compagnia di San Paolo, commenta: «Non ci sono sgomberi senza un progetto sociale e immobiliare alternativo e propedeutico allo sgombero stesso».
A Torino, come nel Rione Salicelle di Afragola (costruito dopo il terremoto del 1980), a pochi chilometri da Napoli a ridosso della nuova stazione AV di Zaha Hadid, piuttosto che a Zingonia, non lontano da Bergamo, istituzioni, accademia e pubbliche amministrazioni stanno affrontando il tema della riqualificazione urbana strettamente legata alla questione sociale. Non senza fatica in termini di responsabilità per dover affrontare emergenze in situazioni di estremo degrado; in assenza di politiche pubbliche mirate e che durano nel tempo; “con Pa – commenta Stefano Stanghellini, anima di Urbapromo – che gestiscono in solitudine situazioni di difficoltà, senza strumenti”.
Queste città, insieme a Roma con il quartiere San Lorenzo in primis, Ferrara con il suo “grattacielo” di 76 metri, Modena con il caso di RNord a ridosso della stazione costruito negli anni ’70 lentamente riabilitato grazie ad una Stu pubblica, e Porto Recanati con l’Hotel House, sono state protagoniste di un evento promosso a Urbanpromo, dedicato quest’anno ai Progetti per il Paese, e in particolar modo ai nuovi ghetti urbani.
Il faro si è acceso su queste porzioni di città, isolate rispetto al contesto, interessate da un processo di degrado urbanistico ed edilizio, popolate da persone in condizioni di debolezza per ragioni sociali ed economiche, predisposte ad ospitare conflitti sociali e attività illecite. «La qualifica di nuovo – racconta Stanghellini – sta a significare che i ghetti a cui ci si riferisce sono di nuova formazione, in quanto porzioni di città il cui processo di uso, per effetto delle contemporanee dinamiche demografiche ed economiche, ad un certo punto della loro storia ha preso un indirizzo ben diverso da quello che in origine il promotore ed il progettista locale avevano loro assegnato».
Storie di cattivi rapporti tra pubblico e privato, iniziative dove insistono i cosiddetti ‘ecomostri’, dove la pessima qualità del progetto ha contribuito all’insuccesso di operazioni immobiliari deboli.
Nel Comune di Porto Recanati si considera l’alternativa della demolizione del cosiddetto Hotel House – 480 alloggi con 1700 residenti, di cui solo 400 italiani – nell’ambito di un maxi-progetto di rigenerazione urbana che sia al contempo un’iniziativa immobiliare con un programma sociale specifico. «Oggi dall’Hotel House – racconta la vicesindaco Rosalba Ubaldi – escono ogni mese 500mila euro con il money transfer, però poi gli inquilini, che non hanno nemmeno l’acqua potabile, non pagano affitti e bollette». I conti bancari degli inquilini sono pignorati dai creditori, si stimano debiti per 5 milioni di euro, non funzionano ascensori e montacarichi. L’idea al vaglio del Comune prevede l’abbattimento della struttura e la realizzazione al suo posto di una grande piazza, contestualmente alla costruzione di un numero di appartamenti equivalente a quelli da demolire, oltre ad un centro commerciale, servizi, e un centro sociale e culturale. Porto Recanati teme la possibile non accettazione da parte dei proprietari, ma c’è un comune, Zingonia, che insieme alla Regione Lombardia ha già lavorato in questa direzione per dare una nuova vita ad un’utopia infranta, con una possibilità oggi di riscatto, anche attraverso la demolizione delle torri.
Il tempo è un ingrediente fondamentale e Torino insegna che non bisogna lasciare vuoti gli edifici, ma pensare e pianificare a monte il loro programma.
A Roma è stato il recente caso Desirée a portare sotto i riflettori dei media il quartiere San Lorenzo; a Porto Recanati ha fatto un sopralluogo recente il vice-premier Salvini che ha individuato come unica soluzione possibile “le ruspe”. La comunicazione gioca un ruolo primario: ad Afragola il sindaco ha impedito alla fiction Gomorra di girare delle riprese nel Rione Salicelle, per non ostacolare il valore sociale in atto. Ma è servito, per creare una nuova narrazione, il documentario ‘Salicelle rap’ curato dalla regista Carmen Tè e vincitore come miglior regista esordiente al FFF Documentary Talent Award 2017. Anche Regione Lombardia con Urbit e il Comune di Zingonia hanno unito le forze per mettere a punto un docufilm capace di raccontare una storia che non ha nulla di sensazionale, ma è attenta alle persone che vi abitano, tra le righe mette in evidenza i temi per la memoria, senza nascondere le criticità.
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