Cucinella: Nell’emergenza riusare l’esistente, per il futuro scommettere sulle competenze
Le emergenze ci anticipano, con la crisi sanitaria del Coronavirus abbiamo imparato che viviamo in un mondo fragile
Taranto con il post-Ilva, il centro Italia a partire dall’Aquila dopo il terremoto, Genova dopo il crollo del ponte Morandi, le Dolomiti dopo la tempesta Vaia e ora Milano, la Lombardia, ma poi l’Italia e il mondo intero post-Covid19. «Finora in Italia, a fronte di tante ripetute situazioni d’emergenza non c’è mai stata una vera determinazione nell’affrontare i problemi. In particolar modo per la ricostruzione post-sisma ci sono state iniziative ambiziose, ma nel passare dalle parole ai fatti c’è sempre stata una distanza che si chiama solo competenza. Quando passerà questo momento, non bisognerà smettere di progettare il futuro, con nuove condizioni». L’architetto bolognese Mario Cucinella interviene sul tema dell’emergenza quotidiana, quella legata al Coronavirus, sottolineando quanto questa «sia una condizione inimmaginabile. Le emergenze ci anticipano – ha sottolineato Cucinella – abbiamo imparato che viviamo in un mondo fragile. Viviamo rassicurati dalla tecnologia, ma non basta».
Architetto, come si può capitalizzare in questo momento la sua esperienza diretta sul tema della ricostruzione?
I paesi colpiti dal terremoto sono abbandonati a sé stessi, a maggior ragione in questo momento. E oggi con il Coronavirus, ancora una volta, abbiamo imparato che non siamo pronti per sfide tanto importanti. Bisogna fare dei piani di recupero ed emergenza, attivare delle politiche di partecipazione, e soprattutto considerare in tempo di pace il tema progettuale, perché in guerra si fa poi fatica ad armarsi.
Cosa significa per l’ambito sanitario?
Dall’industria al design, bisogna sviluppare idee, prototipi. Tradurre le ambizioni in progetti concreti.
Mario Cucinella Architects è al lavoro su un paio di grandi ospedali lombardi. Quale lettura fa, architetto, del tema ospedaliero a fronte dell’emergenza presente?
Gli ospedali italiani, per quanto siano delle vecchie strutture, hanno dimostrato che riescono ad essere flessibili: in molti casi sono riusciti a riorganizzare i diversi piani, spostando degenze e portando terapie intensive dove non c’erano. Il tema su cui concentrarsi a questo punto è quello della cura nel territorio: constatato che non tutti hanno bisogno di ricovero, il tema della cura a domicilio diventa una straordinaria opportunità per proporre nei quartieri, nei territori delle “case della salute”, luoghi dove si può essere sorvegliati e curati. La salute e le cure sono il sistema nervoso del sistema urbano.
Il progetto della Città della Salute sarebbe proprio nell’epicentro di questo focolaio..
Infatti. Oggi la Città della Salute di Sesto San Giovanni sarebbe finita: in quattro anni avremmo realizzato l’opera e oggi sarebbe un luogo per la salvezza del Paese, un ospedale con 700 posti letto, un polo di eccellenza messo a punto con due importanti istituti di ricerca come sono il Besta e l’Istituto Tumori. Non si può imbrigliare un’opera pubblica in un tanto lungo meccanismo di ricorsi amministrativi: il prezzo sociale non lo paga nessuno. Potrebbe essere un’infrastruttura sanitaria pronta, invece solo da un mese siamo partiti con gli incontri con i due istituti per mettere a punto il programma, riaggiornandolo e adeguandolo.
Dalle tende alle soluzioni industrializzate, alla riconversione a nuovi usi di immobili esistenti, per tamponare l’emergenza. Quale via suggerisce?
In condizioni come questa non c’è tempo per il progetto, bisogna cercare le soluzioni più rapide. Non è il momento di teorizzare. La scelta di riconvertire gli spazi è sicuramente un ottimo approccio: ci sono involucri e volumi pronti e basta inserire degli elementi specialistici. Le fiere ad esempio sono iperstrutture, dove si fanno concorsi, si balla, si fanno manifestazioni, ovviamente possono essere utilizzate come strutture per l’emergenza. La soluzione di spazi multiuso è anche una risposta ad un tema ecologico e di consumo di suolo, e anche questa è una lezione: imparare a usare strutture che dormono per 250 giorni all’anno.
Ha fatto il giro sui social l’idea di convertire una maschera da snorkeling di Decathlon come maschera d’emergenza per la ventilazione dei pazienti Covid-19. Cosa ci insegna questa storia?
Oggi i designer arrivano tardi. Meglio puntare sull’uso e riuso, inventarsi delle idee a partire da quello che abbiamo. Anche sul cibo si faranno delle riflessioni: se per fare la spesa bisogna fare lunghe code, si sprecherà meno, si ottimizzeranno le risorse.
A proposito di supermercati, non mancano siti e app che aggiornano proprio sulle aperture e sui minuti di attesa. Progetti innovativi, grazie al digitale e a internet in tempi record. Il futuro passerà anche da qui?
Dai dati sicuramente. Tornando al tema sanitario penso alla diagnostica che si riesce a fare da casa, con strumenti semplici e in connessione diretta con i medici. La telemedicina sarà il futuro e ne beneficerà anche il welfare, in termini di costi. Servono innovazione e invenzione, non solo nell’hardware degli edifici.
Architettura architetturaChiECome arte città concorsi culto cultura Design energia festival formazione futura hospitality housing industria Ingegneria italiani all'estero legge architettura libri masterplanning Milano Norme norme e regole Premi Progettazione real estate Regole retail rigenerazione urbana salute scommessa roma Scuola sostenibilità spazi pubblici sport trasporti turismo uffici