Architettura, alla Biennale di Venezia arriva la diaspora africana
Parole chiave: decarbonizzazione e decolonizzazione. Polemiche sull’erogazione dei visti per il team della curatrice
Lesley Lokko ce l’ha quasi fatta. Se sul foglio la sua Biennale di architettura 2023, che si aprirà a Venezia con la vernice di giovedì 18 e venerdì 19 maggio, ha rimesso al centro della narrazione l’Africa, si vedrà come i padiglioni nazionali declineranno nella pratica i due grandi filoni protagonisti della kermesse: la decarbonizzazione e la decolonizzazione. Quella che avrà come titolo Il laboratorio del futuro (The laboratory of the future in inglese) si prefigura quindi come un evento dove, secondo la stessa Lokko, gli architetti e i progettisti saranno chiamati practitioners, quindi praticanti, che con la loro capacità creativa daranno la loro immagine del mondo di domani.
E a giudicare dai nomi di practitioners che la curatrice ha voluto personalmente invitare – come l’architetto anglo-ghanese David Adjaye, partner di Lokko nel progetto dell’African Futures Institute (Afi) di Accra, e il vincitore del Pritzker 2023, il burkinabé Francis Kéré –, è soprattutto la diaspora africana a farla da padrone. Degli 89 partecipanti nei sei ambiti della mostra, oltre la metà provengono dall’Africa o dalla diaspora africana. «L’equilibrio di genere è paritario e l’età media dei partecipanti è di 43 anni, mentre scende a 37 nei Progetti speciali della Curatrice, in cui il più giovane ha 24 anni – si legge nel testo di Lokko preparato per la prima conferenza stampa della kermesse –. Tali statistiche riflettono un cambiamento sismico nella cultura della produzione architettonica in generale e un mutamento ancora maggiore nella partecipazione alle mostre internazionali. L’equilibrio si sposta. Le strutture si sfaldano. Il centro non regge più». Ecco quindi che nella sua visione, una visione che Lokko sta portando avanti da anni e che ha trovato forma anche e soprattutto nell’istituto dell’Afi da lei diretto, anche la kermesse si dovrebbe spostare verso il policentrismo, a scapito del suo tradizionale eurocentrismo. Se, come ha sottolineato più volte, «la decolonizzazione è un dono per l’architettura» allora sarà da attendersi forse una pluralità di linguaggi e punti di vista anche nella mostra stessa.
Non solo, sono i Progetti speciali della curatrice (per la prima volta grande come le altre sezioni) e i Partecipanti speciali, che costituiscono una grande categoria fuori concorso e che hanno grandi temi al centro come Mnemonica, Cibo, agricoltura e cambiamento climatico, Geografia e genere. Senza dimenticare Guests from the future (Ospiti dal futuro), dove 22 practitioner di colore emergenti esporranno il loro lavoro tra il complesso dell’Arsenale e il Padiglione Centrale, alla ricerca dell’architetto del futuro. Tutte queste novità sono la vera e propria cifra di questa Biennale taggata Lokko, che si può dire abbia creato una sua visione di Biennale dentro i canoni della mostra tradizionale.
Importanti anche la formazione e l’istruzione, il mondo da cui viene la curatrice, con l’istituzione della prima edizione del Biennale college architettura, in programma dal 25 giugno al 22 luglio, che offrirà uno spazio di confronto tra partecipanti ed esperti sui temi della decolonizzazione e della decarbonizzazione.
Un modo, anche qui, per trasmettere conoscenze a giovani (e futuri practictioners), under35.
E il lancio della Biennale viene anche dall’Africa. È infatti dall’account Instagram dell’Afi che da alcune settimane vengono postati contenuti che mettono in relazione la città lagunare, ma anche l’Italia più in generale, al Ghana, in una sorta di coming soon dell’evento. Ecco che quindi appare la copertina del libro di Bruno Munari Supplemento del dizionario di italiano con l’immagine di una mano che rappresenta la gestualità italiana, messa in relazione a quella “in fase di definizione” – scrivono nel post – del paese africano; al tema dell’acqua – “Walk on water” il titolo del post – che mette idealmente in relazione l’esperienza del villaggio di Nzulezu sul Lago Tadane, una floating city africana, a quella di Venezia. Un percorso visivo e di parole che mette in relazione Italia e Ghana in un fil rouge universale portato avanti del team dell’Afi che che sta affiancando Lesley Lokko nella definizione di questa Biennale. Tuttavia, stando a recenti articoli apparsi sulla stampa internazionale, sarebbero proprio alcuni membri di questo team ad aver incontrato difficoltà nell’ottenere il visto per entrare in Italia per la vernice. È di questi giorni la notizia, pubblicata dalla rivista inglese Building design e ripresa in un tweet da Oliver Wainwright, critico di architettura del Guardian, nella quale si racconta come Lesley Lokko lamenta la poca collaborazione da parte dell’Ambasciata italiana ad Accra nell’erogazione dei visti a tre dei suoi collaboratori, tra i quali un fotografo. Un modo per dire che, nonostante l’Africa sia al centro della mostra, forse non lo sono gli africani.
In copertina: Lesley Lokko e Roberto Cicutto. Ph. © Jacopo Salvi, cortesia della Biennale di Venezia
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