Sulla sentenza del Tar, il presidente degli architetti di Treviso: «Questa pratica bypassa anche il Codice degli appalti, speriamo finisca qui»
Per affidare la realizzazione di servizi professionali le pubbliche amministrazioni debbono bandire delle gare d’appalto. Vale anche per quelli di architettura e ingegneria. Sembra un’affermazione pleonastica, ma siamo in Italia e l’espediente è spesso dietro l’angolo. Per esempio quello di ricorrere alle università: da ente pubblico a ente pubblico, addio concorrenza. Ma un chiaro stop all’affidamento degli incarichi di progettazione alle università è venuto dal Tar di Catania, che lo scorso 28 giugno ha accolto il ricorso relativo alla progettazione del parco urbano di Enna Bassa del valore di 122mila euro. La sentenza ha confermato l’obbligatorietà di affidare gli incarichi di progettazione ai liberi professionisti. Il ricorso era stato presentato dall’Ordine degli architetti pianificatori paesaggisti e conservatori della provincia di Enna e dalla Fondazione Inarcassa, contro la scelta del Comune siciliano di affidare alla Facoltà di Ingegneria e Architettura dell’Università Kore la progettazione esecutiva del parco urbano del capoluogo.
Nella determina dirigenziale del Comune di Enna, l’incarico all’ateneo era giustificato dal fatto che questo possedesse «le giuste professionalità al fine di sviluppare l’idea progettuale richiesta».
Questa usanza però non è limitata alla Sicilia. Il verdetto ha infatti visto esultare l’Ordine degli Architetti di Treviso che, per bocca del presidente Marco Pagani, commenta: «Quella dell’accordo tra amministrazioni e università per l’affidamento diretto di servizi di ingegneria e architettura è una pratica che sta prendendo sempre più piede anche nel nostro territorio, interessando alcune università e i loro consorzi, enti senza fine di lucro, che attingendo a fondi pubblici possono svolgere servizi senza neanche vincere un appalto secondo le norme del Codice dei contratti». Si tratta quindi di concorrenza sleale? Sì, dice Pagani, perché «liberi professionisti e società di ingegneria, che versano tasse e contributi, sostengono spese di gestione e partecipazione alle gare, ma si trovano contrastati e sostituiti da soggetti che, anziché perseguire esclusivamente finalità di istruzione superiore e di ricerca, in attuazione dell’articolo 33 della Costituzione, possono svolgere attività di progettazione. Si tratta dunque di una chiara violazione del diritto da parte di enti che non sono nemmeno citati dall’articolo 66 tra gli operatori economici che possono eseguire servizi di ingegneria e architettura e che dunque non possono nemmeno fornire prova del possesso dei requisiti richiesti per legge. Oltretutto le amministrazioni non dispongono di alcuna garanzia sulla qualità della progettazione: sono enti deputati alla ricerca e all’insegnamento, non a occuparsi di ciò che invece è materia di ingegneri e architetti che hanno svolto uno specifico percorso e seguono delle norme ben precise per poter esercitare la loro professione».
Il diavolo è nei dettagli, aggiunge Pagani. Per avvalersi di questo escamotage Comuni e università firmano delle convenzioni, che però «possono dar vita a un bel libro per finalità di ricerca, non a un progetto. Certo affidarsi a un ateneo dà un alone di rispettabilità all’operazione, che però resta scorretta», insiste. E infatti «ci sono università che fanno anche da service di rilevamento con i droni, e non va bene. Quella è un’attrezzatura che costa, e i professionisti non possono pagarla con soldi pubblici». Visto quanto deciso dal Tar catanese possiamo aspettarci che questa pratica finisca qui? «Ce lo auguriamo», chiosa Pagani.
In copertina: Biblioteca dell’Università Kore ©unikore.it
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