Case a 10 euro al giorno e un fondo pubblico, la ricetta per salvare Milano

31-05-2024 Francesca Fradelloni 4 minuti

Al festival Utopian Hours sindacati, sviluppatori, progettisti e creativi in campo per superare l’emergenza abitativa in città

Rimanere o andarsene? Tra tutti i migliori progetti di city making nel mondo, raccontati dai loro protagonisti durante il festival Utopian Hours, appena svoltasi negli spazi di Step nel capoluogo lombardo, il caso Milano è elemento di forte criticità e dibattito. La pressione che la città esercita su chi non può permettersi di accedere a un’abitazione dignitosa, è parte del focus italiano del talk “Living or leaving? On affordable housing and the market” andato in scena con i contributi di Franco Guidi partner & amministratore delegato di Lombardini22, Davide Coppo brand managing editor di Rivista Studio, Fiorenza Lipparini direttore generale di Milano&Partners, Massimo Bricocoli direttore DAStU del Politecnico di Milano e Luca Stanzione, segretario generale della Cgil Milano.

Negli ultimi venti anni, le trasformazioni urbane a Milano hanno segnato una fase di forte ri-centralizzazione e di crescente attrattività.

Di grande aiuto per inquadrare il fenomeno i dati e le elaborazioni dell’Osservatorio casa abbordabile di Milano Metropolitana (OCA). «Oggi noi sappiamo che i prezzi delle abitazioni crescono tre volte più velocemente dei redditi, e con 1.400 euro di retribuzione ci si può permettere di acquistare o affittare in media solo 23 metri quadri! La vera straordinarietà del fenomeno è che la condizione lavorativa non è più sufficiente per abitare la città, ed emerge evidente il rischio di una progressiva espulsione di individui e nuclei a reddito basso», spiega Bricocoli. «Quello che sta succedendo oggi non è un evento naturale, ma un fenomeno che nasce già dal 2010 con una precisa volontà politica e di investimenti anche nazionali che hanno proiettato Milano fino a qui. Una casa per tanti, ma non per tutti, e neanche per una quota sufficiente di cittadini. Secondo i dati in nostro possesso il 57% dei cittadini milanesi ha un reddito al di sotto dei 26mila euro annui. In tanti ci raccontano che dal 2015 al 2021 si segnala un aumento degli stipendi, ma sono solo quelli in fascia alta a crescere».


E allora diventa sempre più importante, quando si parla di housing sociale, parlare di retribuzioni e di mercato del lavoro.


Quindi giusto identificare Milano come una città europea, ma sarebbe bene farlo anche considerando il potere d’acquisto dei suoi cittadini e non solo le opportunità e gli investimenti stranieri.

Non solo. Milano città creativa, a detta di tutti, motore sì dell’economia in Italia e in Europa, ma anche metropoli capace di attrarre e integrare intelligenze, competenze professionali e talenti. La sua storia rappresenta il caso di riferimento per comprendere le opportunità offerte da quella che Richard Florida con una fortunata e famosa definizione ha chiamato la nuova “classe creativa”. Professionisti che dall’architettura all’ingegneria, dalla matematica all’informatica, dalla scienza all’arte, dallo spettacolo alla comunicazione, dal design alle scienze sociali rappresentano l’essenza dell’economia della conoscenza. Ma cosa succederà se questi individui, giovani e meno giovani, creativi e addetti alla cultura, saranno sempre più tagliati fuori dalla metropoli delle eccellenze? Quale crescita ancora, se scrittori, poeti, giornalisti, designer, giovani progettisti e giovani editori non possono più permettersi di diventare stanziali nel capoluogo lombardo? Perché è proprio questa classe creativa che nel tempo ha formato, in parte, l’humus giusto per attrarre vecchie e nuove economie. «Nel 2010 Milano si afferma grazie alla sua vivacità culturale e intellettuale: club, giornali, artisti e musicisti fanno fare il grande salto. Oggi noi non possiamo perdere il privilegio di avere queste persone. Io oggi faccio lo scrittore e lo posso fare perché la casa che mi sono comprato nel 2014 l’ho pagata forse un terzo di quanto la pagherei nel 2024. In sintesi, io oggi non potrei vivere a Milano», spiega Davide Coppo.

E allora quali le soluzioni emerse? «Dobbiamo metterci a ragionare su case da affittare per 10 euro al giorno. Perché la risposta alla grande domanda di abitazioni per il ceto medio parte proprio dal costo», propone Guidi di Lombardini 22. «Milano rischia di bloccarsi, lo vediamo dalla difficoltà di reperire infermieri negli ospedali, autisti degli autobus, educatrici delle scuole materne, professori dei licei e ricercatori all’Università», continua.

Serve un cambiamento di paradigma per l’intera filiera dell’abitare (tema su cui si confrontano in molti come Legacoop Abitanti o con proposte pubblico-private come nel caso di Coima e Ccl ), non è né una suggestione né una provocazione, secondo il manager, perché il prezzo che sbloccherebbe il mercato deve diventare il vero obiettivo. Non solo costruttori. La filiera va dalla finanza alla pubblica amministrazione, passando per progettisti, architetti, operatori immobiliari. In questo luogo dove siamo un po’ tutti determinanti e responsabili. Dalle norme alle scelte urbanistiche fino alle risorse finanziarie. «Perché – conclude Guidi – una città che soffre per un diffuso disagio genera costi per tutti».

Insomma, Milano è a un bivio, serve una chiamata alla corresponsabilità da parte di tutti i soggetti che la abitano. «Noi chiediamo che gli enti locali, Regione e Comune, pensino a un Fondo pubblico a garanzia di quelle linee di credito che consentano di costruire le case in proprietà indivisa (alloggi che vengono assegnati ai soci mediante contratto di godimento, senza il trasferimento della proprietà). Noi abbiamo in città sei Fondi di investimento internazionali che stanno cambiando la faccia di Milano, anche in bene, che hanno un altissimo ritorno in pochissimo tempo, il 20 per cento. Ma sappiamo che questi non si metteranno mai ad investire sulla proprietà indivisa per questo è necessario un Fondo di garanzia pubblico che abbia un ritorno dell’investimento più paziente, anche in 30 anni. Il sindacato, da parte sua, può ragionare sulla leva della contrattazione di secondo livello e immaginare di orientare una parte di quella quota di salario sull’abitare». Perché la crescita non deve lasciare indietro nessuno.

In copertina: ©Andrew

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Francesca Fradelloni
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