“Casa rebus”: esortare gli architetti a essere coraggiosi e visionari
Nel libro di Giordana Ferri e Alessandro Scandurra la riconfigurazione dello spazio abitativo come priorità
Ricette e proposte per un pensiero nuovo sulla casa di domani. Committenza illuminata e progettisti più coraggiosi possono essere le soluzioni per quello che vuol essere uno stimolo a ripensare le abitazioni nelle forme costruttive. Lo spazio non è che la trasfigurazione materiale di come l’uomo ha pensato il rapporto fra i perimetri fisici e quelli sociali. La casa come proiezione del sé e dei propri bisogni. È nato così, proprio come un incoraggiamento, il libro “Casa Rebus” (LetteraVentidue, 2023), scritto dagli architetti Giordana Ferri (direttore della Fondazione Housing Sociale) e Alessandro Scandurra (Scandurra Studio Architettura).
La riconfigurazione dello spazio abitativo potrà pure sembrare un tema non urgente, in confronto alla grande notiziabilità di questi ultimi mesi che riguarda l’emergenza abitativa, ma il libro “Casa Rebus” ha la sensibilità di aver capito come centrale sia il tentativo, negli anni, di risolvere i problemi sociali ed economici attraverso la sperimentazione di nuove soluzioni architettoniche e tipologiche, ripensando anche quelli che possono apparire come dei dettagli.
La crisi economica e sociale del primo dopoguerra, profonda e complicatissima, ha prodotto tra le più importanti rivoluzioni nell’ambito dell’abitare, per esempio.
Seguendo il percorso che dalle dimore storiche porta alle strutture contemporanee, si possono delineare i limiti che impediscono la rielaborazione e l’innovazione di schemi ormai superati. Ma quali?
«A volte è necessario operare anche piccoli scostamenti dall’idea consolidata e provare a collocarsi in un campo neutro», riflettono gli autori nel volume. «La nostra vuole essere una riflessione per sovvertire uno status quo spaziale che ha caratterizzato a lungo l’architettura occidentale, nella speranza di suggerire un nuovo punto di vista svincolato e fluido. La percezione degli ambienti è profondamente legata allo stile di vita degli abitanti. Ha senso oggi mettere in discussione le connessioni e gli attributi spaziali consolidati?», spiega Giordana Ferri.
Questo libro va anche interpretato come un’esortazione ai progettisti a riprendersi in mano, con coraggio e libertà, i destini dello spazio domestico, nonché un invito ai fruitori a uscire dalla propria comfort zone per esplorare le potenzialità dello spazio abitativo.
«Certo a volte lo stop arriva dalla committenza che oggi però ha anche imparato ad essere illuminata. Quindi a volte si è davanti a un circolo vizioso dove il bisogno è spesso indotto. Ci vorrebbe una cultura dello spazio e l’architetto dovrebbe fare più sforzi e alzare l’asticella. Lo sappiamo bene che il “prodotto casa” è un prodotto potente, ma il progettista deve osare di più visto che c’è comunque un’apertura evidente da parte dei clienti e dei committenti. Per quanto riguarda l’housing sociale l’esortazione non cambia, anche nell’ottimizzazione degli spazi ci si possono porre degli interrogativi nuovi», conclude il direttore della Fondazione Housing sociale.
«Proprio perché la casa nella quale tutti viviamo non è più solo un rifugio, ma è un’infrastruttura d’accesso al mondo, un terreno di scambio tra l’interno e l’esterno, un luogo dove si compiono innumerevoli e importanti esperienze che compongono la nostra vita e quella di chi vive con noi», ripetono gli architetti.
Il libro prova a mettere in discussione tutti gli elementi compositivi della casa, sin da quelli elementari, che nel testo vengono chiamati standard, per poter pensare all’abitazione avendo sgomberato il campo da qualsiasi costrizione.
«Per migliorare l’approccio si dovrebbe adottare un’ottica che guarda oltre le necessità tecniche e i vincoli normativi, ricercando il connubio tra estetica e funzionalità, standard e bisogni contemporanei», interviene Scandurra. «Come ci insegna la storia, le soluzioni più innovative sono scaturite in risposta a problematiche sociali ed economiche; per questo motivo si dovrebbe approfittare dell’instabilità contemporanea per ricercare modelli maggiormente in linea con la comunità. Gli esercizi suggeriti in “Casa Rebus” spingono a sperimentare la plasticità potenziale degli spazi, che con la giusta apertura mentale possono modellarsi alle abitudini e agli atteggiamenti dei fruitori, scardinando stereotipi ormai fossilizzati nel tempo», conclude l’architetto.
«Perché la camera da letto si chiama così? Forse perché è la stanza per ospitare il letto e non la persona che ci dorme? In effetti il letto occupa uno spazio considerevole della stanza non solo dal punto di vista dimensionale, ma anche per l’importanza che gli viene attribuita e per come le regole distributive che si associano a questo locale condizionano fortemente il risultato finale. Si può cambiare tutto, ma non la camera da letto matrimoniale! Perché l’armadio sta in camera? La camera da letto matrimoniale è una sorta di dinosauro degli standard dell’abitare: anche se le funzioni che vi si svolgono, oltre al dormire, non sono affatto secondarie, rimane una zona univocamente funzionale, quasi come il bagno. In camera sembra impossibile poter fare qualcosa di diverso dall’usare il letto. Veramente la camera da letto ospita solo il letto? Avere una camera solo per dormire, non è un’idea po’ obsoleta, riduttiva?». Come si può leggere in questo stralcio del libro si richiama anche l’esigenza di tornare a pensare agli spazi anche rispetto alla loro capacità di offrire ricchezza e articolazione alla percezione.
In copertina: Casa Rebus, libro di Giordana Ferri e Alessandro Scandurra
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