Architettura minuta ed estrema, ecco come è nato il nuovo bivacco Fanton

02-11-2021 Paola Pierotti 4 minuti

A sei anni dal concorso indetto dal Cai, pronto sulle Dolomiti il progetto firmato Demogo

Tutte le persone coinvolte nel processo di costruzione sono persone che frequentano assiduamente la montagna e che conoscono profondamente il territorio.
Simone Gobbo

Il nuovo bivacco Fanton è un guscio protettivo in quota, un volume sbozzato in pendenza che abita la Sella delle Marmarole nelle Dolomiti, uno spazio sconfinato a 2.667 metri sul livello del mare, un contesto fatto di roccia, luce, vento, neve e distanze». Così Simone Gobbo, partner dello studio Demogo racconta il nuovo progetto firmato dallo studio veneto, vincitore di un concorso indetto dal CAI, dalla sezione cadorina di Auronzo, nel 2015. «Il suo corpo in fibra di vetro si piega lungo il profilo della falesia e disegna un tracciante visivo, un tentativo di amplificare e inquadrare il paesaggio, uno spazio coagulato attorno alla tensione tra la vastità dell'architettura naturale delle Alpi e quella minuta del bivacco».

Con un concorso, come quelli vinti in questi mesi da Demogo sia per la sede Gibus che per il Nuovo Flaminio a Roma, lo studio con base a Treviso si è aggiudicato la sfida del nuovo bivacco.

Il bivacco Fanton, progetto di Demogo. ©Iwan Baan

Una micro-architettura. «In numeri – racconta l’architetto Gobbo – il Fanton è un progetto sbilanciato, dove tempo e energie non coincidono con le superfici, 30 mq hanno richiesto più di 10mila ore di progettazione, con il coinvolgimento di tutto il nostro studio e di diversi consulenti esterni. L’edificio pesa 1900 kg ha una sagoma sbozzata con una pianta di circa 10 metri per 3, con uno spessore strutturale di 5 cm, la geometria variabile ha prodotto un interno ligneo composto di più di 500 pezzi differenti tra imbonaggi e rivestimenti, è un progetto costituito di minuterie di elementi progettati singolarmente». La scala del progetto non è quella dell’oggetto in sé, «ma è la misura di un luogo di un contesto in senso esteso, e tutto questo comporta una complessità e un tempo dentro al quale la dimensione autoriale deve trovare collocazione. Non c’è misura in un contesto naturale come quello dolomitico – aggiunge l’architetto – le energie e l’azione non si possono riportare ad un controllo, serve generosità».

In campo un team interdisciplinare per l’ingegneria e per la componente di innovazione industriale: con gli architetti anche Franzoso ingegneria (per le strutture) e Advanced Mechanical Solutions (per la struttura del guscio), Maila’s (per la realizzazione del guscio), Dolomwood (per il rivestimento interno), Alpewa – Piller Cottrer (per quello esterno) e ancora Aldena (per i serramenti), Soprema Group (per l’isolamento) e Consorzio Disgaggi Padolese (per le opere di fondazione).

I tempi. Tra progetto e realizzazione c’è stato un processo molto lungo, durato sei anni, un tempo lunghissimo per un piccolo edificio di 30 mq, ma un tempo che ci ha permesso di espandere lo spazio del progetto e delle riflessioni sull’opera. «Il cantiere è stato molto complicato, con questioni logistiche legate all’elitrasporto in quota e alle condizioni atmosferiche che ci hanno continuamente costretti a ridefinire le nostre logiche di azione. Costruire in alta quota ti costringe a piegare la scansione delle sequenze costruttive, e a definire un metodo di progetto e lavoro nuovo, ogni cosa a 2.700 metri ha un valore e un senso differente».

«Il processo di industrializzazione è stato fondamentale, abbiamo attinto dal mondo della nautica, la scocca è tutta in fibra di vetro e carbonio, e dal mondo della pre-fabbricazione in acciaio per il pianale realizzato tutto con profili standard adattati all’inclinata di progetto. Non c’è stata un'unica impresa, ma una rete di competenze distribuita in singole realtà che abbiamo dovuto coordinare, operatori scelti per il carattere di innovazione delle loro piccole imprese, e per la confidenza con l’alta quota. Tutte le persone coinvolte nel processo di costruzione – racconta Gobbo – sono persone che frequentano assiduamente la montagna e che conoscono profondamente il territorio. In questo aspetto c’è un legame profondo tra le persone e il nuovo bivacco Fanton, si è creata una compattezza e una condivisione di intenti forte, aspetto legato al tempo passato in forcella Marmarole, e alla consepvolezza di costruire un’opera che le persone aspettavano da tempo». Il Nuovo bivacco Fanton, come ricordano dallo studio, si trova in quel luogo in ragione dei precedenti fallimenti, e delle difficoltà che in passato non avevano permesso di realizzare il bivacco in alta montagna, è una storia che nasce dal desiderio di raccogliere una sfida, un’eredità che la comunità di Auronzo di Cadore portava con sé da tempo.

Il design. All’interno un ventre ligneo attutisce l'impatto della natura selvaggia, la fibra di vetro che si inspessisce strato su strato, come una seconda pelle, diventa guscio e struttura insieme. Il volume è definito dalla natura, un’architettura caratterizzata da un profilo fortemente inclinato che si adatta all’orografia delle Marmarole. Un’architettura capace di estendersi, reagire, accumulare dilatazioni e contrazioni, farsi elitrasportare, scomparire nella neve; una pietra incastonata tra le Dolomiti, ma al contempo capace di mimetizzarsi nella grandezza del paesaggio.

In copertina: Il bivacco Fanton, progetto di Demogo. ©Iwan Baan 

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Paola Pierotti
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