18-10-2019 Elena Pasquini 5 minuti

Acque e terreni sotto lo scacco dell’inquinamento: Ispra fotografa i danni ambientali

Sicilia, Campania e Lombardia con il maggior numero di istruttorie aperte nel 2017 e 2018 secondo il primo Rapporto dell’istituto. Cantieri tra le attività “a rischio”

Dai dati appare evidente la connessione del danno ambientale con il tema del ciclo dei rifiuti e degli abusi edilizi

 

Roberto Morassut

Sono stati 240 gli incarichi che il Ministero dell’Ambiente ha conferito a Ispra tra il 2017 e il 2018 per la verifica dell’eventuale danno ambientale. Trenta i casi accertati di sussistenza, di cui 22 trattati giudizialmente (penali o civili) e 8 come extra-giudiziari. In dieci casi, il dicastero si è costituito parte civile. Nella fotografia presentata alla Camera dei Deputati dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) – la prima a oltre 30 anni dalla prima norma in Italia per la tutela dell’ambiente (legge n. 349/1986) e a 10 dal recepimento della direttiva 2004/35/CE – rientrano le discariche di Chiaiano e Casal di Principe in Campania, quelle di Malagrotta e Anagni nel Lazio oltre a quella di Bellolampo in Sicilia ma anche le emissioni della Tirreno Power a Vado Ligure e Quiliano e l’interramento di fanghi e scarti di lavorazione a Rende, in provincia di Cosenza.

Applicazione e funzione della norma – «Una materia complessa, quella del danno ambientale – ha affermato Alessandro Bratti, direttore generale di Ispra, introducendo la mattina di lavori – con una normativa incompleta che non trova uniformità d’applicazione nei Paesi comunitari e una confusione tra danno, bonifica ed ecoreati. La risposta che viene data è generalmente di carattere penale ma forse dovremmo verificarne l’efficacia visto che la legislazione ha l’obiettivo di ripristinare una situazione violata». Sulla stessa linea anche Giuseppe Battarino, magistrato, a cui è affidata la moderazione della tavola rotoda: «La norma di diritto penale ha in questo caso una funzione ripristinatoria, o meglio ancora restitutoria, che riguarda molto concretamente gli attori chiamati a intervenire. E se è vero che ci sono margini di miglioramento della legge, a normativa vigente ci sono spazi attivabili»

Scarsa consapevolezza – La mancanza di informazioni e di dati eterogenei è un cruccio anche per la Commissione Europea, che attraverso Hans Lopatta, della Directorate General for Environment, accoglie con favore il Rapporto e auspica l’estensione del metodo di lavoro agli altri Stati.

La ricognizione riguarda la fase di accertamento tecnico-scientifico di Ispra su richiesta di Ministero, unico titolare dell’azione in sede giuridica e legislativa. In più, aggiunge un’indagine presso gli stakeholder perché la materia «coinvolge molti attori pubblici e privati», ha sottolineato Daniela Aponte, direttore del centro nazionale crisi, emergenze ambientali e danno di Ispra. Ma «non è un punto d’arrivo – ha continuato – bensì un momento di dialettica per individuare nuove formule per un miglior esito delle azioni intraprese».

Due le criticità:

  1. L’efficacia reale della via giudiziaria rispetto a quella amministrativa. Con la specificità di capirne la rapidità visto che il tempo è elemento variabile nell’accertamento e nella riparazione, con ricadute dirette nel caso di riparazione compensativa.
  2. la mancanza di sedi di raccordo e di confronto, sulla falsariga delle Conferenze di servizi, per la scrittura delle norme, lì dove dall’applicazione si siano verificati dei vuoti o dei limiti o dei conflitti tra leggi.

La proposta di un’assicurazione obbligatoria – Nel biennio 2017-2018, per i 30 casi sui quali si è accertato un grave danno o minaccia ambientale, il 32% ha interessato le acque sotterranee. «La causa più frequente di contaminazione della falda, nella nostra esperienza, sono i serbatoi interrati. Per mancanza di manutenzione – ha affermato Lisa Casali di Pool Ambiente (consorzio che riunisce 22 compagnie di assicurazioni, nato dopo il disastro di Seveso) – La normativa è severa e punitiva, ma la prevenzione?»
La proposta è quella di usare l’introduzione nell’ordinamento dell’obbligatorietà di un’assicurazione per aumentare la percezione del costo insito nel danno.

I contesti giuridici si muovono in quelli culturali e politici e sia Lory Furlanetto, Legambiente, sia Caterina Mancusi, Confindustria, inseriscono le riflessioni in un quadro più ampio di fatti, domande e risposte. «Le imprese hanno internalizzato nei propri bilanci il tema della prevenzione del danno ambientale – ha affermato la Mancusi -. Il Rapporto Bei 2018 fissa nell’87%  la percentuale di aziende italiane che ha valorizzato la voce di costo “innovazione”, 49 volte su 100 per sostituire vecchi macchinari; il 10% ha investito in innovazione e ricerca. Ma esiste un tema di costi dettati dal “non fare” della politica che le colpisce loro malgrado. Necessario un piano di sforzi sostenibili, da inserire in legge di bilancio».

Rifiuto: ricchezza o problema? – Le proposte restano sul tavolo per trovare una risposta da parte della politica. Ma che il tema sia complesso ed eterogeneo è evidente nella dialettica tra Roberto Morassut, Sottosegretario di Stato al ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare, e Stefano Vignaroli, Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Sullo sfondo il tema della definizione della normativa e della maggiore effettività del principio “chi inquina, paga”. Morassut promette un “new deal” a livello ambientale, tanto a livello ministeriale (nella riorganizzazione la volontà di attivare una direzione operativa sul danno ambientale) quanto in quello parlamentare (dove al momento si lavora sui provvedimenti Salvamare e Clima).

«Appare evidente dai dati la connessione del danno ambientale con il ciclo dei rifiuti e degli abusi edilizi» afferma Morassut che, riprendendo il rapporto Ispra sul consumo del suolo, si sofferma sul vuoto normativo rispetto al trattamento dei materiali prodotti nelle attività di rigenerazione urbana, sull’espansione dei perimetri urbani e sulla riconversione del processo edilizio. Per poi fare una riflessione sulla connessione tra modello economico e fenomeno del danno ambientale: «La produzione di rifiuto è ricchezza ma, per la mancanza di infrastrutture di gestione al sud, questa ricchezza non produce valore sul territorio da cui origina».

«Il rifiuto che produce maggiore ricchezza è quello che non viene prodotto – controbatte Vignaroli – Spero abbia spazio la disciplina sul vuoto a rendere, la distribuzione alla spina e la riduzione degli imballaggi». Ma il punto d’equilibrio tra le posizioni oltre che tra incentivi e obblighi, semplificazione e tutela resta la consapevolezza che tutte le istituzioni devono dare il proprio contributo, altrimenti il cittadino perderà sempre.

Qui il Rapporto Ispra in forma digitale

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Elena Pasquini
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