Presentato lo studio dell’economista Cottarelli: se si riduce il rendimento gli sviluppatori non costruiscono alloggi calmierati. Solo il 28% del fabbisogno stimato
A fronte di una richiesta complessiva stimata di 9.300 nuove abitazioni ogni anno fino al 2038, a Milano sono state vendute nel primo trimestre del 2024 solo 648 abitazioni nuove. Si potrà arrivare alla vendita, su base annua, di circa 2.600, cioè solo il 28% del fabbisogno stimato. La logica è semplice ed è quella che muove il mercato. A decidere aumenti e calo dei prezzi non sono i costruttori, ma il rapporto tra domanda e offerta. Parola di Carlo Cottarelli, economista di fama mondiale, che ha vissuto direttamente il cuore della politica italiana una volta come presidente del Consiglio incaricato e l’altra come senatore, oggi chiamato da Aspesi, Assimpredil Ance e Confindustria Assoimmobiliare a raccontare con uno studio lo sviluppo immobiliare a Milano e la crisi abitativa.
Per decenni in Italia questa esigenza è stata soddisfatta anche con un intervento diretto del settore pubblico con l’edilizia “popolare” entrata in crisi negli anni Ottanta per l’esaurirsi dei fondi pubblici disponibili. L’approccio da allora seguito per cercare di assicurare un’offerta di abitazioni a prezzi più bassi, è stato basato su vincoli regolamentari, condizionando i permessi alla costruzione di una quota di abitazioni in edilizia residenziale sociale (Ers). Lo studio mette a confronto i conti economici della realizzazione di un immobile (sotto i 10mila metri quadri) analizzando due diversi scenari, il primo tutto in edilizia libera ed il secondo con il vincolo di riservare il 50% all’edilizia residenziale sociale.
Utilizzando la normativa recentemente modificata e i valori attuali di prezzi di vendita e costi di produzione, l’analisi dimostra che, in presenza di vincoli Ers, il progetto di sviluppo si concluderebbe con oltre un milione di perdita per l’impresa costruttrice.
Questi risultati spiegano perché gli ultimi bandi del programma Reinventing Cities siano andati deserti, bloccando così la realizzazione non solo di abitazioni sul mercato libero, ma anche di quelle per l’edilizia residenziale sociale.
«Se i vincoli sono troppo stretti – spiega l’economista – si riduce il rendimento dell’investimento, l’intero progetto va in perdita e gli sviluppatori insieme alle imprese non costruiscono più case Ers. Paradossalmente, obblighi più stringenti volti a favorire la produzione porterebbero quindi a una minore offerta di abitazioni». Da qui i numeri bassi delle nuove costruzioni. Numeri, però, che non seguono l’andamento demografico nella città di Milano. Infatti, la popolazione milanese è prevista crescere da 1.419.100 residenti nel 2023 a 1.483.400 nel 2039. Inoltre, i nuclei familiari stanno diventando più piccoli. Tutto sommato il numero di famiglie residenti è stimato crescere di quasi 74mila unità tra il 2023 e il 2038 (quasi 5mila all’anno). La richiesta di nuove abitazioni sarà anche alimentata dall’elevato turnover dei residenti: meno del 40% degli attuali residenti a Milano lo erano 15 anni fa. «Ipotizzando che anche solo il 15% di queste nuove famiglie residenti desideri una casa nuova, la richiesta aggiuntiva di nuove abitazioni salirebbe di altre 4.300 all’anno per un totale di 9.300 nuove abitazioni all’anno per i prossimi quindici anni», spiega Cottarelli.
Lo studio propone infine alcune linee di intervento per far ripartire lo sviluppo immobiliare a Milano, soddisfacendo così l’elevata richiesta di nuove abitazioni e frenare la crescita dei prezzi delle case. Una riduzione della quota in Ers, dagli attuali livelli del 50% o più a, per esempio, il 15-20%, potrebbe aumentare non solo l’offerta sul mercato libero, ma anche la disponibilità degli appartamenti Ers. Un altro elemento potrebbe essere, il taglio dei tempi morti burocratici che ridurrebbe oneri finanziari e altri costi legati all’incertezza sui tempi di realizzazione. Su cinque anni di sviluppo di un’operazione immobiliare i tempi burocratici (istruttoria, richiesta e rilascio delle necessarie autorizzazioni, certificazione della bonifica, eccetera) prendono tre anni. Si potrebbe, inoltre, tornare in parte alla cosiddetta “edilizia convenzionata regionale”, superata dall’attuale Pgt e che comportava un prezzo più alto di vendita rispetto a quello attualmente praticato per la Ers. Questo però comporta un onere per le famiglie. Infine, il Comune potrebbe porre come base d’asta per i terreni prezzi molto bassi. Ma ci sarebbe un costo per la collettività, con le relative implicazioni politiche e sociali in seguito alle minori entrate di liquidità nelle casse del Comune. «Un mix equilibrato tra queste quattro possibili misure, sembra essere l’unica strada – dice Regina De Albertis presidente Assimpredil Ance – sempre con l’impostazione di norme chiare e trasparenti».
In copertina: ©nikitamaykov, AdobeStock
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