Dal ProteggItalia al Cantiere ambiente, tutte i tentativi (a vuoto) del nostro Paese
Approvare entro un mese, il Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico. Questo l’impegno assunto dal governo italiano dopo la tragedia di Ischia dello scorso fine settimana che ha riportato in primo piano i problemi legati al dissesto idrogeologico e a una politica spesso disattenta.
È stata la stessa premier Giorgia Meloni ad annunciarlo, spiegando che: «I ministri competenti effettueranno una ricognizione sia delle risorse già esistenti sia del personale da mettere a disposizione dei Comuni, a partire da quelli più piccoli. Sarà creato anche un gruppo di lavoro interministeriale per gli interventi di medio e lungo periodo».
Nonostante gli annunci dell’esecutivo però, proprio per evitare eventi simili, nel marzo del 2019 il I governo Conte aveva varato il Piano nazionale per la sicurezza del Territorio o ProteggItalia, per contrastare il dissesto idrogeologico, per la messa in sicurezza del territorio e per opere di prevenzione del rischio.
ProteggItalia si articola su quattro pilastri: emergenza; prevenzione; manutenzione; semplificazione e rafforzamento della governance.
Nello specifico la norma stanziava per il triennio 2019-21 10,853 miliardi per progetti e interventi infrastrutturali; di questi tre miliardi erano destinati ad opere urgenti. Oltre a quelli più strettamente legati all’emergenza, ampio spazio era dedicato alla prevenzione e alla manutenzione. I lavori dovevano riguardare: la messa in sicurezza dei corsi d’acqua, l’adozione di sistemi per la moderazione delle piene, la difesa di infrastrutture e abitanti dai movimenti franosi, la protezione delle coste, la gestione del rischio anche attraverso il monitoraggio del dissesto, gli interventi strutturali e non strutturali per la riduzione del rischio idrogeologico e il miglioramento dello stato ecologico dei corsi d’acqua.
Circa il 94% dei comuni italiani è a rischio dissesto e soggetto ad erosione costiera e oltre 8 milioni di persone abitano nelle aree ad alta pericolosità.
Legato al ProteggItalia, il Cantiere ambiente, una norma approvata a maggio 2019 per realizzare gli obiettivi indicati nel Piano consentendo di spendere 6,5 miliardi di euro. In base a questo il ministero dell’Ambiente anticipa il 30% dei fondi alle Regioni per gli interventi programmati, con risorse anche per la progettazione, fino a 135 milioni di euro.
Anche nel Pnrr è dedicato ampio spazio a questo problema, tanto che sono stati destinati a tale emergenza dal 2020 al 2026, un totale di 2,487 miliardi di euro, di cui 1,287 di competenza del ministero della Transizione ecologica per progetti già in essere, con risorse esistenti nel bilancio e 1,200 miliardi della Protezione civile, di cui 800 milioni costituiscono risorse aggiuntive
Tanti soldi, ma pochi quelli spesi.
Nell’ottobre del 2021, infatti, la Corte dei Conti osservava che se da un lato il Piano nazionale aveva unificato il quadro generale dei finanziamenti, dall’altro non aveva risolto i problemi dell’unificazione dei criteri e delle procedure di spesa, dell’unicità del monitoraggio e dell’accelerazione della spesa. Sottolineando come l’Italia con circa i 2/3 delle frane censite in Europa, sia il Paese maggiormente interessato da fenomeni franosi.
La Corte ribadiva la necessità di superare le gestioni straordinarie e semplificare i processi verso un rientro ad un regime ordinato di competenze, con una programmazione in via ordinaria della gestione del territorio che garantisca la progettazione e realizzazione degli interventi.
Fra le criticità, la magistratura contabile ha rilevato l’eccessiva proliferazione e frammentazione delle piattaforme e dei sistemi informativi relativi agli interventi e la debolezza degli strumenti e delle modalità di pianificazione territoriale, in grado di attuare una politica efficace di prevenzione e manutenzione. Nonostante le semplificazioni introdotte, restano, infatti rallentati sia l’adozione dei processi decisionali che quelli attuativi, spesso condizionati da lunghe procedure concertative nazionali e locali. Ulteriori problematiche irrisolte restano la capacità progettuale delle Regioni, la carenza di profili tecnici e la scarsa pianificazione del territorio.
Altro problema quello della lentezza perché, si legge nel documento emesso dai giudici, «in media occorrono più di quattro anni per completare le opere di contrasto e prevenzione».
A complicare il quadro gli ultimi dati dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, secondo cui nel 2021 è aumentata la superficie nazionale potenzialmente soggetta a frane e alluvioni: l’incremento sfiora rispettivamente il 4% e il 19% rispetto al 2017; inoltre quasi il 94% dei comuni italiani è a rischio dissesto e soggetto ad erosione costiera e oltre 8 milioni di persone abitano nelle aree ad alta pericolosità.
Foto di copertina tratta dal profilo Facebook di Umberto Mosso
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