Chiusa a Glasgow la conferenza sul Clima. Il report e la sintesi di Maurizio Tira

15-11-2021 Il contributo 7 minuti

Ecologia integrale. In otto punti i dettagli del compromesso della Cop26

La Conferenza si è aperta sottolineando l'urgenza di una maggiore ambizione e azione in relazione alla mitigazione, all'adattamento e al finanziamento, in questo decennio critico per colmare le lacune nell'attuazione degli obiettivi a lungo termine dell'accordo di Parigi.

Sono circa le 21.00 del 13 novembre quando la Conferenza delle Parti conclude la votazione del lunghissimo ordine del giorno dell’ultima sessione. Il prolungamento si è reso necessario per arrivare ad un accordo, cui tutti aspiravano, anche se probabilmente con contenuti diversi. La sala delle plenarie dello Scottish Event Campus di Glasgow risuona di un lungo applauso quando Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, invita all’approvazione di un accordo a tutti i costi, anche se questo può scontentare molti. Si invocano sempre le nuove generazioni, la responsabilità (il mondo ci guarda), la sfida non più rinviabile, la necessaria solidarietà. In effetti le giovani generazioni, ampiamente minoritarie negli spazi ufficiali, fuori si sono fatte sentire, con una capacità di analisi e determinazione che andrebbero meglio valorizzate. L’esperienza della Youth4climate ospitata a Milano a fine settembre, che sarà ripetuta nelle prossime COP, è una modalità da approfondire e rendere maggiormente efficace.

Dunque, cosa ha prodotto la Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change- Unfccc)?

Il punto di partenza è chiaro: secondo il sesto rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), l'organismo delle Nazioni Unite per le valutazioni scientifiche relative al cambiamento climatico, tali cambiamenti nella loro portata ed evoluzione sono senza dubbio dovuti alle attività umane (produzione e consumo di energia, attività industriali, trasporti, edilizia, agricoltura) e se continuasse secondo il trend “business as usual” l’incremento della temperatura a fine secolo varierebbe tra 2,1 e 3,5 °C rispetto al 1850.


Solo con consistenti riduzioni delle emissioni di gas climalteranti (del 45% entro il 2030 rispetto al livello del 2010 e a zero netto intorno alla metà del secolo), si potrà contenere l’incremento di temperatura entro gli 1,8 °C.


La stessa consapevolezza è stata espressa anche dai capi di governo del G20 chiusosi a Roma il giorno prima dell’inizio della Cop26 a Glasgow.

Il presidente Alok Sharma, che ha profuso un impegno davvero ammirevole, ha espresso chiaramente allarme e preoccupazione per il fatto che le attività umane hanno causato fino ad oggi circa 1,1 °C di riscaldamento (a partire dalla baseline del 1850), che gli impatti si stanno già facendo sentire in ogni regione e che il bilancio del carbonio, coerente con il raggiungimento dell'obiettivo della temperatura dell'accordo di Parigi, si sta rapidamente esaurendo.

La Conferenza si è aperta sottolineando l'urgenza di una maggiore ambizione e azione in relazione alla mitigazione, all'adattamento e al finanziamento, in questo decennio critico per colmare le lacune nell'attuazione degli obiettivi a lungo termine dell'accordo di Parigi. Era chiara l'urgenza di intensificare l'azione e il sostegno per migliorare la capacità di adattamento e ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, in linea con la scienza e le priorità dei paesi in via di sviluppo, così come era evidente la preoccupazione che l'attuale finanziamento fosse insufficiente per rispondere al peggioramento degli effetti del cambiamento climatico nei paesi in via di sviluppo.

Il documento finale si divide in otto punti.

La consapevolezza dei risultati scientifici, basati sul lavoro del Working Group 1 dell’Ipcc, che si focalizza sull’urgenza di una maggiore ambizione e azioni concrete per la mitigazione, l’adattamento e la disposizione di risorse nella prossima decade, che sarà decisiva nel raggiungimento degli obiettivi della convention.

L’adattamento: gli eventi estremi e il loro impatto su popolazioni e natura continueranno ad aumentare. Quindi è urgente incrementare il sostegno economico, la costruzione di capitale umano, il trasferimento tecnologico per favorire le capacità di adattamento, aumentare la resilienza, ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, tenendo in conto le esigenze dei paesi meno economicamente sviluppati.


Si accolgono con favore i piani nazionali di adattamento, ma si esortano le parti a integrare ulteriormente l'adattamento nella pianificazione locale, nazionale e regionale.


Gli stati dovranno sottoporre i propri target di riduzione volontaria (NDCs) già nel 2022. Ad oggi, infatti, gli impegni volontari al 2030 porterebbero ad un taglio delle emissioni solo pari al 13,7 per cento.

I finanziamenti per l’adattamento: si prende atto che le previsioni di finanziamento per l’adattamento sono insufficienti per rispondere al peggioramento degli impatti del cambiamento del clima e si esortano le parti dei paesi sviluppati ad aumentare urgentemente e in modo significativo la loro disponibilità di finanziamenti per il clima, il trasferimento tecnologico e lo sviluppo delle capacità di adattamento. Si accolgono con favore le promesse fatte da molte parti dei paesi sviluppati per aumentare i loro finanziamenti, ma alla fine non si sbloccherà l’atteso versamento dei primi 100 miliardi di dollari, già previsti dal 2009, che dovevano essere erogati a partire dal 2020! Si invitano altresì le banche multilaterali di sviluppo e altre istituzioni finanziarie e anche i privati a migliorare la mobilitazione finanziaria, al fine di fornire le risorse necessarie per realizzare piani climatici. Il tema è stato sollevato da numerosi leader tra cui il premier Mario Draghi.

La mitigazione: nel riaffermare l'obiettivo globale a lungo termine di mantenere l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali (esito dell’accordo di Parigi 2015) e proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C, si evidenzia come limitare il riscaldamento globale a +1,5 °C richieda una rapida, profonda e prolungata riduzione delle emissioni globali di gas serra, compresa la riduzione del carbonio globale. Si invitano le parti ad accelerare lo sviluppo e la diffusione di tecnologie e l'adozione di politiche per la transizione verso l'energia a basse emissioni, anche aumentando rapidamente la diffusione della generazione di energia pulita e misure per l'efficienza energetica, compresa l'accelerazione degli sforzi verso la graduale riduzione di energia prodotta dal carbone senza abbattimento e l'eliminazione graduale dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili.

Merita notare che su questo punto la penultima bozza prevedeva lo stop al carbone e non la riduzione, ma l’India ha imposto questa modifica all’ultimo minuto. Lo stesso dicasi per i “sussidi inefficienti”, dove l’aggiunta dell’aggettivo è un altro compromesso dell’ultimo minuto.

La finanza: si rilevano con preoccupazione le crescenti esigenze dei paesi in via di sviluppo, in particolare a causa dei crescenti impatti dei cambiamenti climatici e dell'aumento dell'indebitamento come conseguenza della pandemia di coronavirus del 2019. Si sottolinea così la necessità di mobilitare i finanziamenti promessi ai Paesi in via di sviluppo, ribadendo il profondo rammarico che l'obiettivo delle parti dei paesi sviluppati di mobilitarsi congiuntamente per 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020 (e fino al 2025) non sia stato ancora rispettato.

Perdite e danni: si riconosce che il cambiamento climatico ha già causato e causerà sempre più perdite e danni e che, con l'aumento delle temperature, gli impatti di condizioni climatiche e meteorologiche estreme, come così come eventi a lenta insorgenza, porranno un sempre maggiore impatto sociale, economico e ambientale. Si ribadisce l'urgenza di intensificare l'azione e il sostegno, anche finanziario, il trasferimento tecnologico e lo sviluppo delle capacità, per attuare approcci per evitare, ridurre al minimo e affrontare le perdite e i danni associati agli effetti negativi del clima.

Implementazione: si riconosce l'importanza di proteggere, conservare e ripristinare gli ecosistemi per fornire servizi cruciali, ridurre la vulnerabilità agli impatti dei cambiamenti climatici e sostenere mezzi di sussistenza sostenibili, anche per le popolazioni indigene e le comunità locali. Si riconosce la necessità di garantire transizioni giuste che promuovano lo sviluppo sostenibile e l'eliminazione della povertà e la creazione di lavoro dignitoso e di qualità.

Collaborazione: si riconosce l'importanza della collaborazione internazionale sull'azione innovativa per il clima, compreso il progresso tecnologico, tra tutti gli attori della società, dei settori e delle regioni, al fine di contribuire al progresso verso l'obiettivo della Convenzione e gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Si esortano quindi le parti a garantire una partecipazione significativa dei giovani e una rappresentanza nei processi decisionali multilaterali, nazionali e locali.

Negli ultimi giorni si paventava la possibilità di non raggiungere un accordo, giacché – secondo alcuni – un cattivo accordo è peggio di un non accordo. Alla fine, è prevalsa la linea realista di un accordo unitario che, proprio in quanto tale, scontenti in qualche parte tutti i negoziatori. Non sarebbe stato sostenibile politicamente per nessuno ripartire da Glasgow a mani vuote: una parte sempre più larga della società e – ancora una volta – soprattutto dei giovani, non l’avrebbe tollerato!

In copertina: immagine tratta dal sito ukcop26.org

Maurizio Tira è rettore dell’Università degli Studi di Brescia e professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica. È presidente della Società italiana urbanisti.

 

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