Cingolani: Scegliere la sostenibilità non rimanga una “capacità di lusso” di chi è grosso e ricco
Oltre 3 milioni di posti di lavoro green – con il 35,7% dei nuovi contratti attivati nel corso del 2020 in questo comparto –, 441mila le imprese che hanno adottato tecnologie e implementato know how verdi tra il 2016 e il 2020 (nonostante il Covid), e un record in Europa del 79% nel riciclo dei rifiuti. È un’Italia “best in class”, come l’ha definita il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani, quella che emerge dal 12esimo rapporto GreenItaly, la ricercata curata da Fondazione Symbola con Unioncamere sulla green economy in Italia, presentata a Roma alla vigilia della Cop26 di Glasgow. Un quadro decisamente positivo del nostro Paese quello che emerge, anche in vista degli imminenti fondi che arriveranno con il Pnrr.
«Il rapporto intercetta una sfida mondiale – ha spiegato il presidente di Fondazione Symbola, Ermete Realacci – e si inserisce nel contesto europeo dove si sta concentrando un’enorme quantità di risorse in 3 settori: coesione, transizione verde e digitale. Questi sono i 3 canali del Next generation Eu, del Recovery, ma anche del bilancio ordinario dell’Europa. Affrontare la crisi climatica con coraggio – ha poi proseguito – non è solo necessario, ma è anche un’occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo, e per questo più capace di affrontare il futuro». E riguardo alla performance italiana, Realacci ha poi puntualizzato, anche «l’edilizia, che era il vero buco nero dell’Italia, dove mancavano tra i 5-600mila occupati nella filiera, è ripartita, perché ha cambiato rotta, anche grazie agli incentivi pubblici. Da giugno a giugno, sono aumentati di 130mila unità gli occupati nel settore, e aumenteranno ancora di più».
Sono dati e numeri che rincuorano, ma dai quali emergono anche alcune ombre: in primis la macchina della burocrazia e, a seguire, la potenziale mancanza di personale e di tecnici qualificati, un tema fortemente legato alla formazione.
Un’emergenza in cui si è impegnata anche Enel, presente alla discussione con l’ad e direttore generale Francesco Starace, che ha spiegato come «guardando al futuro, se il Pnrr continuerà con questa velocità, saranno necessari circa 15mila posti di lavoro addizionali nei quadri tecnici, per fare scaricare a terra gli investimenti che oggi non ci sono». Anche per il ministro Cingolani, intervenuto su questo tema specifico, il problema della formazione è «serissimo». Per il titolare del dicastero della transizione, infatti, «la transizione ecologica ed energetica devono partire a 6 anni come concetto, devono diventare materie fondamentali». Un cambiamento culturale per il quale saranno necessarie forti partnership tra pubblico e privato e «una riflessione nel campo della ricerca e sviluppo, dove, al pari di altre nazioni con lo stesso Pil pro-capite e apparato manifatturiero comparabile, abbiamo un deficit di 30-35mila ricercatori. Questa battaglia si gioca sulle competenze».
E sugli investimenti green delle aziende italiane, Cingolani ha aggiunto «ci sono luci e ombre. La luce è che per fortuna le grandi aziende investono», ha detto, facendo riferimento al dato che vede una percentuale preponderante di grandi imprese (71,8%) che compie questi investimenti, con solo il 28% delle piccole a portarli avanti. «Ma è importante che l’investimento in sostenibilità non rimanga una “capacità di lusso” di chi è grosso e ricco, ma che diventi qualcosa di fattibile anche per le piccole aziende, creando paramenti e attraverso meccanismi trasparenti». E sulla situazione del Meridione ha spiegato, «il Sud si muove, anche se non ancora come il Nord, tuttavia oltre il 40% dei fondi del Pnrr andranno lì, con punte del 60% in alcune aree».
L’emergenza climatica in cui ci troviamo richiederà anche e soprattutto misure straordinarie per portare avanti la transizione. «Con il Decreto semplificazioni – ha puntualizzato – abbiamo portato la procedura di rilascio dei permessi da circa 1.200 giorni a 250, e abbiamo creato una commissione ad hoc di 40 membri a tempo pieno per la valutazione dell’impatto ambientale dei progetti del Pnrr. Ci sono poi i poteri sostitutivi dello Stato, nel caso in cui ci siano ritardi da parte della Pa. Oggi però abbiamo 3 giga watt di impianti rinnovabili bloccati dalle intendenze paesaggistiche. Bisogna scegliere da che parte si sta – ha esortato – la sindrome Nimby (dall’inglese not in my backyard, “non nel mio giardino”) non è giustificabile, la dobbiamo superare. Attenzione però che la produzione non sia “questa cosa si fa a spese del paesaggio”, che rimane una grande risorsa italiana. In futuro – ha detto – ambiamo a duplicare le nostre rinnovabili, ed è ovvio che avremo un problema paesaggistico, e lo affronteremo, ma le regole sono chiare. Non è accettabile bloccare un altissimo numero di proposte, anche per le emergenze in cui ci troviamo per il cambiamento climatico».
Cingolani ha poi concluso «abbiamo anche una tradizione popolare di sobrietà e di parsimonia, che è percolata nel tessuto culturale, che però ora deve diventare tecnologia e modello di sviluppo. Dobbiamo iniziare anche a raccontare questo essere “best in class” dell’Italia, abbiamo dei numeri che sono pazzeschi rispetto agli altri, però nessuno lo sa».
Alcuni numeri del report. Come anticipato, sono 441mila le aziende che hanno investito o iniziato investimenti in tecnologie, impianti e know how green nel quinquennio 2016-2020. A livello regionale, è la Lombardia capofila con 90mila imprese green, seguita da Piemonte e Veneto con 40mila ciascuna. Ma la sorpresa viene dal Sud, con 46mila aziende in Campania. È invece ancora ampia la forbice tra il numero di occupati in lavori verdi, con la Lombardia (22,6%) ancora una volta in testa, e il Sud con solo l’11,7% in Campania, forse anche come conseguenza del ritardo in cui in queste regioni si sono innestate questo tipo di imprese.
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