Occuparsi del tempo e dello spazio, per riprogettare l’ufficio di domani
Da Cucinella a Ratti, le linee guida degli architetti
In un weekend si è passati da 570 mila lavoratori in smartworking a oltre 6 milioni, è cambiato o no il mondo del lavoro? Secondo i dati forniti durante il talk on line organizzato da Elle Decor, da Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio smartworking del Politecnico di Milano, emerge, oltre a una drastica trasformazione del mondo del lavoro a causa della pandemia, che un modo diverso di lavorare è possibile, anzi può essere essenzialmente efficace.
«Il mondo del lavoro è in evoluzione da alcuni anni – spiega Corso – una situazione già in evoluzione da tempo, in cui la soddisfazione media dei lavoratori era già molto bassa. Grazie alla digitalizzazione, allo sviluppo di nuovi modi di lavorare si era già affermato un nuovo modello di lavoro, appunto lo smartworking, ma non con questi numeri così imponenti, ovviamente. Un fenomeno importante che in questi 10 anni ha avuto una crescita costante, ma un fenomeno che rimaneva tendenzialmente confinato alla grande impresa e in alcune aree urbane. Su questa situazione già “compromessa” è intervenuta la pandemia che ci ha scaraventato fuori dalle nostre aree di confort.
E così abbiamo dovuto cambiare abitudini, abbiamo dovuto organizzarci, e non solo le aziende, ma anche noi lavoratori nei nostri nuclei famigliari, nelle nostre case».
Eccome se si cambia, ma ancora tanto si cambierà. A cominciare dagli spazi. Spazi più grandi, spazi più funzionali, un arredo dialogante con le esigenze di sicurezza e di socialità perduta, e tanto altro.
«Ma non è solo una questione di metriquadri, ma anche di territorio. Noi siamo anche quello che abbiamo intorno ed è per questo che la città non può rimanere fuori questo discorso», spiega Livia Peraldo, direttore Elle Decor Italia.
«Abbiamo ripreso a frequentare i nostri quartieri, i quartieri si sono rivitalizzati, ma alcune parti della città si sono svuotate. Il rapporto con la città è cambiato», racconta Cristina Tajani, assessora alle Politiche per il Lavoro, Attività Produttive e Commercio. «Ma Milano sta sperimentando nuovi spazi per una città a 15 minuti, e per iniziare a costruire una nuova città basata sulla prossimità abbiamo bisogno di modificare i luoghi e gli spazi del lavoro con il contributo di imprese, amministrazioni e corpi intermedi. Lo smartworking ci accompagnerà anche dopo l’emergenza sanitaria. Dobbiamo quindi lavorare su contrattazione collettiva e politiche pubbliche in grado di limitarne gli effetti negativi, come il confinamento domestico, ed enfatizzarne quelli positivi, come il risparmio di tempo negli spostamenti e la migliore conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro».
L’ufficio non è il solo luogo in cui si possono svolgere alcune attività, abbiamo scoperto la casa come uno dei luoghi terzi, ma il fenomeno di privazione di un’esperienza di socializzazione ci ha insegnato cos’era l’ufficio e cosa deve ritornare ad essere. Tutto sommato il modo in cui lavoravamo prima e in cui lavoriamo adesso sono insostenibili. Non solo pensare il modo in cui viviamo nella casa, ma il senso stesso di stare insieme in un luogo comune.
«I nuovi uffici saranno luoghi di trasferimento di valore e di identità, di condivisione. Stiamo tutti pensando a spazi sempre più sfumati quindi uffici più abitabili e case più comode anche per gli spazi del lavoro», spiega ancora Corso.
Al centro saranno le persone, gli esseri umani. È questo il fulcro dell’intervento di Luba Manolova, director business group modern work & cyber security Microsoft Italia. «È avvenuta una digitalizzazione di spazio e tempo molto importante e veloce. Tocchiamo con mano cosa riusciamo a fare con la tecnologia che peraltro ci aiuta a ripensare al modo in cui interagiamo con le persone. Serve, oggi, un nuovo sguardo alle organizzazioni, non solo agli spazi, c’è in campo una nuova visione del capitale sociale e umano». Le persone sono più produttive con maggiore flessibilità, di fatto abbiamo avuto un aspetto di isolamento e di meno connessione reale, un altro problema è dato dalla crescita del senso di burnout. Questo confine sempre più labile tra professionale e personale ha appesantito le persone, i lavoratori, per questo è importante saper ascoltarle.
Siamo connessi, ma siamo presenti? Se lo chiede Umberto Basso, ceo di AKQA. «Ci comportiamo in modi differenti. Usiamo il linguaggio del corpo per estendere il nostro pensiero. Sono connesso, ma non riesco ad essere più presente di così. Manca il luogo, c’è solo il tempo. Oggi non ha importanza dove avvengono le cose, tuttavia per millenni siamo stati abituati a dare una immensa importanza al dove. Siamo i luoghi che viviamo, i luoghi e lo spazio ci condizionano». È importante anche il senso di appartenenza. «Il senso di appartenenza è spesso creato dal senso di presenza», racconta Basso.
Ora siamo all’età della pietra della creazione degli spazi comuni, siamo anni e anni che progettiamo spazi e luoghi “densi”, farne a meno è difficile, ma cosa dicono i progettisti?
«Io vedo questo tema del lavoro più aperto, più libero, come un miglioramento della nostra qualità della vita», interviene l’architetto Mario Cucinella. «La nostra vita personale migliora, se gli utensili digitali ci aiutano, non augurerei mai di tornare indietro ad uffici densi e “pieni”, spazi tristi e poco funzionali. L’ambiente del lavoro ha dei significati molto importanti, che si collegano al mondo che ci circonda. Dovremmo mettere l’attenzione sulla qualità dell’aria, sulla sostenibilità degli spostamenti. Se vogliamo rapportarci al mondo del lavoro, che è una delle attività che facciamo durante la nostra vita, ma non l’unica, dobbiamo impegnarci per avere città migliori. L’efficientamento si sposta non tanto sui metri quadrati, ma sulla modalità in cui le persone riescono ad organizzare il loro tempo. Quindi la qualità della vita e della salute, sono un tema, non è solo questione di spazi. Acustica, clima, e tanto altro». Insomma, si scardina quella visione Novecentesca, del mondo del lavoro, di quello dell’abitare, della vacanza, del divertimento, mondi chiusi che si stanno ibridando. Nuovi scenari, anche per gli edifici. Non più un carattere univoco, ma se pensiamo anche al consumo di suolo, avere degli edifici che vengono usati solo 8 ore al giorno è uno spreco, non funzionerà più così. Questo tema del mondo del lavoro è legato profondamento alla qualità della vita».
Per Carlo Ratti, architetto e docente del Massachusetts Institute of Technology di Boston, l’ufficio non è morto. «È vero che molto è cambiato, non vivremo più l’ufficio come prima, ma l’ufficio resiste perché resiste il bisogno di volerci incontrare, abbiamo bisogno dello spazio fisico. Un esempio è la Banca Sella a Torino: qui il progetto rimette al centro l'importanza dell'ufficio come luogo di socialità e motore di innovazione. Caratteristiche principali sono la realizzazione di diversi spazi per favorire lo scambio di idee e la nascita di nuovi progetti. Le postazioni di lavoro sono organizzate secondo il paradigma dell'hot-desking, cioè la stessa postazione potrà essere utilizzata da più dipendenti in maniera totalmente sicura attraverso un sistema di sanificazione che si attiva a ogni cambio e verrà sperimentato un sistema di circolazione dell'aria che include l'utilizzo di finestre smart che limitano la circolazione di micro-organismi nell'aria aumentando al tempo stesso l'efficienza energetica», racconta l’architetto Ratti.
Francesca Portesine, di BIG Bjarke Ingels Group e Ulrich Blum di Zaha Hadid Architects, parlano di materiali e collettività degli spazi. «Raccolta di dati, workshop, modelli ad hoc, l’analisi del cliente, poi la parte di costruzione, i monitoraggi degli spazi finiti per verificare la flessibilità e l’evoluzione nel tempo. Questi i nostri principi, queste le tappe che sono alla base della nostra progettazione anche degli uffici», spiega Leonardo Coliandro di Unispace. Ma l’eccezionale novità è stata presentata da Antonio Napoleone, il presidente di Europa Risorse con il progetto “Welcome”, l’ufficio biofilico finanziato da un fondo gestito da PineBridge Benson Elliot, e disegnato da Kengo Kuma and Associates, che sorgerà a Milano, zona Parco lambro, entro il 2024. L’ambiziosa architettura vuole un’eccellenza di sostenibilità e si pone come un passo avanti nell’architettura e nella concezione del lavoro, coniugando benessere della persona e rispetto dell’ambiente.
In copertina: Unipol Headquarters, © MCA
Architettura ArchitetturaChiECome Arte Città Concorsi Culto Cultura Design Energia Festival Formazione Futuro Hospitality Housing Industria Ingegneria Italiani all'estero Legge architettura Libri Masterplanning Milano Norme e regole Premi Progettazione Real estate Retail Rigenerazione Urbana Salute Scommessa Roma Scuola Sostenibilità Spazi pubblici Sport Trasporti Turismo Uffici