I commenti di Margherita Guccione (Mibact), Gianni Massa (Cni) e Mario Avagnina (Mit)
«Com’è possibile che una categoria composta da 150mila architetti abbia delegato alle società di ingegneria il proprio ruolo? È evidente che la legge italiana sulle opere pubbliche ha messo al centro la gestione del processo, e non il progetto e i suoi valori. Questa è una delle battaglie culturali e professionali su cui varrebbe la pena combattere, dove gli interessi di una professione coinciderebbero con quelli generali. La risposta seppur non risolutrice è quella di una legge sull’architettura che riprenda quella francese. Questo dovrebbe essere stato il focus dei cosiddetti “stati generali”». È l’architetto Camillo Botticini che scrive, commentando in questi giorni un post sui social di un altro architetto, Gianluca Peluffo, che evidenziava come in alcune ultime gare di progettazione con temi che spaziano dal recupero alla scuola, aggiudicate in Italia, si siano affermate le società di ingegneria e soprattutto con importanti ribassi dell’ordine del 45, 68 per cento. Francesco Orofino ha commentato la provocazione, richiamando anche il tema della domanda, «chiediamoci anche se la nostra categoria abbia qualche responsabilità, avendo per decenni perso la capacità e forse la voglia di suscitare domanda di architettura».
Agli Stati generali di Villa Doria Pamphilj in realtà la legge dell’architettura è stata menzionat; Stefano Boeri l’ha citata nei suoi 5 punti: «includere nella legge sull’architettura un progetto nazionale per la sostituzione di 4 milioni di edifici obsoleti». Non era citata però nel documento presentato il giorno prima dalla Rpt e dal Cup e fatto veicolare dal Cnappc. Era stata inserita tra le righe di un primo lungo elenco portato al tavolo del Governo all’inizio della pandemia, una lenzuolata di proposte, rimaste però senza confronto.
Prima del lockdown al Museo Maxxi di Roma un gruppo guidato da alcuni architetti romani (Maria Claudia Clemente, Francesco Isidori, Simone Capra, Alberto Iacovoni) con il coordinamento di Margherita Guccione, oggi Direttore Generale della Creatività del Mibact, aveva presentato il documento “Verso una legge per l’architettura. Principi, regole e processi per la qualità dello sviluppo urbano in Italia” capitalizzando i contenuti raccolti in un serie di incontri organizzati dal Museo negli ultimi mesi.
Un dibattito che non si spegne quello sulla legge dell’architettura, ma come riprendere in mano la questione oggi, post-pandemia, e in un tempo dove si annunciano appalti pubblici senza gare per un tempo di transizione, procedure alleggerite, stazioni appaltanti con poteri eccezionali (anticipazioni del Dl semplificazioni in fase di affinamento)?
Al momento, l’ultimo documento in essere è una bozza di linee guida, non una vera e propria legge. Un documento senza obblighi, che non ha avuto alcun iter parlamentare ed è sul tavolo del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Partito dal Cnappc in occasione del Congresso del 2019 (quando si era chiesto una legge e l’allora ministro Alberto Bonisoli aveva rilanciato con delle “linee guida”) e poi condiviso con la direzione del Mibact – guidata fino a pochi mesi fa da Federica Galloni – questo documento ha raccolto commenti da parte di una serie di interlocutori privilegiati. Nonostante il Presidente Pino Cappochin avesse annunciato l’auspicio dell’approvazione entro la fine del 2019, l’iter è rimasto in stand by.
«Bisogna rimettere al centro il progetto, con azioni pubbliche condivise. Serve una politica “interministeriale”, coinvolgendo oltre il Mibact, anche il Ministero delle infrastrutture, il Mef e quello dell’Ambiente. Il concorso è uno strumento importante, ma non è l’unico. In questo momento di azioni straordinarie, in cui si parla di deroghe al Codice degli appalti – dichiara Margherita Guccione – dovrebbero coesistere azioni straordinarie di sostegno al progetto a partire dagli spazi pubblici e dalle scuole. Gli spazi per la cultura, comprese le biblioteche potrebbero diventare un tema di architettura sperimentando soluzioni creative per dare una risposta progettuale al tema del distanziamento sociale. Anche a partire da azioni di piccolo calibro, per spazi essenziali per la comunità».
«La legge dell’architettura dovrebbe avere un ruolo culturale su cui innestare le semplificazioni che anche questo periodo ci sta imponendo. È una grande opportunità, si dice che le crisi non vanno sprecate, ma per non sprecarle non bastano azioni in emergenza. Il Paese ha un gran bisogno di un salto culturale». Gianni Massa, vicepresidente del CNI e membro della commissione relatrice al Consiglio superiore dei lavori pubblici sulle linee guida, evidenza la sua posizione e con chiarezza precisa che è necessario un grande patto culturale tra il mondo della formazione, il mondo della professione e quello della committenza.
«Il concorso è uno degli strumenti in grado di generare opportunità per la qualità dell’architettura che, però, presuppone un cambio di rotta culturale di scuola, università, professione e committenti. La domanda da porsi è come, nel nostro tempo contemporaneo, la formazione possa generare una diffusa cultura dell’architettura che coinvolga tutti. Il progetto è sintesi e selezione di linguaggi e discipline che si intersecano. Si può avere una buona architettura sia che la si ottenga per concorso che per affidamento. Per semplificare e chiarire, la buona architettura è il risultato di una buonissima formazione e di una cultura più elevata da parte di tutta la società». Ritorna il tema della domanda, tuttavia senza scordare che «Il concorso è senz’altro uno strumento per arrivare ad un buon progetto, ma va usato in modo ponderato e non è la soluzione che arriva da scuola e università. È una questione legata alle regole – spiega Massa – che ci diamo per modificare l’ambiente».
Le linee guida oggi all’attenzione del consiglio superiore valgono come approccio, non contengono alcun obbligo. Sono principi generali condivisibili. Ma a fronte delle criticità legate al tema della riforma delle professioni e delle loro competenze, dei ribassi, di un mercato in sofferenza, di un’evoluzione che a fronte della complessità delle opere prevede competenze interdisciplinari, cosa serve fare?
Come condiviso dall’architetto Guccione, l’ipotesi di una legge dell’architettura (e non di linee guida), sostenute da un progetto interministeriale, è appoggiata da Massa, ma anche dall’architetto Mario Avagnina, dirigente tecnico del Consiglio superiore dei lavori pubblici. «Tra i tanti testi di legge che si sono susseguiti negli anni, quello proposto da Luigi Zanda rimane secondo me – dice Avagnina – il migliore punto di partenza: era un documento organico, equilibrato, l’unico che aveva provato a definire cosa fosse la qualità architettonica. Ed era il testo meno corporativo di quelli che ho studiato». Il dirigente del Mit è contrario a chi critica le denominazioni “servizi di architettura e ingegneria”: «sono opere di ingegno e si chiamano servizi perché facciamo parte dell’Unione europea, meglio concentrarsi sulle questioni di sostanza: in Italia ci sono 150mila architetti a fronte dei 30mila francesi. Non è che chiamando una cosa in un altro modo, si risolvono i problemi». E ancora, anche Avagnina si sofferma ancora una volta sul tema della procedura concorsuale «sempre in Francia, considerata un Paese modello per tutti, c’è uno studio che esplicita che dal 2006 al 2015 si è fatto ricorso al concorso per il 20% delle opere. È sbagliato dire che i concorsi sono la soluzione, bene la promozione, ma non l’obbligatorietà che non sarebbe nemmeno possibile attuare». La questione si sposta quindi sulla cultura del progetto, sulle capacità progettuali, sul ruolo della committenza pubblica qualificata, sia quando deve firmare progetti in house che quando li deve valutare. «La buona architettura si ottiene quando committente, progettista e costruttore sono tutti qualificati».
Le linee guida sono al Consiglio superiore dei lavori pubblici «ma decisamente più urgente – commenta Avagnina – è che sia fermo il Regolamento unico, con uno sfasamento pesante tra codice dei contratti e quello che rimane dei vecchi regolamenti. Basti solo ricordare che da una parte si parla di progetto di fattibilità tecnica ed economia e dall’altra di progetto preliminare». Indeterminatezza che genera incertezza e inevitabilmente caos. E ancora una volta ci rimette il progetto e la comunità.
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