Quell’architettura adriatica nello sguardo di Giovanni Vaccarini
Nel libro di LetteraVentidue, un autentico panorama progettuale. Il professionista: la metrica italiana lontano dai grandi centri urbani e dai grandi fondi immobiliari
Interventi progettuali lontano dai grandi investimenti immobiliari che lasciano spazio al racconto autentico del design. Architettura adriatica, esiste un linguaggio e una narrazione? Questa parte di costa ospita una delle conurbazioni lineari più estese d’Europa, sebbene con alcune interruzioni come il monte San Bartolo o il monte Conero. E come dimostra il libro uscito per LetteraVentidue di Manuel Orazi, nel suo volume dedicato a Giovanni Vaccarini per la collana “Imprinting”, l’architettura di provincia ha una storia illustre e degna di racconto. Molto lavoro resta da fare sul piano della storicizzazione di questi territori periferici rispetto all’architettura dei grandi centri urbani, nonostante la riscoperta di tutta una serie di “professionisti colti” di provincia come in passato venivano chiamati dagli accademici più engagé.
«Sono molto contento del volume per diverse ragioni: la più importante è che raccontare, come fa Antonino Saggio, le variegate anime dell’architettura italiana è un’operazione importante che ci fa dire che l’architettura italiana non è morta ed è ovunque. Fare parte di questo panorama mi riempie di orgoglio», racconta Giovanni Vaccarini a thebrief. «È stata, inoltre, l’occasione per analizzare un linguaggio e di restituire al Paese l’architettura di questo territorio, con tutto il portato che ha lasciato. Un territorio che ha grande qualità e grandi valori, una condizione dello sguardo che però può essere in ogni luogo. E a me piace sempre pensare che l’Adriatico è anche nelle architetture delle lamelle di vetro del nuovo Headquarter della Société Privée de Gérance (Spc), realizzati su Route de Chêne, alle porte del centro storico di Ginevra», conclude.
Tante specialità e ricercatezze credibili e mai fasulle. Tale insediamento è diverso dallo sprawl padano, o dell’hinterland napoletano, ma pur sempre espressione di una «(non più) città» koolhaasiana. La scuola di Pescara ha studiato appunto questo tipo di città “brutta, sporca e cattiva” guardando all’opera di antichi e nuovi maestri, da Luigi Moretti a Steven Holl, cercando di comprenderne le logiche invece di rifiutarle a priori. In questo scenario, Vaccarini si è distinto come uno dei più eleganti e pragmatici interpreti di tale linea, sapendo integrare istanze vernacolari, artistiche ed ecologiche all’interno delle proprie architetture tutte poste lungo la fascia costiera, dalla centrale Powerban vicino a Ravenna, raro esempio di un edificio tecnico che sa donare una nuova forma alla necessità di convogliare processi energetici rinnovabili (legno, biomassa e fotovoltaico) con grandi benefici a livello di organizzazione territoriale, all’edificio residenziale Riviera 107 di Pescara.
Manuel Orazi, non è solo uno storico dell’architettura del Moderno, ma è contemporaneamente curatore della sezione di architettura della casa editrice Quodlibet, fondata a Macerata da allievi di Giorgio Agamben oltre trent’anni or sono.
«Questo saggio storico vuole offrire alcuni punti di riflessione, non è dunque una monografia bensì un saggio monografico in cui sono confluiti altri studi e temi convergenti dell’autore, lasciando ampio spazio ad altre letture e future categorizzazioni», spiega il critico
Una forte personalità che racconta una scena piena di vitalità. «Le doti che contraddistinguono Vaccarini sono la misura, l’equilibrio, la pacatezza che cementano. L’aggettivo che mi sembra più giusto per Vaccarini persona e professionista è limpido. Un’architettura che è limpida con naturalezza e che sembra far riflettere quella luce del mare Adriatico lungo il quale il nostro architetto è nato, cresciuto e dove ha quasi sempre lavorato», spiega Antonino Saggio nel volume, ideatore della collana. «Nella sua palazzina a Giulianova riprende il motivo della scalettatura in facciata del suo maestro ideale Luigi Moretti o la palazzina DeAmicis154 in cui sembra riflettere sulla Mediateca di Sendai di Toyo Ito o l’edificio a pagina 85 del libro con il motivo dei cassetti svuotati e sovrapposti oppure il complesso Spg che si presenta anche come uno straordinario gesto di perizia costruttiva per gli standard italiani. All’inizio la limpidezza pare rifarsi ai materiali, ma invece risiede nella logica progettuale, nella successione chiara delle parti e delle funzioni», analizza Saggio.
Vaccarini ha un destino totalmente adriatico: nato nel 1966 a Orta Nova, in provincia di Foggia, è cresciuta a Giulianova e ha studiato a Pescara dove si è stabilito. Ha vinto concorsi in Romagna e nelle Marche, oltre che in Abruzzo. Nonostante le sue esperienze lo abbiano portato in Canada, a Roma, in Svizzera, alla fine è sempre tornato a casa. Proprio a Pescara dove c’è stato un grande fermento artistico. Decine di galleristi negli ultimi decenni: Eugenio Riccitelli (galleria Ponterosso), Giuseppe Rosato (galleria il Quadrivio), Enzo Niccoli (galleria Niccoli), Rocco Sanbenedetto (galleria Il Modulo), Sandro Visca e Albano Paolinelli per la galleria Nuova Dimensione di Cesare Manzo.
Creativi che lo hanno condizionato lasciando un’impronta di arte contemporanea nelle sue opere architettoniche, perché l’arte – come dice Vaccarini – ha una funzione rivelatrice
«Mi piace dire che la mia è un’architettura che sa ascoltare, che è sociale perché è dentro il tessuto di questi territori ibridi. E l’architettura è tale quando diventa collettiva, un sentire comune, un’alleanza magica tra luoghi e persone, quando non accade è un cortocircuito. Un’architettura libera di esprimersi non condizionata dai maxi-investimenti e dai grandi centri dove ci sono i grandi capitali».
In copertina: ©Giovanni Vaccarini Architetti
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