Regole e qualità urbana. Micelli: «imprescindibile la pianificazione attuativa»
Intervista al professore dello Iuav. Dall’affaire Salva Milano alla crisi dell’urbanistica classica
E se l’affaire Salva Milano fosse l’occasione per interrogarsi su come sta l’urbanistica in Italia? Su qual è il rapporto tra urbanistica regolatoria e progettazione urbana? Sulle relazioni tra economia urbana e qualità dello spazio? Tra regia pubblica e apporto dei privati? Ezio Micelli, ordinario all’Università Iuav di Venezia, dove insegna le materie legate all’economia del progetto, nel 2004 aveva pubblicato per Marsilio “Perequazione urbanistica. Pubblico e privato per la trasformazione della città”.
Vent’anni dopo, il professore, che è stato consulente per il Comune di Milano e per altre città della stessa Regione Lombardia, stigmatizza uno dei nodi critici: «aver fatto saltare la pianificazione attuativa ha reso molto più complicato ottenere i potenziali benefici della perequazione». Uno strumento che ha introdotto regole nuove nelle fasi di formazione e distribuzione del valore immobiliare che si associano all’attività di pianificazione, ovvero l’attribuzione di un analogo valore ai suoli della città pubblica e della città privata, consentendo di fatto una più equa distribuzione del capital gain immobiliare determinato dalle scelte amministrative e una più semplice acquisizione delle aree necessarie a infrastrutture e attrezzature collettive.
La crisi milanese generata dalle decine di contenziosi ha acceso il dibattito sul metodo e sui risultati, sul gap tra norme territoriali e nazionali, con conseguenze sui mancati incassi in termini di monetizzazione, sul blocco di progetti e cantieri, sulla sfiducia. Una valanga annunciata?
Vent’anni fa il mondo era diverso da quello di oggi. E in quel contesto diverse Pa hanno sperimentato lo strumento della perequazione, evitando l’esproprio (senza dove pagare indennizzi), e acquisendo aree funzionali per la città pubblica. Dalla fine degli anni ‘90 fino al 2008 si è registrato un boom, con dinamiche espansive che negli anni successivi si sono registrate solo per pochi particolari segmenti come quello della logistica.
Tra il 2012 e oggi l’unica città ad avere un mercato costantemente al rialzo è stata Milano che per anni è stata destinazione di interessi nazionali e competitiva a scala internazionale. La crisi recente ripropone ancora una volta il conflitto tra città pubblica e interessi privati: con le semplificazioni favorite dalla legge urbanistica regionale della Lombardia, a Milano, la questione urbanistica è diventata di fatto edilizia. Nessuna nostalgia per iter lunghi, tortuosi e assai costosi, ma in alcuni casi lavorare su una pianificazione attuativa che permetta un disegno urbano di qualità e il recupero delle risorse per la città pubblica mi sembra assolutamente ragionevole.
Poco più di 10 anni fa il cambiamento normativo che ha scatenato le inchieste di oggi.
Nella fase di sviluppo, il capoluogo milanese ha cavalcato la misura promossa dalla Regione che, per ridurre i tempi, ha incentivato i permessi a costruire convenzionati, in alternativa ai piani attuativi, rinunciando al passaggio amministrativo intermedio tra programmazione e titolo edilizio, di cui oggi si sconta la lacuna. Si è scelto di contenere i tempi (nonostante già sotto la direzione di Maurizio Lupi il piano urbanistico attuativo dovesse passare in giunta e non in consiglio) a discapito dell’attenzione al disegno urbanistico e alla qualità della città.
Tornando alla perequazione, anche il Comune di Milano ha fatto tesoro di questo strumento.
La novità era legata all’indipendenza del diritto edificatorio dal suolo che lo genera. A Milano è stato anche istituito il registro dei diritti edificatori, e il Comune ne gestiva la commercializzazione. La Regione Veneto aveva avviato un’operazione simile con i crediti edilizi, poi surclassati da un altro istituto, quello degli accordi con i privati. Senza dubbio Milano non ha avuto competitor in termini di condizioni di mercato e tensione sulla domanda. E grazie alla perequazione e ai diritti edificatori, la negoziazione è stata inizialmente organizzata all’interno di un piano, il cui obiettivo era teso a recuperare aree e servizi, tenendo presente l’idea di città pubblica.
L’urbanistica è una questione che compete alle Regioni, ma la magistratura nella questione milanese si è appellata alla 1150, legge che ormai ha compiuto i suoi primi 80 anni. Micelli, dove intravede il nodo della questione?
È imprescindibile la riforma della legge del ‘42, di cui la magistratura pretende il pieno rispetto, ma che è stata istituita quando tutti i temi legati alla rigenerazione urbana erano assolutamente lontani dagli obiettivi. D’altro canto, non può bastare un titolo abilitativo convenzionato per trasformazioni che necessariamente hanno impatto sul tessuto urbano. In generale non sono i nuovi strumenti come quello della perequazione ad aver danneggiato il sistema, piuttosto l’assenza dell’urbanistica classica, e qualche scelta politica mancata.
Ad esempio?
Dagli investimenti sul Superbonus la cui efficacia è stata assai discutibile, al mancato impegno, nell’ambito del Pnrr, a dare risposte concrete sul tema della casa per le giovani generazioni. Più in generale poi serve aggiornare il catalogo dei servizi urbani, anche se va detto che all’interno del perimetro della città milanese questi non mi sembrano essere una carenza, basti pensare al tema della mobilità, il tema è più pressante per la grande Milano e per tutte le città metropolitane.
Dalle buone pratiche e dagli errori degli ultimi vent’anni, cosa abbiamo imparato?
Che esistono diversi strumenti per recuperare valore che generalmente si lasciano in mano ai privati e che potrebbero invece rivoluzionare la dinamica di funzionamento dei piani urbanistici. Ancora, che negli anni più recenti perequazione e rigenerazione vanno tenuti insieme, considerando le nuove direzioni dell’economia urbana e constatando che la città si trasforma in modo radicale, ma su sé stessa.
Qualche esperienza di successo?
Nel Pgt da poco approvato nella città di Bergamo, per cui sono stato consulente, abbiamo immaginato un sistema di perequazione all’interno dei processi di rigenerazione urbana, con una ripartizione di valore tra pubblico e privato, che concorre al disegno della città pubblica. Esperienza che fa tesoro di norme acquisite come quella del Testo unico sull’edilizia, con cui si concedeva un permesso di costruire in deroga anche per i soggetti privati, a fronte di una contribuzione straordinaria pari ad almeno la metà del valore del differenziale della rendita. Il punto centrale è di tornare a dare al piano urbanistico il compito di fissare le regole – chiare – con cui poi gli operatori possono intervenire.
In copertina: ©RebuildItalia
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