13-09-2024 Chiara Brivio 4 minuti

Disuguaglianze e diritto alle città. La 24esima Triennale si racconta

Cosa può fare l’architettura. Boeri, Sciuto, Sennett tra le voci dei protagonisti

Il modo in cui gestiremo la transizione come comunità sarà fondamentale per ridurre le disuguaglianze
Donatella Sciuto

Inequalities, disuguaglianze. È questo il tema scelto per la 24esima Esposizione internazionale che si terrà alla Triennale di Milano da maggio a novembre del 2025. Un invito alla riflessione e un monito di grande attualità, per un mondo in cui, nelle parole del commissario generale e presidente di Triennale Stefano Boeri, «lo 0,001% di umanità più ricco possiede il 7% della ricchezza globale, mentre il 50% più povero ne possiede solo il 2 per cento».

E quello delle disuguaglianze non è un tema solo per economisti, storici o sociologi. Oggi più che mai pervade le nostre esistenze, toccando questioni di genere, di diritto all’abitare come di migrare, di accesso all’istruzione e alle cure mediche, di progettazione e dell’utilizzo delle nuove tecnologie. Come ha ripetuto ancora Boeri nella sua introduzione al Forum che ha aperto il public program della 24esima Esposizione e che si è tenuto l’11 settembre alla Triennale, «la verità è che negli ultimi mesi siamo diventati consapevoli di un grande rischio:


che le politiche di transizione ecologica e le accelerazioni dell’intelligenza artificiale, se non governate e orientate, possano invece che diminuire, addirittura accentuare le disuguaglianze tra ricchezza e povertà,


tra città, popolazioni e individui più o meno dotati delle risorse, idee e progetti necessari a cambiare il loro stato di cose presenti».

Un evento che ha visto riunirsi al tavolo tra i più importanti protagonisti del mondo della cultura, della progettazione e dell’istruzione a livello nazionale e internazionale e dove una interessante riflessione proprio sul governo dell’IA è arrivata da Donatella Sciuto, rettrice del Politecnico di Milano, che l’ha definita «una forza che va oltre i confini, con il potere di modificare il nostro modo di pensare, di vivere, in grado di condizionare i nostri pregiudizi. Il modo in cui gestiremo la transizione come comunità sarà fondamentale per ridurre le disuguaglianze».

Ma un modo in cui l’IA è già al lavoro da tempo è sulle città, con strumenti per la raccolta di dati, sensori e device che permettono di analizzare flussi e spostamenti, con non pochi problemi di privacy ( anche se Barcellona è un esempio “virtuoso” in questo campo). Città che è stata anche il cuore della lectio di Richard Sennett, sociologo di fama mondiale e da anni studioso delle dinamiche dei centri urbani, che ha sottolineato la sua «fede» nell’architettura come forza contro le disuguaglianze, che può «rendere concreto il diritto alle città», inteso anche come diritto a un luogo di realizzazione personale. E per lui sono tre i capisaldi su cui questo diritto si basa: porosità, informalità e vicinanza. Nel solco delle teorie di Jane Jacobs, una delle intellettuali che più l’ha influenzato, Sennett ha rivendicato un ritorno a centri urbani porosi, caratterizzati da un mix di funzioni adiacenti l’una all’altra a livello della strada, che permettono di ridurre divari sociali ed economici, evitando la segregazione. Ma ha parlato anche dell’“urbanistica non pianificata”, della possibilità di lasciare spazi liberi e non costruiti, dove sia lasciata alle persone la possibilità di orientarsi.

«Il principio urbanistico per cui tendiamo a eliminare tutte le barriere, non consente alle persone di imparare dal loro ambiente. Meno ne costruiamo, più stimoliamo le persone a essere consapevoli di dove si trovano nello spazio. È così che impariamo come navigare e come muoverci nella città» ha continuato il sociologo. «Spero che potremo trovare dei modi fisici di progettare, per dare l’idea che la città appartiene alle persone, che non dovrebbero limitarsi solo ad utilizzarla – ha poi rimarcato Sennett –. Il diritto alla città dipende dalla nostra capacità di rendere le cose più problematiche, non di semplificarle al massimo».

Quindi vicinanza, scambio, riduzione delle barriere, sono queste per Sennett le ricette per rifondare i centri urbani e renderli più a misura d’uomo e contribuire così alla riduzione delle disuguaglianze. Una teoria che va in contrasto a quel fenomeno di finanziarizzazione delle città, che negli anni ha colpito anche Milano, oggi sotto i riflettori sia per le inchieste della Procura, sia per le sempre crescenti disuguaglianze sociali ed economiche, nonché di difficoltà di accesso alla casa, che hanno messo in crisi il “modello Milano”. E se gli studi si stanno moltiplicando gli questi temi – si veda la ricerca firmata da Massimo Bricocoli e Marco Peverini del Dastu del Polimi, o il libro di Lucia Tozzi sull’invenzione di Milano, o ancora le ultime riflessioni dell’urbanista Elena Granata sull’inacessibilità del capoluogo lombardo –, anche il neonato Si Lab (Social inclusion lab) dell’Università Bocconi, sta costruendo un data base dei quartieri della città, utilizzando parametri che riguardano sia la percezione soggettiva del livello di inclusività che misurazioni oggettive delle disuguaglianze e di accesso alle opportunità. E il quadro illustrato da Alessandra Casarico, professoressa dell’ateneo e coordinatrice scientifica del Si Lab, non è dei più rosei.


Guardando ai diversi cap di Milano emergono sensibili differenze sia di reddito che di scolarizzazione che di disoccupazione tra i quartieri centrali, generalmente più affluenti, e i quartieri periferici.


Tanto che, ha spiegato Casarico, «il reddito medio dei quartieri più poveri è come reddito medio di Palermo. E un cap della città ha un reddito medio pari al reddito medio italiano». Ancora, i giovani vivono tendenzialmente più in periferia, anche se il tasso di scuole medie e superiori per abitante è più alto nelle zone centrali. La media della popolazione residente straniera è in linea con quella italiana, circa il 10%, ma in alcuni quartieri raggiunge picchi del 30 per cento. Sono tutti dati, ha continuato la professoressa, che dovrebbero orientare le politiche della città, come per esempio quelle sulla mobilità e la pendolarità di chi, per studiare, è costretto a uscire dal proprio quartiere.

C’è una soluzione? Per Seble Woldeghiorghis, senior advisor, «il futuro delle città e della società di baserà sul creare uguali opportunità per tutti». La sfida è quindi aperta.

In copertina: Brasile/Brazil ©Johnny Miller_Unequal Scenes

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Chiara Brivio
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