Intervista a Jacopo Palermo, principal expert real estate di The European House – Ambrosetti
Oggi il real estate vive un tempo di crisi, intesa in senso etimologico, cioè di scelta: deve scegliere cosa essere domani. L’immobiliare e la sua filiera sono ancorati a logiche più finanziarie che di creazione di valore e impatto a 360 gradi. Ci sono tanti esempi – a partire dalle tante rigenerazioni portate avanti soprattutto in area milanese in questi anni, dove effettivamente lo scenario è stato il più vivace per valori immobiliari – che dicono che si può e si deve andare oltre il modello tradizionale. Ci si interroga su come il digitale possa entrare nell’industry del real estate, serve chiarezza di ruoli e responsabilità, e va strutturato un nuovo paradigma. A fronte di questa domanda, come TEHA Group, controllata di The European House – Ambrosetti, vogliamo dare un contributo fattivo». Così Jacopo Palermo che da luglio è in TEHA come Principal Expert Real Estate, nell’area Business & Policy Impact, guidata dal Partner Emiliano Briante.
Palermo è stato ceo del gruppo Costim, developer immobiliare promotore del concept Chorus Life nonché uno dei principali player industriali dell’edilizia nazionale e risponde a thebrief su alcune questioni al centro del dibattito della filiera.
Milano è stato un benchmark, oggi è in stallo, ma tante cose buone sono state fatte, su quali rotte intravedi il cambiamento possibile?
Un cambio di modello serve a far sì che ogni territorio possa sviluppare iniziative immobiliari con più o meno partecipazione anche da parte del pubblico, in una logica di sistema e di valore per la comunità. È fondamentale entrare nella logica di valutare l’impatto delle iniziative, non solo in termini economico-finanziari. Non si sbloccheranno molte operazioni se si privilegerà un solo aspetto: serve un modello con maglie più larghe e con diversi ambiti di creazione del valore.
Come si relazionano i player con il mercato?
La contaminazione di ruoli, come nel caso del costruttore che fa il developer, fa perdere qualcosa al sistema. I costruttori devono fare i costruttori, e va loro riconosciuto il merito di un soggetto che ha know how e si assume rischi operativi notevoli. Le imprese che cercano di fare real estate magari possono contare su una marginalità più interessante – non avendo probabilmente sufficienti soddisfazioni dalla propria attività core – ma non è questa la strada. Serve un riconoscimento di tutta la filiera nei ruoli dei diversi player; se poi pensiamo al partenariato pubblico-privato i costruttori ad esempio rimangono il decisivo anello di congiunzione tra investitori e concedenti in queste operazioni.
PPP, si o no?
Il partenariato pubblico-privato è stato chiaramente sottovalutato in Italia in questi anni. Nato tradizionalmente nel settore delle infrastrutture, non ha goduto di un adeguato riscontro e cultura nel mondo immobiliare. Con gli ultimi aggiornamenti normativi, soprattutto con la possibilità di includere gli investitori nella compagine promotrice si sono fatti dei passi in avanti, utili e preziosi anche in ottica di iniziative di rigenerazione urbana. Lo schema sostanzialmente concessorio di queste iniziative configura un profilo di lungo termine, che potrebbe non prestarsi a certe categorie di investitori, ma essere invece efficace per altri più prudenti, e disposti a gestire meglio il rischio nel medio e lungo periodo.
Vantaggi per le Pubbliche Amministrazioni?
Gli enti locali possono presidiare meglio le proprie esigenze rispetto alla semplice vendita del proprio patrimonio e al successivo controllo attraverso i permessi di costruire. Possono esprimere delle proposizioni di valore che vengono sposate dai promotori privati che mettono dei capitali sul progetto. È uno scenario win win, soprattutto per mercati considerati secondari come sono le 14 aree metropolitane, che non potranno che essere un obiettivo per i prossimi investimenti del real estate.
Quale ruolo per l’industria delle costruzioni? La filiera?
L’industria è decisiva accanto alle imprese: sono il vero motore dell’innovazione in termini di prodotto e tecnologie costruttive. Il general contractor è fondamentalmente un innovatore di processo; deve focalizzarsi su metodologie e tecnologie che servono a consegnare l’opera nei tempi e nei costi previsti. È chiaro in ogni caso che a monte la responsabilità decisiva è dello sviluppatore che deve saper esprimere con chiarezza obiettivi ed esigenze.
E i progettisti?
Stando ai benchmark internazionali vediamo che spesso si separa il ruolo architetto ritenuto “custode del concetto” con la capacità progettuale di far diventare reali le idee dello sviluppatore, rispetto alle società di progettazione coinvolte per la parte esecutiva. Come vale per costruttori e developer anche nel caso delle società di progettazione sarebbe auspicabile non ci fosse la volontà di “sbordare”, separando i ruoli e valorizzando relative competenze in ottica collaborativa. Da aggiungere e ricordare che in Italia abbiamo un sistema che non è abituato ad affidare ai general contractor il design&build, anche perché nel tempo molte imprese di costruzioni hanno depauperato di questo tipo di competenze.
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