Cosa c’entra la felicità con la progettazione e costruzione degli edifici?
Building Happiness è un’idea della Fondazione per l’Architettura di Torino. In arrivo anche un libro di istruzioni
Un progetto per indagare sul connubio tra architettura e felicità. Programma vasto, da attuare con un dialogo interdisciplinare e intergenerazionale che verte su come progettare gli spazi urbani e domestici. Si chiama Building Happiness-Dove sta di casa la felicità?, è un palinsesto con una ventina di appuntamenti che si susseguiranno lungo tutto il 2024 e viene da un’idea della Fondazione per l’Architettura di Torino. Questo rapporto tra come si progetta e si costruisce e il benessere di chi abita la costruzioni è già stato sviscerato, soprattutto da filosofi e scrittori, ma oggi l’indagine si arricchisce di un filone scientifico basato sulle neuroscienze: alla luce del nuovo indirizzo degli “edifici felici”, che sfrutta le innovazioni tecnologiche alla base degli smart building, la risposta diventa meno aleatoria che in passato: l’architettura può avere un impatto positivo sulla qualità della vita.
«Gli architetti, trasformando lo spazio in luogo di relazioni, costruiscono strategie, identità, orgoglio, coesione, inclusione, emozioni, partecipano fattivamente alla felicità di quel luogo. Non si tratta di progettare utilizzando “modelli” ma di studiare “metodi”, strumenti di progetto che consentano un adattamento continuo alle reali esigenze dei fruitori finali» afferma l’architetto Edoardo Milesi. «La felicità è nomadica. Approfitterà delle finestre e delle porte aperte per viaggiare» racconta il filosofo Andrea Colamedici di Tlon. «Ovunque il coraggio sgretoli le barriere» sottolinea Silvia Ranghieri, giovane studentessa in psicologia. Sono solo alcuni esempi a dimostrazione della varietà di risposte che la Fondazione degli architetti di Torino ha catalogato dando vita ad una raccolta visionaria, premessa e corollario della ricerca, ad oggi ancora in aggiornamento.
Il fulcro dell’iniziativa è però la Masterclass che si avvale dei contributi di docenti esperti e multidisciplinari. Eleonora Gerbotto, direttrice della Fondazione per l’Architettura di Torino, sottolinea che quest’ultima produrrà il «Building Happiness Book, un libro d’istruzioni per la progettazione felice, che verrà pubblicato e reso disponibile a progettisti, architetti, studiosi e stakeholder». E se si parla di innovazione, è lecito aspettarsi che questa sia anche anagrafica. «Attraverso la Maratona, uno dei momenti salienti della programmazione, i giovani, architetti ma non solo, sono stati coinvolti».
Una scelta che, aggiunge Gerbotto, deriva dalla convinzione che «i giovani sono a tutti gli effetti il motore creativo per il futuro della nostra città».
Ma come si diceva, quello sul legame tra architettura e felicità nasce come quesito filosofico per poi cercare applicazione pratiche. Gerbotto spiega che il lavoro è basato anche sul «più recente approccio quantitativo emerso attraverso studi nel campo dell’economia e delle scienze sociali. Facciamo riferimento ai vari indicatori per misurare il benessere, come l’indice della migliore qualità di vita dell’Ocse e l’indice di Felicità Interna Lorda del Bhutan. Prima ancora la ricerca tiene altamente in considerazione il solco già tracciato in passato da filosofi e scrittori (come Alain De Botton, “Architettura e Felicità, 2006”), e da antropologi (come Marc Augè, “La felicità ha un luogo? 2011”).
Anche a livello locale, proprio a Torino, si è aperto un dibattito per creare un sistema di indicatori che misuri la felicità civica, analizzando aspetti come la relazione con lo spazio, la casa, l’ambiente circostante e le interazioni sociali». Per questa ragione la Masterclass ha visto la partecipazione di «architetti, urbanisti e designer, ma anche economisti, filosofi della tecnologia ed esperti in psicologia del lavoro e psicoterapia cognitivo comportamentale per un programma organico che unisce architettura e neuroscienze, principi di innovazione e impatto sociale, casi studio internazionali e italiani, esperienze legate a differenti scale territoriali (città, quartiere, condominio, interior design) e la lezione ottenuta dalla lettura di big data e aspettative sul futuro».
Si tratta quindi di tentare di decostruire gli steccati che si possono immaginare non solo tra architettura e neuroscienze, ma anche tra filosofia, antropologia e biologia. Tra scienze dure e molli. Alla ricerca dell’umano, che è tante cose insieme.
In Copertina: La casa del custode, progetto di Camilla de Camilli ©Camilla de Camilli
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