19-04-2024 Alessio Garofoli 4 minuti

Confindustria: “Crescita boom nel 2023 trainata dalle abitazioni”

Le previsioni di primavera di viale dell'Astronomia ottimiste anche sul 2024: Pnrr e taglio dei tassi spingeranno il Pil

Sulle prospettive dell’economia italiana il Centro studi Confindustria è ottimista. Più di Bankitalia e del Fondo monetario internazionale. «La crescita italiana ha sorpreso in positivo nel 2023, arrivando al +0,9% annuo nonostante tassi e inflazione alti. Seppur in decelerazione dai ritmi altissimi del 2021-2022, che incorporavano il recupero post-pandemia, l’economia italiana è cresciuta con un passo ben più elevato rispetto ai modesti ritmi pre-pandemia, e pari al doppio di quello medio dell’Eurozona». Esordisce così il Csc nelle sue previsioni di primavera, denominate “Tassi, Pnrr, superbonus, energia: che succederà alla crescita italiana?”. Se i dati del passato sono pressoché acquisiti, la fiducia di viale dell’Astronomia si proietta anche in avanti: «Nel biennio 2024-2025, oltre al miglioramento della domanda globale che darà nuovo impulso all’export, due fattori potranno sostenere ancora la crescita italiana su ritmi significativi. Il primo è il taglio dei tassi di interesse». Che però è ancora un auspicio di gran parte del mondo economico, non una decisione ufficiale della Bce. È lo stesso Csc, d’altra parte, a riconoscere che «l’inflazione ha quasi smesso di scendere da qualche mese, attestandosi al +2,4% a marzo (stesso valore di novembre scorso). In più, la dinamica dei prezzi al netto di energia e alimentari ha rallentato finora solo al +2,9%, un valore ancora troppo sopra l’obiettivo. In Italia va molto meglio: inflazione totale al +1,3% e core al +2,3%. Questo, peraltro, è alla base dell’atteso recupero del reddito disponibile reale delle famiglie, un essenziale combustibile per la crescita». Il Cdc spiega tuttavia che «secondo i mercati i tassi resteranno stabili ancora per due mesi, prima di iniziare a scendere a giugno 2024, al più tardi luglio. Una tempistica avvalorata, informalmente, da alcuni membri del board Bce. Si tratterebbe di uno slittamento rispetto alle stime di pochi mesi fa, visto che il primo taglio era atteso per maggio, prima ancora per aprile. Lo scenario di previsione segue queste indicazioni».

Il secondo innesco della crescita andrebbe cercato nel Pnrr: «Nel 2024 e 2025, infatti, l’ammontare delle risorse da spendere per investimenti e riforme è pari rispettivamente a 42 e 58 miliardi di euro, cioè oltre 2 punti di Pil all’anno. Sebbene sia difficile fare delle ipotesi precise sugli impatti complessivi che le risorse del Pnrr avranno sulla crescita dell’economia, anche a causa della mancanza di informazioni su vari aspetti della recente rimodulazione del Piano, la spinta al Pil di una sua piena attuazione sarà in ogni caso molto forte», si legge nell’outlook che, correttamente, non nasconde una criticità evidenziata da più parti sulla lentezza dell’attuazione del programma: «In termini di spesa, le risorse erogate fino ai primi mesi del 2024 sono state pari a circa 45 miliardi, meno di un quarto della dotazione complessiva di oltre 194 miliardi da spendere entro il 2026». Anche se le risorse «“impegnate”, cioè per le quali vi è già un’obbligazione di pagamento, sono oltre la metà: circa 100 miliardi di euro». E un apprezzamento arriva per le modifiche decise dal governo: «Sul totale delle risorse rimodulate, circa 12 miliardi sono destinati alle imprese, di cui 6,3 per Transizione 5.0 (per il quale si attende l’effettiva “messa a terra”) e 2,5 per filiere green e net zero technologies». Tra i fattori che giocano invece contro la crescita, Confindustria mette il costo dell’energia elettrica che grava sulle imprese, collegato «in gran parte alla generazione termoelettrica da gas naturale, mentre in altri Paesi si riscontrano tecnologie come il nucleare (in particolare in Francia), il carbone (per esempio in Germania) o una combinazione di nucleare e fonti rinnovabili (come nel caso della Spagna), che coprono maggiori volumi e riducono i prezzi».

Il Superbonus. Riguardo al mega-incentivo all’edilizia tanto discusso del governo Conte II, viale dell’Astronomia ribadisce quanto è ormai acquisito in termini di risultati.


Pur specificando che su questa misura «per ora, abbiamo informazioni (in continuo aggiornamento) sui costi per la finanza pubblica. Mancano ancora, però, evidenze empiriche solide sugli effetti che il boom delle costruzioni, indotto dagli incentivi, può aver avuto in termini di maggior crescita economica».


Da una parte un altro freno al Pil viene rinvenuto oggi nel «graduale depotenziamento del Superbonus. Le costruzioni a uso residenziale, in termini di valore aggiunto, dovrebbero risentire fortemente della prevista riduzione degli incentivi, già nel 2024 e in misura ancora maggiore nel 2025. Nel 2023, invece, il contributo maggiore alla crescita degli investimenti in Italia, sebbene non l’unico, è stato fornito proprio dalle abitazioni». Dall’altra, gli effetti su disavanzo e debito pubblico: «La stima del deficit pubblico nel 2023 è stata di recente fortemente rivista al rialzo dall’Istat, al 7,2% del Pil dal 5,3% previsto nella Nadef di settembre scorso. La revisione è legata a modifiche nel trattamento contabile delle risorse mobilitate dal Superbonus e da Transizione 4.0, che hanno comportato un forte rialzo della spesa in conto capitale». Inoltre «il debito pubblico italiano è stimato in risalita al 139,1% del Pil nel 2024, ovvero +1,8 punti di Pil in più rispetto al 2023, e nel 2025 è prevista una crescita di altri 2,0 punti circa, al 141,1. Questo per effetto di due fattori: la differenza tra costo medio del debito e crescita nominale torna ad essere positiva; c’è un effetto sfavorevole di riclassificazione contabile relativo, come detto, ad alcune agevolazioni fiscali (Superbonus e Transizione 4.0)».

La riclassificazione contabile menzionata dal Csc è stata decisa da Eurostat, che ha chiarito che le caratteristiche del credito di imposta (trasferibilità, sconto in fattura, possibilità di utilizzo oltre il debito fiscale dell’anno) ne impongono la contabilizzazione interamente in spesa nell’anno di maturazione dell’agevolazione, ovvero nell’anno di sostenimento della spesa stessa. Quanto al debito pubblico che torna a salire più della crescita, non è un buon segnale: non è infatti l’ammontare del debito che si tiene in considerazione, ma il rapporto debito-Pil. Questo perché il debito pubblico è sostenibile finché il suo costo è più basso della crescita. Se non lo è si rischia un effetto “palla di neve”.

In copertina: ©confindustria.it

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Alessio Garofoli
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