Trent’anni dalla Merloni, quale eredità nel nuovo Codice?
Mario Avagnina racconta a thebrief gli elementi di innovazione e le criticità della normativa allora e oggi
A febbraio di quest’anno ricorre il trentennale dall’emanazione della Legge Merloni, la Legge 11 febbraio 1994, n. 109, legge quadro in materia di lavori pubblici, che lega il suo nome all’allora Ministro dei lavori pubblici che l’ha firmata insieme al Presidente del Consiglio dei Ministri Carlo Azeglio Ciampi. Trent’anni dopo, «numerosi motivi sembrano giustificare il ricordo di tale ricorrenza, perché la legge, di cui nessuno parla più, – ricorda a thebrief Mario Avagnina, architetto e Dirigente del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – rimane uno dei migliori esempi di legislazione di settore e perché buona parte delle innovazioni dalla stessa introdotte costituiscono l’ossatura del quadro normativo vigente e, comunque, sono ancora il punto di riferimento del dibattito odierno in materia di lavori pubblici».
Architetto, in sintesi, come è nata la Merloni?
Con un testo snello composto di 38 articoli questa legge interviene a sostituire quella del 1865 (Legge 20 marzo 1865, n. 2248, Allegato F, Legge sui lavori pubblici) che aveva regolato, in quasi 130 anni di onorato servizio, la realizzazione dei lavori pubblici di competenza statale. Si trattava di recepire, da un lato le grandi trasformazioni intervenute con il passaggio dalla monarchia alla repubblica, con la creazione delle Regioni, nuovo soggetto con competenza anche legislativa oltre che territoriale, con l’appartenenza dell’Italia alla comunità sovranazionale dell’Europa e relativa legislazione, dall’altro innovare un impianto legislativo di tipo ottocentesco il cui funzionamento aveva mostrato i propri limiti e difetti evidenziati anche da Tangentopoli.
Dove sta l’innovazione?
Innanzitutto, viene riconosciuta la natura processuale dell’iter attuativo di un intervento pubblico, individuandone le fasi e i soggetti coinvolti. Viene introdotta la fase della programmazione, prima ignorata, e il controllo dell’intero processo viene affidato ad una figura – il responsabile unico del procedimento (RUP) – che rappresentando la committenza pubblica, garantisce la continuità, la coerenza, l’efficienza e l’efficacia, in sintesi la qualità, del processo stesso.
La legge prevede che tutti i soggetti coinvolti nel “processo” siano qualificati, a partire dalla committenza pubblica e dall’esecutore. Viene inoltre creato un soggetto indipendente con compiti di vigilanza, l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, oggi, con un “inquietante” cambiamento di denominazione, Autorità nazionale anticorruzione (Anac).
Tra le numerose innovazioni anche la redazione dei progetti in via prioritaria da parte degli uffici tecnici delle stazioni appaltanti, la valutazione dei lavori «a corpo»; la sistematizzazione dei sistemi di realizzazione dei lavori pubblici e le procedure per la scelta del contrente, privilegiando le procedure concorsuali, l’aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, la disciplina delle varianti.
Con la Merloni si assegna alla progettazione un ruolo preminente nel “processo”, come?
Si rafforza la funzione del progetto attraverso un’articolazione organizzata su tre livelli, rispetto ai due precedenti. Tale scansione è coerente con un uso efficiente ed efficace delle risorse, affidando alla prima fase la verifica della fattibilità tecnica ed amministrativa della soluzione individuata, alla seconda l’acquisizione di tutti gli atti di assenso necessari sulla base di un progetto compiutamente definito nei suoi aspetti tecnici ed economici e alla terza la definizione di dettaglio del progetto stesso, perché possa essere mandato in gara.
E dal progetto al cantiere?
La Legge Merloni prevedeva l’appalto sulla base di un progetto esecutivo, ad eccezione della manutenzione ordinaria e dello scavo archeologico. L’appalto-concorso, cui ricorrere in casi molto limitati, era considerato non un sistema di realizzazione, ma una procedura di scelta del contraente, in cui il progetto veniva offerto in sede di gara sulla base di un progetto preliminare redatto dalla Stazione appaltante.
Dal 1994, quale è stato l’iter?
Il quadro normativo è stato completato sei anni dopo con l’emanazione del regolamento di attuazione della legge (DPR 554/1999), del Capitolato generale d’appalto (DM 145/2000) e del Regolamento per la qualificazione degli esecutori di lavori pubblici (DPR 34/2000), atti a cui ha dato un grandissimo contributo Alessandro Coletta, recentemente scomparso.
Negli anni quali sono stati i riscontri? Qualche debolezza?
In relazione ad alcuni aspetti della legge sono emerse difficoltà applicative o lacune, tanto da portare ad alcune correzioni e integrazioni, testimoniate da ben tre modifiche alla legge stessa. Per limitarsi al tema della progettazione, è stata notevolmente ridimensionata la previsione di eseguirla, in via prioritaria, all’interno delle stazioni appaltanti, così come il principio dell’appalto su progetto esecutivo è stato eroso dall’introduzione di forme di affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione quali l’appalto integrato (protagonista anche del nuovo Codice dei contratti, ndr) che ha, di fatto, sostituito l’istituto dell’appalto concorso.
Dalla Merloni ad oggi, quali sono state le tappe?
Anche per recepire le direttive europee emanate in materia di contratti pubblici sono stati emanati il Codice dei contratti.1 (DLgs 163/2006) – che ha abrogato la legge Merloni e relativo regolamento -e il Codice dei contratti.2 (DLgs 50/2016), che, oltre ad estendere la materia trattata anche ai contratti di forniture e servizi, hanno rappresentato un atteggiamento ondivago nei confronti di molti degli elementi che caratterizzavano la legge Merloni, a cominciare dall’affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione, sino al ruolo degli strumenti applicativi.
Qualche esempio?
Sono ancora di fresca memoria il divieto quasi assoluto imposto dal Codice del 2016 al ricorso all’appalto integrato, e lo sconcerto provocato dall’abrogazione del Regolamento 207/2010 che doveva essere sostituito da una miriade di atti di normazione secondaria, abrogazione che ha prodotto una situazione di difficoltà operativa durata praticamente sino al 2023.
Con una terza versione del Codice dei contratti, accelerata anche dal Pnrr?
Il vigente Codice dei contratti.3 (Dlgs 36/2023) che non deriva dalla necessità del recepimento di direttive europee, ma proprio dall’impegno assunto dall’Italia di attuare alcune riforme “abilitanti” contestualmente all’attuazione del Pnrr, fra cui quella relativa alla “semplificazione in materia di contratti pubblici”.
Il Codice.3 è entrato in vigore a luglio dello scorso anno e quindi è troppo breve il periodo di applicazione per poter esprimere valutazioni. Però, proprio partendo dai trent’anni trascorsi dall’emanazione della legge Merloni, è possibile compiere un bilancio rispetto alla condizione presente. È vero che la legge è stata abrogata nel 2006 dal primo Codice dei contratti, e quindi è stata applicata per poco più di un decennio, ma il contesto giuridico e culturale è rimasto lo stesso.
Quindi, in sintesi, quali sono gli elementi di confronto tra la Merloni e il nuovo Codice?
La concezione processuale dell’iter attuativo di un intervento pubblico non sembra messa in discussione dal nuovo Codice dei contratti, ma alcune fasi di questo processo, soprattutto la “programmazione”, non sono mai riuscite a svilupparsi ed attualmente risultano depotenziate.
Anche la figura posta a garanzia del “processo”, il Responsabile unico del procedimento, è stata confermata. Oggi si chiama Responsabile del progetto, con una denominazione senz’alto preferibile, ma i suoi compiti, la sua funzione sono rimaste sostanzialmente inalterate, con la precisazione del possibile ricorso a responsabili del procedimento delle singole fasi.
Ancora, la qualificazione degli attori e in particolare delle Stazioni appaltanti, che era uno dei punti di forza della legge Merloni, non è stata praticamente attuata, Il nuovo Codice la prevede nuovamente e la ha resa obbligatoria con esiti che non è ancora possibile valutare. È sicuramente uno degli aspetti più importanti e anche più richiesti dalla Commissione europea, con particolare riferimento alla riduzione del numero delle stazioni appaltanti.
In merito alla progettazione?
Il tema non è trattato nelle direttive europee, ma una delle innovazioni più rilevanti apportate dal nuovo Codice dei contratti è quella che prevede una riduzione delle fasi della progettazione da tre a due, facendo così venire meno uno dei principi introdotti dalla Legge Merloni (tema già trattato su thebrief da Avagnina ndr). In sé la modifica non sembrerebbe foriera di effetti negativi – ci sono molti altri paesi in cui la progettazione è prevista in due fasi, ma lo diventa se abbinata, come è avvenuto, ad una generalizzata possibilità di ricorrere all’appalto integrato. È presto per esprimere valutazioni, ma le possibili incertezze riguardanti i contenuti del progetto di fattibilità tecnica ed economica abbinate all’utilizzo dell’affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione potrebbero portare, per la Committenza pubblica, a risultati che non conseguono la sperata efficacia ed efficienza del processo, senza garantire rispetto di tempi e costi e, soprattutto, senza garanzie di superamento delle cause di contenzioso che rappresentano una delle principali problematiche irrisolte.
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