26-05-2023 Chiara Brivio 3 minuti

Gli architetti convivranno con l’intelligenza artificiale, restando “umanisti”

Per alcuni esperti i nuovi software trasformeranno la professione. Dibattito alla rassegna FutureCreate

Immagini che ritraggono papa Francesco con un piumino bianco all’ultima moda, un’esplosione al Pentagono, persone in fuga dalle guerre, opere d’arte generate artificialmente. Oppure duetti musicali immaginari, come quello tra il rapper Drake e il cantante The Weeknd, poi rimosso dalle piattaforme per problemi di copyright. Testi scritti da macchine che sembrano articoli di giornale. Sono solo alcune delle cose che i software di intelligenza artificiale di nuova generazione, come Midjourney e ChatGpt, sono oggi in grado di produrre. È difficile predire quali conseguenze avranno sul mondo del lavoro questi strumenti e le loro implicazioni etiche, ma è certo che alcune professioni ne saranno progressivamente e profondamente trasformate.

«Tre sono prevalentemente gli ambiti in cui ci troviamo a proporre questo tipo di strumenti: – ha spiegato Chiara Rizzarda, esperta di digitalizzazione e ottimizzazione di processo, nonché formatrice, a un recente incontro sull’introduzione dell’intelligenza artificiale nell’ambito dell’architettura, organizzato da Flowerista  e dal titolo FutureCreate – il calcolo, con gli algoritmi procedurali e le varianti; la generazione di immagini, che sta creando molta ansia nel settore, e la produzione di testi, che nonostante non sia considerata molto rilevante nel nostro campo, dovrebbe essere tenuta più in considerazione». Ad oggi è dunque uno strumento che si inserisce soprattutto nella parte creativa, in supporto ai team nell’immaginazione dello spazio, riuscendo, per esempio nel caso di Midjourney, a dar vita in pochi minuti a immagini che rispecchiano quei concetti, attingendo da una libreria potenzialmente infinita e solo attraverso alcune parole chiave. Un processo molto rapido che permette di ottimizzare di molto i tempi di questa prima fase. «È come Pinterest, ma bespoke (su misura). Con Midjourney creiamo una libreria di immagini basate su elementi che ci piacciono che poi vengono sviluppati come design. Sono un filo conduttore all’interno del progetto». Così Stefano Casati, designer e architetto specializzato in computational design di base a Londra, che utilizza l’Ia per le sue creazioni.

Tuttavia, questi software non riescono ancora ad arrivare alla fase di modellazione tridimensionale.


«L’Ia presenta milioni di spunti che possiamo andare a prendere per creare qualcosa di innovativo – spiega ancora l’architetto – ma non lo usiamo nel progetto onsite per gli appartamenti, perché l’intelligenza artificiale non è ancora in grado di creare un modello 3d in Bim».


©Sara Codarin via Instagram

E se in Cina si sta andando in questa direzione – e prima o poi ci si arriverà anche qui – al momento il ruolo dell’architetto è ancora decisivo. «L’intelligenza artificiale è uno strumento, non sa cosa è vero e cosa è falso. L’associazione tra parole e immagini è corretta per l’algoritmo, anche se può generare prompt diversi tra loro. Per questo – aggiunge Casati – è fondamentale la sensibilità del designer nell’uso dell’Ia, almeno per il momento». «Siamo ancora in controllo del concetto, dell’idea e dell’output – prosegue – e usiamo la nostra capacità critica come professionisti, designer, artisti». Gli architetti quindi non spariranno, ma sarà la loro capacità di adattamento a giudicare il futuro della professione. «Penso che alcuni lavori si trasformeranno – incalza Sara Codarin, docente alla Lawrence Technological University di Detroit, negli Stati Uniti – in supporto di una integrazione più umanistica all’interno dell’architettura. Se un’immagine è generata in 50 secondi, è lì che si vede la componente culturale, per capirne il senso e il modo in cui può essere utilizzata». No, quindi, a una semplificazione dei ruoli all’interno degli studi, piuttosto attenzione alla comunicazione di questi strumenti e, prima di tutto, a prendere una posizione chiara e decisa se accettare le sfide poste dell’innovazione o continuare sulla propria strada.

«Questo è un periodo di transizione, di introduzione dello strumento, e come tutti i tempi di cambiamento, qualcuno rimane a casa – aggiunge Rizzarda –. Questi strumenti come ogni volta ci spingono verso l’eccellenza, che si decida di abbracciarli o di proseguire con quelli vecchi è una scelta. Non tutti vogliono fare innovazione nella loro professione, e anche questo approccio ha dei limiti, perché si corre il rischio di diventare obsoleti».  Di diversa opinione è Luca Sassi, vlogger ed egli stesso architetto. «No, l’Ia non ci ruberà il lavoro. La realtà dei professionisti europei è molto arretrata rispetto a quelli americani e anglosassoni. E rimane di nicchia. Non riesco a vederla come una vera rivoluzione, è una progressiva trasformazione. Per chi sta ai vertici dell’innovazione sì, ma rispetto alla professione non è così, è ancora qualcosa che sta molto lontano, è un’eco».

In copertina: Immagine da Freepik

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Chiara Brivio
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