Materiali, buone pratiche e poesie, ecco come si costruisce la città del futuro
Al Festival Seed a Perugia, nell’esempio di Copenaghen, nella metrica di Ambasz e nella scienza urbanistica di Viganò, i nuovi codici del design e dell’architettura
La sostenibilità senza poesia è giardinaggio. E di giardinaggio nelle azioni green di assessorati, architetti, sviluppatori, rigeneratori contemporanei ce n’è tanto. Il verde deve essere per tutti e non solo per chi può stare in un bosco verticale. L’architettura green deve parlare al cuore, con il lessico della poesia, lo dice Emilio Ambasz, precursore del design sostenibile, nel suo contributo video presentato dal curatore Stefano Casciani durante la quarta giornata del Festival internazionale di architettura Seed in programma a Perugia e Assisi fino al 30 aprile.
L’architettura sostenibile non produce edifici “ricoperti d’insalata”, come spiega Ambasz. Si può evocare lo spirito dell’architettura, si può fare architettura anche con un mucchio di fieno, l’importanza è l’autenticità.
Con questo filo rosso, anzi verde, il Festival Seed ha lasciato sul campo parole, buone pratiche e materiali per il progetto. A partire dal legno. «Abbiamo la possibilità di utilizzare per la filiera non proprio il 100% di legno italiano, ma una buona parte sì. Anche perché i prodotti di design vengono prodotti da boschi tropicali più fragili perché è più difficoltosa la riforestazione. Nei nostri climi la foresta “ritorna” da sola. L’Italia ha il 40%, quasi 12 milioni di ettari di bosco che si stanno affermando come aree autosufficienti, una quota può essere utilizzata per la produzione di manufatti, dico una parte perché in Italia chi è proprietario di un bosco ha anche una responsabilità collettiva. Il bosco accumula anidride carbonica, produce ossigeno, è fonte di vita per l’ecosistema, utile contro i dissesti idrogeologico. Chi è proprietario di un’area forestale non può fare quello che vuole. L’Italia, dal punto di vista normativo, è all’avanguardia per la tutela dei boschi», racconta Alessandra Stefani, direttore generale del ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste.
La grande sfida dell’architettura oggi è, però, mettere in comunicazione e relazione il mondo naturale con il mondo artificiale, questa sfida passa da due strade: dell’ambiente e della tecnologia. Parola di Carlo Ratti, fondatore dello studio internazionale di design e innovazione Carlo Ratti Associati e docente al MIT di Boston.
Le best practice arrivano dallo studio danese Henning Larsen Architects (che a Milano costruirà la sua prima opera italiana) con le parole di Signe Kongebro. Ancora la città di Copenaghen al centro del cambiamento. Designata capitale mondiale della architettura 2023 dall’Unesco in seguito alle raccomandazioni dell’Assemblea generale dell’Unione internazionale degli architetti (Uia) per il suo impegno senza eguali alla lotta ai cambiamenti climatici. La Kongebro ha guidato la progettazione di prestigiosi interventi, tra cui il Downsview Framework Plan ispirato alla “città in 15 minuti” in Canada, e Volvo Campus Lundby, un campus industriale riconfigurato in un vivace hub pubblico per oltre 10 mila dipendenti, ricercatori e studenti a Göteborg, in Svezia.
«Per realizzare i nostri progetti sostenibili – dice Kongebro – abbiamo chiesto aiuto alla tecnologia. La tecnologia è un alleato fondamentale per l’ambiente. Abbiamo inventato uno strumento che rileva la presenza negli edifici, nel costruito, di CO2. Troviamo le impronte di carbonio e le curiamo con i nostri progetti, con l’architettura», conclude.
Per Paola Viganò, grande urbanista italiana la sostenibilità deve parlare il linguaggio dell’inclusione sociale. «Bisogna essere rigorosi negli aspetti progettuali, sostenibile è anche il modo che si ha di coinvolgere le persone. «La città come risorsa, come l’agricoltura, un campo in cui si estraggono dei materiali. Dei pensieri. La città come un luogo fertile che attraversa tanti cicli di vita. Perché quando riflettiamo sugli spazi e lo facciamo nei termini della rigenerazione urbana sappiamo che cambiano le geografie urbane e che questo cambiamento ha bisogno di attenzione perché spesso porta a galla marginalità. Sappiamo che le città sono porose, stratificate, quello che dobbiamo fare è usare il linguaggio della mescolanza», conclude. Sempre con una gran cura delle periferie. Città, persone e visioni. Per Tore Banke dello studio Bjarke Ingels Group (Big) a livello di sostenibilità oggi abbiamo diverse competenze e metodologie, siamo ben equipaggiati, ma c’è fretta. Parliamo di clima ma l’ecosistema va oltre il clima. Il problema è grande. La ricerca dell’equilibrio tra ambiente, disuguaglianze, povertà, risorse, è fondamentale. Siamo un ufficio globale e usiamo strategie adattabile ai luoghi, compresi i materiali», spiega Banke. Tutto in moto perché l’urgenza è estrema. Non c’è più tempo.
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