Barozzi Veiga disegnano il restyle dell’Art Institute di Chicago
Altro incarico prestigioso dopo quello per la filarmonica di Szczecin
Il concept della proposta di Barozzi Veiga poggia su quattro pilastri: città, treno, giardini e lago.
È dello studio italo spagnolo Barozzi Veiga la firma sul progetto di ammodernamento dell’Art Institute di Chicago, secondo museo d’arte per grandezza degli Stati Uniti (oltre 90mila mq). Il nuovo impianto proposto dai due architetti ha battuto la concorrenza di una compagnia con sede nella città nordamericana e di un’archistar (di cui non è stato rivelato il nome). E così dopo Renzo Piano, che ha disegnato la nuova ala del museo dedicata all’arte moderna e contemporanea (realizzata nel 2009), un altro italiano, Fabrizio Barozzi, legherà il suo nome ad una delle istituzioni culturali più importanti del Nord America.
«Vogliamo rendere più coese le strutture che compongono il polo» spiega Barozzi intervistato dal Chicago Tribune. «Ad esempio daremo più centralità all’edificio che si deve percorrere per attraversare la ferrovia che attraversa il lotto e che oggi è noto come “The Bridge”. Questo anche per dar vita ad una nuova relazione con l’atmosfera industriale del tessuto urbano, elemento importante che conferirà una maggiore peculiarità al museo stesso».
L’operazione si preannuncia importante con la committenza, lo stesso Art Institute, che ha chiesto ai progettisti di ripensare gran parte dell’impianto espositivo. Obiettivo, quello di amplificare l’esperienza dei visitatori, valorizzare le collezioni esposte e facilitare l’orientamento nei grandi ambienti interni. L’importo dei lavori non è stato stabilito, ma serviranno centinaia di milioni considerando che solo l’ultimo intervento, quello per l’ala disegnata da Piano (25mila mq), è costato circa 283 milioni di dollari.
«Non si tratta di un’operazione tesa unicamente ad ampliare gli otto volumi che compongono il museo» sottolinea al Chicago Tribune James Rondeau, il direttore dell’Art Institute of Chicago. «Ci prefiggiamo di migliorare le strutture, la loro connessione e l’accesso dei visitatori a collezioni che al momento non trovano spazio». Tempi dell’operazione? «Entro 18 mesi ci aspettiamo il progetto definitivo per un intervento che potrà durare anche 15 anni». Nessun dubbio sul risultato finale. «La scelta di Barozzi Veiga è stata in coraggiosa ma ovvia, soprattutto dopo aver studiato i lavori che hanno realizzato in tutto il mondo, a partire dalla filarmonica a Szczecin (Polonia)» racconta Rondeau.
Il concept. Per rendere più omogeneo un complesso composto da edifici con stili architettonici molto diversi fra loro, la proposta di Barozzi Veiga poggia su quattro pilastri: città, treno, giardini e lago.
Città. Fra gli elementi che hanno convinto la giuria quello della riconnessione del complesso museale al resto del tessuto urbano. Per far questo verrà modificata la facciata dell’edificio d’ingresso, ma verranno mantenuti i due leoni che accolgono i visitatori, una delle icone della stessa Chicago.
Treno. Quello della ferrovia è un altro elemento importante. Il motivo? L’Art Institute è sostanzialmente diviso a metà da un tracciato ancora attivo che, ad oggi, è stato sempre considerato un elemento del quale si sarebbe fatto volentieri a meno e in netto contrasto con la bellezza delle opere esposte nelle sale del museo. Scopo della proposta di Barozzi Veiga, vista anche l’importanza che il trasporto su ferro ha per la stessa identità cittadina, è quello di esaltarne la presenza.
Giardini e lago. Nonostante il complesso museale sia ricco di spazi verdi, questi sono poco sfruttati e non considerati nella gestione dei flussi. Invece di formare una barriera, con il nuovo impianto le aree green connetteranno i volumi invece di dividerli. Discorso simile per il Michigan, uno dei cinque Grandi Laghi del Nord America, che si trova a poche centinaia di metri dall’Art Institute e che i progettisti hanno deciso di avvicinare ancor di più al museo.
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