05-12-2017 6 minuti

Delrio firma il decreto Bim: dal 2019 obbligatorio per le grandi commesse

I commenti sulla qualificazione delle stazioni appaltanti, sul design&build, sulla cultura della filiera

"L’innovazione è inevitabile e travolgerà il settore nei prossimi 3-5 anni: per non perdere questo treno è fondamentale un cambio di mentalità"

Pietro Baratono

È ufficiale. Dopo un’attesa che per gli addetti ai lavori sembrava non finire più, venerdì 1 dicembre Graziano Delrio, a capo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha firmato il cosiddetto decreto Bim che a breve diventerà esecutivo. “Un passaggio importante che risponde all’innovazione del settore e che porterà trasparenza, efficienza e più qualità nella progettazione e nella realizzazione delle opere”, ha dichiarato il Ministro. Dal 2019 quindi, sarà necessario l’utilizzo del Building Information Modeling per la realizzazione di opere dal valore superiore ai 100 milioni di euro.

La norma prevede un’adozione graduale che, attraverso vari step, arriverà fino al 2025, anno in cui il Bim diventerà obbligatorio anche per le commesse inferiori ad un milione. Si tratta di una novità importante, perché costringerà tutti gli attori del settore delle costruzioni ad un processo di adeguamento in tempi relativamente brevi. Negli ultimi anni, ma in particolar modo in seguito alla decisione del ministero competente di avviare una consultazione pubblica, si è acceso il dibattito sulle opportunità e le criticità portate dall’adozione del Bim in un momento in cui il mondo del costruito sta affrontando una lenta e faticosa ripresa.

Una delle voci più autorevoli, sia per le sue conoscenze che per il suo ruolo, è quella di Pietro Baratono, presidente della commissione governativa che ha lavorato alla scrittura del decreto in oggetto, nonché Provveditore per le Opere Pubbliche di Lombardia ed Emilia Romagna. “Nel campo della digitalizzazione l’Italia è rimasta al palo per tanti anni, nonostante fosse un processo necessario per stazioni appaltanti, professionisti e imprese. Il decreto – ha dichiarato durante un seminario presso l’ACER (Associazione Costruttori Edili di Roma) sull’edilizia 4.0 – ha fra i suoi punti principali la creazione di un ambiente di condivisione dei dati (CDE), la selezione dei livelli contrattuali di riferimento, un’applicazione progressiva e il monitoraggio dei progetti sperimentali. Bisogna però considerare un elemento fondamentale e non dipendente dalle normative: l’innovazione è inevitabile e travolgerà il settore nei prossimi 3-5 anni. Per non perdere questo treno – ha più volte ribadito l’ingegnere del Mit – è fondamentale un cambio di mentalità”.

Dello stesso parere Alberto Pavan, ricercatore del Politecnico di Milano e coordinatore della Norma UNI 11337 sulla gestione digitale delle costruzioni: “Alla comprensione dei nuovi mezzi si deve accompagnare un processo di adeguamento tecnologico. Per evitare errori infatti, questo va studiato e assorbito prima di essere messo in pratica. Se utilizzato in maniera corretta il Bim garantisce grandi possibilità e permette di risparmiare in termini di costi e tempi rispetto alle vecchie modalità di progettazione”.

Edoardo Bianchi, vice presidente dell’Ance (Associazione Nazionale Costruttori Edili) per le opere pubbliche e presidente dell’ACER, è intervenuto nel dibattito sottolineando che “uno dei pilastri della riqualificazione del mondo delle costruzioni è l’obbligatorietà graduale del Bim. Va detto però – ha evidenziato Bianchi – che quando si parla di digitalizzazione della progettazione, il mercato privato è più avanti rispetto all’ambito pubblico. Le aziende italiane che lavorano all’estero lo sanno: per le grandi opere il Bim è fondamentale”.

“Il Building Information Modeling è un primo tassello di un processo molto più articolato che ha nelle prestazioni degli edifici la posta in gioco più grande. Inoltre – ha dichiarato Angelo Ciribini, professore presso l’Università di Brescia, intervenendo ad un webinar sul Bim nelle operazioni immobiliari – non solo permette di risparmiare, ma anche di incrementare la qualità dell’investimento fatto e di aumentarne il valore a parità di spesa. Va detto che una delle principali criticità è rappresentata dalla formazione culturale di una parte importante degli attori del settore – ha rilevato Ciribini –. Si tratta comunque di un processo non rinviabile, che, se gestito nel modo giusto, apporterà benefici e opportunità a tutto il mondo delle costruzioni”.

Qualificazione delle stazioni appaltanti. Con questo via libera si apre la discussione e sotto i riflettori finisce la qualificazione delle stazioni appaltanti, come ricorda Baratono. “Si parla di sperimentazione, di monitoraggio, ma tutti questi temi sottendono una sincera e necessaria motivazione da parte dei soggetti appaltatori nella condivisione di un progetto di razionalizzazione, efficienza e trasparenza. Su questo tema si gioca il futuro della digitalizzazione nel settore pubblico. Ogni tanto si assiste a qualche fuga in avanti, perfettamente giustificata, ma che non fa la digitalizzazione del comparto”. Per il Provveditore per le Opere Pubbliche di Lombardia ed Emilia Romagna, “fino a quando ci sarà un’organizzazione limitata a qualche centinaio di soggetti, non si può pensare di arrivare indenni al 2025, quando in teoria tutte le opere dovrebbero essere digitali”.

Un nuovo spiraglio per l’appalto integrato? “Non è questa la risposta giusta all'evoluzione che avverrà con l’adozione del Bim. A mio avviso, in questo caso – ha commentato Armando Zambrano, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri – è necessaria la centralità della progettazione e quindi la forza contrattuale della pubblica amministrazione, che deriva dal rispetto delle regole e dalla competenza dei suoi tecnici, in tutte le funzioni: dal RUP, al progettista, fino al direttore dei lavori. Spero vivamente che non si utilizzi il Bim per tornare a vecchie pratiche di gestione dell'esecuzione di opere pubbliche, impiegando in modo distorto l'appalto integrato con progettazioni sostanzialmente in "comunione" tra strutture tecniche della Pa e imprese, che ha provocato tanti danni in passato, oltre ad un indebolimento proprio delle stazioni appaltanti”.

“Il problema – aggiunge Giovanni Cardinale, vicepresidente del Cni – non è l’appalto integrato in sé ma come è stato fatto in Italia: progetti preliminari a base d’asta inesistenti, migliorie richieste in termini di nuovi lavori non progettati, stime della base d’asta sbagliate, per lavori e per servizi, parametri di valutazione approssimativi e largamente soggettivi, commissioni non sempre all’altezza della complessità dell’opera”. Di tutto questo nel cosiddetto design & build di matrice americana o anglosassone non c’è traccia. “L’appalto integrato è stato tolto o ridimensionato, fortemente, com’era giusto fare – ha aggiunto Cardinale – per le stesse identiche ragioni per cui si è ridimensionato il ruolo del contraente generale: inconsistenza, inadeguatezza, incompetenza di gran parte della Pa”.

Un’occasione per fare cultura nel Paese e puntare alla realizzazione delle opere. Il decreto Bim apre una questione culturale. “Dal 1994 al 2017, non sono state mai promosse leggi sugli appalti incentivate da una matura esigenza di modernizzazione, trasparenza, efficienza, ma – ha commentato Cardinale – solo dalla necessità di far fronte a fatti di corruzione; tutte le leggi sono quindi prive di quella fiducia di base negli operatori e sono invece piene di regole pensate come argine alla corruzione; un argine che riduce l’autonomia degli operatori ed induce a comportamenti iper-burocratizzati”.

“Linee Guida pubblicate per decreto, DM Progettazione in bilico tra può e deve, Bandi Tipo da cui ci si può discostare ma che in un giudizio di soccombenza potrebbero definire una colpa grave in caso di scostamento, norme di progettazione pubblicate per decreto e diventate regole”. Baratono porta degli esempi, “tutti elementi paradigmatici di un Paese che ha perso l’individuazione dell’unico obiettivo utile nel nostro mondo: realizzare l’opera”.

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