06-11-2017 Paola Pierotti 8 minuti

Chi innova ce la fa. La sfida dei concorsi sotto la lente degli assessori-committenti

Sfidando le norme e la burocrazia, per tutelare la qualità e difendere uno strumento virtuoso

"Scegliere di bandire un concorso è una scelta coraggiosa visto che la normativa di riferimento, anche nelle sue più recenti novità, sembra creare tutte le condizioni per disincentivarne la sua applicazione"

Francesco Valesini

Il mondo dell’architettura ha sempre espresso con forza la necessità di promuovere concorsi, stimolando amministrazioni pubbliche a utilizzarlo a piene mani nell’affidamento di incarichi di progettazione. L’opportunità e il valore aggiunto delle competizioni è stata apprezzata da committenti privati che non di rado hanno scelto questo strumento anche per comunicare investimenti e iniziative importanti.

Si pensi al recente concorso per San Pellegrino Terme vinto da BIG, a quello da poco aggiudicato per il nuovo headquarter di Fendi in Toscana, vinto da Piuarch, o a quello in corso per l’ampliamento del Campus Biomedico di Roma. “Il concorso – afferma Pier Giorgio Giannelli, presidente dell’Ordine degli Architetti di Bologna – è il modo più trasparente e meritocratico per scegliere un progetto, e non un progettista come nelle gare di affidamento. Si può scegliere davvero la migliore soluzione tra le tante proposte inviate: il risultato è un’architettura di qualità, e in Italia ne abbiamo un grande bisogno”. Giannelli è stato anche il coordinatore del concorso della scuola panoramica di Riccione, che ha visto presentati in prima fase 195 progetti, e che si è conclusa in poco più di 4 mesi. “Abbiamo dimostrato che questa procedura è competitiva, a livello di tempistiche, con le altre procedure previste dal Codice. Il vincitore ha firmato la scorsa settimana l’incarico delle progettazioni”.

Il concorso è anche un investimento in qualità, è una palestra per i progettisti che si misurano spesso con temi che normalmente gli sarebbero preclusi, costituendo un arricchimento e una crescita della propria professionalità.

Ma cosa comporta, nei fatti, oggi, in Italia, per un Comune, adottare questo strumento? “Una scelta come minimo coraggiosa – spiega Francesco Valesini, assessore all’urbanistica del Comune di Bergamo, ex presidente dell’Ordine degli architetti provinciali – visto che la normativa di riferimento, anche nelle sue più recenti novità, sembra creare tutte le condizioni per disincentivarne la sua applicazione. L’impossibilità di rendere palese i nominativi di una giuria per consentire a chi partecipa di sapere preventivamente da chi sarà giudicato. La sua composizione attraverso una lunga, dispendiosa e per certi versi paradossale procedura che parte dal dover individuare per ogni membro della stessa giuria, terne di nomi da estrarre in seduta pubblica. L’impedimento a rendere noti, in un concorso a due fasi, i finalisti, rendendo di fatto impossibile a un’amministrazione poter approfondire i temi progettuali con gli stessi concorrenti, così come farebbe ogni bravo committente privato nei confronti di una serie di proposte da realizzare. Sono solo alcune delle questioni che rendono problematico l’impiego di una procedura sicuramente virtuosa come quella del concorso, ma che rischia, con questi presupposti, di trasformarsi in una scommessa dagli esiti troppo incerti per una amministrazione”. 

Le criticità riflettono errori dei legislatori, ma anche responsabilità che vanno spesso suddivise fra tutti i diversi protagonisti che intervengono in questi processi. Si pensi anche solo alla tendenza diffusa degli architetti nel non accettare gli esiti di una competizione senza arrivare sistematicamente a ricorsi e contenziosi, “generando negli enti banditori – commenta Valesini – una azione uguale e contraria per evitarli. Si aggiungano alcune logiche discutibili di giudizio e selezione, volte a favorire magari l’amico dell’amico. Di fatto si è creato il terreno propizio per un apparato normativo scritto più da magistrati che da chi si pone realmente l’obiettivo di individuare le migliori condizioni per restituire progetti appropriati e qualitativamente validi”. 

Da architetto, ex presidente dell’Ordine, Valesini descrive una realtà vista da un punto di osservazione speciale, quello della committenza pubblica, essendosi impegnato in prima persona con una serie di iniziative concorsuali, e guardando con interesse all’esperienza di Belluno, dove Franco Frison, assessore all’urbanistica e consigliere del Cnappc, ha promosso un concorso per una piazza in due fasi, prevedendo anche una fase di consultazione aperta con i cinque finalisti, “richiamando il modello del debat public francese” ha commentato Frison. 

“Il Codice – aggiunge Giannelli – consente, ad una lettura attenta e curiosa, diverse possibilità di ibridazione tra le varie forme di concorso, compresa quella, in seconda fase, del colloquio individuale della commissione giudicatrice con i partecipanti”. Ha scelto questa strada Ferrara con il concorso per la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo dei Diamanti, ma anche Parma con Workout Pasubio o Stage Garibaldi di Argenta. “Bisogna soltanto non darne una lettura ottusa. Stesso discorso per le Commissioni Palesi, assolutamente ammissibili dal Codice, nell’allegato XIX comma 9. È necessario appassionarsi un pò alla materia e non dare una lettura rigida della norma, ma trovare al suo interno le possibilità che vi sono”.

In questi anni si sta popolando la galassia di sindaci e assessori che, prima del ruolo nella pubblica amministrazione, hanno investito per anni nella partecipazione ai concorsi. Da Mario Occhiuto, sindaco di Cosenza a Simonetta Cenci, assessore all’urbanistica di Genova. “Sono nato facendo concorsi e sono convinto che questa sia l’unica via per garantire qualità architettonica e trasparenza nell’affidamento degli incarichi, oltre che per far emergere giovani professionisti”. Valerio Barberis, assessore all’Urbanistica di Prato partecipa al dibattito ricordando, nella veste di committente, alcune criticità come quella legata alla grande partecipazione nei concorsi aperti. “Quando partecipano da 200, fino a 500 gruppi, c’è un oggettivo problema nella valutazione dei progetti. Per il concorso per il Parco di Prato ci siamo ispirati alle modalità adottate in Francia e Germania, in due fasi e restringendo a dieci selezionati sulla base di un porfolio la gara vera e propria”. E cosa si fa quando si ha a che fare con piccole opere dove però è necessaria una selezione competitiva? “In questi casi spesso i Comuni fanno ricorso a degli elenchi dove però sono ben distinti architetti, impiantisti, ingegneri strutturisti, per affidare con procedure negoziate incarichi di soglia compresa tra i 50 e i 150mila euro. Il Comune di Prato, in vista della realizzazione di nuove scuole – racconta Barberis – ha pensato di aprire un elenco  delle Ati costituende, con gruppi interdisciplinari che vedano architetti, ingegneri, pedagoghi e altri professionisti”. A loro si è chiesto di presentare un curriculum del gruppo e un portfolio con progetti di scuole a tutti i livelli (dalla tesi di laurea, ad un concorso non assegnato, a opere costruite). “Da quell’elenco abbiamo scelto dieci cordate a cui si è chiesto di sviluppare un preliminare. Chi vince si aggiudica l’incarico per le successive fasi della progettazione. In due mesi, così, di fatto abbiamo espletato una gara, tutelando la qualità del progetto”.

Recentemente a Padova il presidente degli Architetti Giuseppe Cappochin ha acceso ancora una volta un faro sul tema delle gare nell’ambito della Conferenza degli ordini, con una tavola rotonda dedicata al tema “Il concorso di progettazione: strumento indispensabile per il rilancio dell'architettura di qualità”. Nei prossimi giorni l’Ordine e la Fondazione degli Architetti di Genova promuoveranno un’iniziativa dal titolo “+ Concorsi = + Architettura”, finalizzata a promuovere anche nel contesto ligure, la procedura concorsuale per la realizzazione di opere pubbliche e private. Durante il convegno, amministrazioni comunali, società private e progettisti, cercheranno di dimostrare, attraverso casi concreti, perché conviene seguire la “pur faticosa” procedura concorsuale per realizzare opere pubbliche e private. Tra gli ospiti ci sarà anche Michele Alinovi, assessore all’Urbanistica a Parma, architetto professionista e docente universitario. “Nella passata esperienza amministrativa – racconta Alinovi – ci siamo confrontati due volte con il tema del concorso, in momenti e luoghi dolenti per la città: la ricostruzione del Ponte Navetta, distrutto dall’alluvione del 2014, e la valorizzazione dell’ex Manzini, un edificio industriale in un’area problematica a ridosso della stazione, la cui memoria rimanda a momenti difficili per la città negli anni del suo commissariamento”.

Questi due concorsi hanno un elemento in comune: l’amministrazione di Parma ha ritenuto di dover ascoltare la popolazione intellettuale e la cittadinanza per dare una risposta a due luoghi di dramma, “uno per un evento naturale, l’altro simbolo di una cattiva amministrazione. Per la loro ricostruzione serviva la massima partecipazione. Ecco che per il Ponte Navetta (ora oggetto di una gara particolarmente innovativa nel panorama, per l’impiego del BIM, ndr) si è coinvolta una giuria popolare, il cui voto ha pesato metà rispetto al voto tecnico. Per l’ex Manzini si è attivato un workshop e pensato anche ad un uso temporaneo del luogo”. Più in generale, per Alinovi “i concorsi funzionano quando sono integrati con un processo di partecipazione, offrendo un reale contributo alla Pa per definire delle visioni. Restano alcuni elementi di criticità – commenta – da tenere in considerazione quando si ha a che fare con luoghi della contemporaneità con implicazioni culturali e sociali, per cui non ci sono elementi definiti in termini di contenuto e gestione del bene”.

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Paola Pierotti
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