Architettura totale. Ecco come valorizzare la professione dell’ingegnere
Competenze? I professionisti sanno immaginare soluzioni nuove e insolite, giustificarle, analizzarle, ottimizzarle, sperimentarle al di là dai regolamenti
"Gli ingegneri sono tragicamente a rischio di diventare ‘gestori di numeri’, ovvero numerai: non più venditori di idee ma venditori di numeri al fine di giustificare vari regolamenti"
Premessa. Numerose sono le scienze che vanno sotto il nome di ‘Ingegnerie’ e tutte sono alla base delle attività umane, influenzandole al punto tale da poter asserire con certezza che è grazie alle Ingegnerie se l’umanità è uscita dalle caverne e si prefigge di conquistare lo spazio. Alcune delle ‘Ingegnerie’ sono indissolubilmente legate all’architettura e con essa sono talmente consone da rendere impossibile o difficile dire dove finisce l’una e dove l’altra cominci.
Quando l’architettura si preoccupa prevalentemente di formalismo ed estetica, tralasciando o ignorando i contributi tecnologici che la rendono fattibile, godibile e costruibile, allora rischia di esaurirsi in espressioni puramente accademiche di limitata utilità sociale. Lo stesso accade quando questi contributi, pur essendo necessari ed importanti per il successo dell’opera, non nascono né si sviluppano contemporaneamente con l’architettura, ma ad essa vengono ‘appiccicati’ a posteriori, senza quindi far parte integrante di una visione di ‘architettura totale’ che oltre all’estetica si preoccupa anche di molte altre valenze etiche, sociali e culturali.
Non c’è dubbio che parte del successo delle opere dell’architettura costruita sia dovuto anche al fatto che fin dall’inizio, cioè fin dalla fase della ‘invenzione’, i diversi contributi tecnologici che la rendono possibile siano stati parte di un ‘approccio olistico’ in cui il risultato finale costruito difficilmente è più scindibile in componenti ma è maggiore della somma delle parti. La progettazione architettonica fatta con questo processo si può chiamare ‘Architettura Totale’.
Nella progettazione della ‘architettura totale’ entrano in gioco fin dall’inizio non solo le tradizionali ingegnerie strutturali ed impiantistiche, ma a seconda dei casi anche quelle che si occupano di geotecnica e geologia, sismica, dinamica, comfort generale, paesaggistica e territorio, illuminotecnica, materiali, sostenibilità, acustica, management etc, con il supporto di eventuali sperimentazioni se si opera in campi insoliti o non coperti da Normative.
Può sembrare strano che nonostante secoli di evoluzione e di sviluppo culturale che hanno segnato e indirizzato la progettazione e la costruzione dell’architettura, ci si debba ancora porre il problema di rivederne sia i parametri che i punti di riferimento. Che ciò avvenga è comunque positivo e lo è oggi più che mai, a causa del veloce evolversi dei sistemi informatici e anche dei mutamenti climatici e tellurici che ci spingono a riflettere sia su un uso più saggio delle limitate risorse del pianeta, spesso danneggiate dal nostro operato, che sulle molte e complesse esigenze delle comunità che usano le opere del costruito.
Progettazione dell’architettonica totale multi-disciplinare integrata Il richiamo ad una progettazione di ‘architettura totale multidisciplinare ed integrata’ fu fatto già molti anni or sono da Ove Arup e dallo studio di progettazione che porta il suo nome. La finalità di questo approccio nasce da un profondo desiderio di superare la dicotomia tradizionale tra architettura ed ingegneria incoraggiando il ‘design’ come prodotto di team multi-disciplinari in cui gli architetti partecipano alle ricerche ingegneristiche e gli ingegneri a loro volta rispondono con sensibilità ai problemi di architettura. In tal modo tutti partecipano al processo di progettazione in un'atmosfera di eccitante creatività per produrre un unico ‘oggetto’.
Basta poco per convincersi che in un mondo sempre più complesso l’approccio multi-disciplinare integrato alla ‘progettazione totale’ sia il modo miglior per progettare oggi l’architettura essendo il team multidisciplinare composto da esperti ‘sensibili’ ai requisiti e ai problemi degli altri esperti che hanno il fine comune di arrivare alla ‘soluzione ideale globale’, che non è necessariamente quella migliore per una sola delle componenti, ma il risultato del migliore compromesso tra le varie possibili soluzioni di ciascun contributo.
Il successo di questo metodo attinge forza dal potente principio della ‘condivisione del sapere e dell’esperienza collettiva’ che va ben oltre le conoscenze dei singoli membri del team. Inoltre, il team che lavora in modo multi-disciplinare è anche il più adatto ad esplorare le ‘zone grigie’. Queste sono le zone di confine tra le varie discipline come le aree di transizione tra l’architettura e l’ingegneria strutturale e tra queste due e gli input impiantistici e specialistici. Queste sono spesso aree di conflitto tra le varie discipline progettuali, nonostante il fatto che spesso è in queste ‘terre di nessuno’ che si fanno le scoperte più interessanti che a volte caratterizzano un progetto contribuendo al suo successo e ‘performance’ duraturi.
È importante notare che 'progettazione multi-disciplinare' non vuol dire necessariamente numerose riunioni con tante persone simultaneamente, dove si parla molto ma spesso si conclude poco. Si tratta invece di una 'attitudine mentale', di un metodo e di una filosofia che rende possibile una buona progettazione anche senza riunioni fisiche del team. Il metodo sancisce anche il principio della ‘co-authorship’, il principio cioè che il progetto è il contributo e la creazione di tutti quelli coinvolti nel suo sviluppo e non solo dell’architetto che lo propone. Tutti, infatti, possono dare un valido contributo se si preoccupano degli effetti positivi o negativi che le scelte fatte nel loro settore possono avere sul risultato totale. Infatti, se, ad esempio, in un progetto l'ingegnere, o l’architetto, non si preoccupa solo della 'sua' struttura o della ‘sua’ architettura, ma anche delle ricadute positive o negative che le sue scelte possono avere sulle altre discipline, ed infine sull’utente, allora il risultato finale sarà il miglior compromesso globale di cui si parlava prima.
Progettazione ‘post digitale’ e ingegneria creativa Le esigenze mutevoli dei nostri tempi ci spingono a ricercare paradigmi nuovi che siano più appropriati ad un nuovo mondo di ‘designer’ o ‘progettisti’. L’avvento e lo sviluppo dei sistemi digitali ha visto nell’ultimo quarto di secolo l’emergere di una cultura progettuale architettonica ed ingegneristica sostanzialmente ‘digitale’ che troppo spesso ha prodotto opere fredde o spettacolari ma spesso di dubbia qualità e scarso buon senso.
Oggi tutto sembra possibile perché la potenza liberatoria dei computer odierni contribuisce in qualche modo a de-responsabilizzare i progettisti dall’interrogarsi, tra le altre cose, se sia possibile costruire in modo appropriato, sensato e duraturo le fantasie architettoniche che le tecniche digitali incoraggiano graficamente. In questo contesto spesso l’ingegnere viene segnalato o menzionato come colui che ‘fa i calcoli’ per le architetture altrui, come se gestire calcoli, oggi fatti da potenti macchine, fosse la funzione principale dell'ingegnere creativo e per lui la massima gloria cui aspirare.
La possibile definizione dell'ingegnere come 'solutore di problemi' altrui è a dir poco menomante e certamente culturalmente degradante perché basata sul presupposto che nessun contributo 'creativo', sia in ambito progettuale che costruttivo, sia stato apportato dall'ingegnere. Questo presuppone inoltre che spesso le varie tecnologie necessarie al successo del progetto architettonico siano ‘aggiunte a posteriori’ all’architettura piuttosto che create e sviluppate insieme ad essa per esserne parte integrante.
È questo un malcostume incoraggiato anche dal sistema degli appalti italiani che tarpa le ali ai professionisti di cui si serve l'impresa. Questi, infatti, non sono mai parte della prima fase del progetto, quella creativa, e sono costretti/spinti a cimentarsi in vere acrobazie analitiche per giustificare e rendere costruibili i progetti degli altri, nati in modo non integrato e con obiettivi che spesso mirano ad un risparmio selvaggio piuttosto che al 'bello integrale' del progetto stesso.
Così facendo, e facendolo per molti anni, gli ingegneri sono tragicamente a rischio di diventare ‘gestori di numeri’, ovvero 'numerai': non più venditori di idee ma venditori di numeri al fine di giustificare vari regolamenti, senza l'apporto di idee innovatrici e senza nessun dialogo costruttivo con il team creativo iniziale.
I tempi sono forse maturi per promuovere la rinascita di una nuova ‘progettazione architettonica post-digitale’ con nuovi parametri di riferimento che rimettano di nuovo al primo posto l’uomo e le sue esigenze piuttosto che acrobazie progettuali insensate. In questo, la filosofia della progettazione integrata multi disciplinare può essere di aiuto per filtrare i lati buoni del progresso, incluso quelli informatici.
Design multi-disciplinare, creatività e visibilità È importante che i progettisti italiani delle ingegnerie si riapproprino del bello e della creativa di cui sono capaci, opponendosi a sistemi e regolamenti che li riducono a gestori di macchine calcolatrici e verificatori passivi di Norme senza l’apporto della loro creatività. È necessario che gli ingegneri Italiani si facciano promotori di una ‘nuova ingegneria creativa’ il cui contributo vada oltre la obsolescenza delle macchine, dei regolamenti e dei programmi informatici usati. Bisogna ribellarsi all’uso schiavistico delle macchine e dei regolamenti e usare in modo creativo il proprio talento delegando alle macchine i compiti lunghi e tediosi di calcoli e verifiche delle proprie intuizioni creative che sono poi quelle che effettivamente danno valore e garanzia di successo duraturo.
È necessario incentivare un nuovo rinascimento nel mondo dell’ingegneria affinché l’ingegnere diventi e resti una forza creativa all’interno del team di progettazione. Bisogna anche promuovere la visibilità del suo contributo, riconoscendone la paternità in tutti i settori e nei modi più opportuni.
L’ingegnere deve essere, per forma mentale e per formazione professionale, un progettista creativo perché ha il privilegio unico di trovarsi nella condizione ideale non solo di immaginare soluzioni nuove ed insolite, ma di saperle anche giustificare, analizzare, ottimizzarle ed allo stesso tempo sperimentarle al di là dai regolamenti.
Solo incentivando e mettendo al primo posto la creatività, l’ingegnere scongiurerà il rischio dell’oblio sociale che porterebbe ad un tragico declino questa nobile ed antica professione se incapace di attirare i giovani che inevitabilmente si indirizzerebbero verso attività con maggior stimolo intellettivo, creativo e remunerativo.
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