02-09-2016 Paola Pierotti 4 minuti

Post sisma: I progetti e i cantieri siano luogo di incontro tra persone, Pa e professionisti

Terremoto 24 agosto 2016. Commenti, idee e approcci suggeriti da due giovani architetti, Guido Incerti e Alessandro Coppola

"Serve una pubblica amministrazione capace di gestire la complessità della situazione con la dovuta attenzione alla pianificazione e alla cultura del rischio"

Alessandro Coppola

Non bastano soldi e incentivi per risolvere il problema post sisma: serve una pubblica amministrazione capace di gestire la complessità della situazione con la dovuta attenzione alla pianificazione e alla cultura del rischio. “Prima ancora di incentivi e soldi – commenta Alessandro Coppola, urbanista romano – assumete giovani qualificati di tante diverse specialità e mettergli a capo un dirigente adeguato, altrimenti soldi e incentivi saranno del tutto inutili se non addirittura dannosi. Non si tratta solo di garantire la trasparenza degli appalti, ma di garantirne l'efficacia e l'adeguatezza, cose per le quali non serve la magistratura ma beni preziosissimi e da noi molto scarsi quali il controllo sociale, la partecipazione dei cittadini, la qualità dell'azione pubblica”.

E i professionisti? “Penso che noi architetti dovremmo avere l'abilità di spogliarci di questo ruolo. Almeno in parte. Mantenendo però quella caratteristica che spesso ci contraddistingue di immaginare con gli strumenti della nostra conoscenza professionale e tecnica. Penso che un progetto per ricostruzione, l'ennesima in questi ultimi sette anni, abbia già tutto il costrutto di successi da perseguire e di sbagli da evitare per poter funzionare” commenta Guido Incerti, architetto toscano dello studio Bottega d’Architetti.

Sono i progettisti a dichiarare che “prima di progetti (e relative burocrazie) e professionisti, una ricostruzione, ha bisogno oltre che di tecnici bravi e specializzati, di uomini che abbiano tutti i sensi all'erta. È necessario comprendere – continua Incerti – che prima vanno ricostruite le persone, i loro ricordi i loro luoghi e poi da lì si potrà ricostruire fisicamente l'ambiente in un costante gioco di specchi. Io non posso dire se dovrà essere tutto “dov'era o com'era” o se com'è naturale le cose – come le persone – dovranno subire una evoluzione anche formale. Probabilmente andrà fatta una scelta caso per caso. Perchè un luogo non dipende solo dallo stile architettonico. Però vorrei che fossimo così abili da progettare – come scrive Raul Pantaleo – luoghi efficienti e non necessariamente efficaci. Vorrei che la ricostruzione cominciasse dall'osservare prima che dall'immaginare. Vorrei che si ascoltasse prima di parlare”.

"Non ci sia fretta nell'assegnare gli incarichi" hanno ribadito altri professionisti, "si ipotizzi un masterplan strategico e si scelga la via del concorso per identificare le migliori soluzioni e i migliori tecnici".

Tra politica, professionisti e media si alterna l’opposizione fra il com'era dov'era e il tutto nuovo. “Nei paesi avanzati questo falso dilemma nemmeno si pone – commenta Coppola – l'hanno infatti superato con i piani, le politiche ed i progetti – che non li fanno solo i geometri, gli ingegneri, gli architetti e le imprese – ma le comunità locali nel loro complesso. Nei piani e nei progetti si fanno scelte non manichee (la chiesa si, ricostruiamola, ma quel pessimo condominio fatto nel 1965 no, per queste ragioni…..) che sono il frutto delle preferenze collettive che l'amministrazione deve aiutare a costruirsi ed esprimersi. Anche per questo ci vogliono specialisti, ne abbiamo molti a spasso o all'estero: lo stato li assuma”. 

“Vorrei che come architetti o cos'altro – incalza Incerti – fossimo cosi abili da andare in cantiere e, anche se direttori dei lavori, potessimo almeno per un giorno a sporcarci le mani di calce e malta. Perché quello non è, e non sarà, un cantiere normale. Ma dovrà diventare il nostro cantiere. Vorrei che il cantiere dei luoghi danneggiati fosse il luogo di ricostruzione degli uomini. Che una qualche norma desse la possibilità a quell'uomo o donna che sia che ha perso la casa – e chissà cos'altro sotto le macerie – di essere parte integrale per quanto possibile della ricostruzione della sua casa”.

Dagli architetti arriva un commento anche sul rapporto fra emotività, media ed azione pubblica. “Bisogna elevare il livello della risposta collettiva alle emergenze rendendolo più consapevole e quindi utile. Insomma, se vogliamo stare nel primo mondo – commenta Coppola – dobbiamo avere un' azione pubblica da primo mondo. Che non è fatta solo di mattoni e di appalti, ma di tutto quello che viene prima, durante e dopo. Volendo ce la potremmo fare: abbiamo le risorse economiche e cognitive necessarie, solo che non riusciamo a metterle assieme”. “Vorrei che diventassimo manutentori più che costruttori. Manutentori di luoghi, spazi e persone. Vorrei – aggiunge Incerti – che per una volta il guadagno venisse messo in secondo piano. E vorrei che a volte si potesse comprendere che – dove non sarà possibile ricostruire – un rudere avrà un potere evocativo così forte da obbligarci a ricordare e non perdere la memoria. Mai più”.

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Paola Pierotti
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