“Città dell’anima e Città del dissesto”. Il Varignano raccontato da don Marcello Brunini
Tra disagi e risorse, tra degrado e ricerca di bellezza, tra insicurezza e legalità. Ecco cos’è la periferia di Viareggio
"Sapienza di periferia: io sono convinto che stare in periferia aiuta a vedere e capire meglio, a fare un’analisi più corretta della realtà, rifuggendo dal centralismo e da approcci ideologici"
"Da cinque anni vivo al Varignano, un quartiere di periferia della città di Viareggio. “Città dell’anima”, come la descrive Pietro Ghilarducci, scrittore e romanziere viareggino. Città, tuttavia, che oggi vive in una condizione di “dissesto economico-finanziario certificato”. In cinque anni il comune è stato commissariato due volte. La tensione tra “città dell’anima” e “città del dissesto” ha un riflesso tutto particolare sul Varignano". Don Marcello Brunini parroco del Varignano a Viareggio è stato uno degli ospiti più apprezzati per la sua testimonianza al seminario Città: Arte Architettura Umanesimo promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana.
PPAN ringrazia per la condivisione e pubblica il testo di don Marcello Brunini.
Uno sguardo sul quartiere. Un ragazzo di II media scriveva in un tema, già nel lontano 1970: «Il Varignano è un rione fra i più poveri di Viareggio, infatti è abitato in gran parte da operai. Le persone che vi abitano vengono disprezzate da tutti specialmente dai ricchi. Infatti quando mi domandano: “Dove abiti” io rispondo: “Al Varignano!”. Questi fanno una smorfia come dire che il Varignano è la peggio periferia di Viareggio, perché è formata da case popolari e baracche. La gente giudica troppo dall’esterno; se abitasse con noi cambierebbe opinione».
Il Varignano è ancora oggi, per molti, il quartiere popolare, problematico, “al di là della ferrovia”. È certamente un organismo complesso e faticoso ma, proprio per questo, decisamente affascinante. Un “luogo” dove ombre e luci, “città dell’anima” e “città del dissesto” si esprimono “in tensione” e si articolano in modo originale
Una prima tensione si nota nell’intreccio tra disagi e risorse. Il quartiere è un agglomerato di diversità. È cresciuto in fretta. In 50 anni, il numero degli abitanti è più che raddoppiato, passando da circa 3.500 nel 1965 a circa 9.000 nel 2015: 9.000 persone in un territorio di 1.700 metri quadrati.
Gli abitanti provengono da rioni smantellati della città e da molteplici regioni d’Italia: Sicilia, Calabria, Campania, Marche. Ultimamente, poi, si sono aggiunti gli stranieri: romeni, albanesi e nord africani.
La popolazione residente a maggioranza operaia, negli anni, ha incluso un ceto medio prima sostanzialmente assente, a seguito di insediamenti edilizi “non-popolari”.
Questa grande diversità è sicuramente fonte di difficile convivenza, eppure è un’opportunità unica per la città. Viareggio è carica di diversità. Il Varignano può diventare un laboratorio in cui le diversità possono trovare spazi di incontro e di costruzione comune.
Una seconda tensione si esprime tra dipendenza e desiderio di partecipazione. Il dissesto economico e la crisi culturale in atto, fanno crescere sfiducia e impotenza che generano dipendenza verso altri soggetti: istituzioni pubbliche, servizi sociali e sanitari, sindacato, parrocchia, associazioni di volontariato.
Dipendenza che cresce anche nei confronti di soggetti e gruppi illegali: ad esempio dipendenza da gruppi di spacciatori, ma non solo…
D’altra parte gli abitanti del quartiere manifestano un deciso desiderio di partecipazione e anche di riscatto da una condizione di disagio generale, di cui spesso però non si riesce a vedere l’uscita.
Una terza tensione si vive tra chiusura e voglia di comunità. La dipendenza, aggravata da rabbia e risentimento, spinge verso la chiusura. L’aggregazione si fa sempre più difficile, in particolare la convivenza tra i più poveri. Una volta, si credeva che i poveri fossero l’anima della partecipazione. Oggi, le famiglie povere e quelle straniere, vivono come delle monadi; è difficilissimo metterle in comunicazione ed è ancora più complesso farle incontrare con le famiglie meno in difficoltà.
Eppure, non è scomparsa la voglia di comunità; quel desiderio di lottare insieme per un futuro più umano per sé, per la propria famiglia, per la città tutta. Una voglia di partecipazione democratica che è prerogativa della storia del Varignano, che in passato ha lottato per i diritti più elementari.
Una quarta tensione si manifesta tra povertà e voglia di riscatto. La crisi, accrescendo la povertà delle famiglie, ha accelerato la caduta della dignità.
Ma anche in questo caso, si incontra nel quartiere la dignità dei poveri. Anziani che riaccolgono in casa figli e nipoti all’indomani di rotture famigliari. Ragazzi che sanno continuare a condividere amicizie anche quando vengono insultati da compagni che si credono principi e padroni. Famiglie che continuano a scegliere per i loro figli le scuole del quartiere, consapevoli del valore del condividere la diversità anche quando questa si fa pesante. La dignità di tanti operai e operaie che si arrangiano operando come possono nel presente senza perdere la speranza di tempi migliori.
Una quinta tensione si muove tra crescita della insicurezza e desiderio di legalità. In questi anni abbiamo assistito a una crescita dell’illegalità nel quartiere. Spaccio di droga. Aumento della piccola criminalità: furti in abitazione, nei negozi, in parrocchia (5 volte), nelle scuole, nelle sedi delle Associazioni del quartiere, aggressioni notturne alle auto in sosta, furti di rame e di motorini.
Abbiamo assistito anche ad atti “fuori categoria”:
una gambizzazione dinanzi alla Chiesa alle quattro del pomeriggio nell’ottobre del 2011.
una rapina con incendio presso il circolo degli anziani del quartiere.
l’uccisione di un giovane di 34 anni “Manuele” – nella darsena viareggina – ad opera di un gruppo di minorenni del quartiere nella notte di Halloween il 31 ottobre 2014.
coltivazione in grande stile di marijuana.
Tutto questo crea disagio e tensione. Al tempo stesso ci sollecita a continuare a vivere nel quartiere; certamente più disillusi, ma con la voglia di denunciare, di richiamare le istituzioni, come pure di rimboccarsi le maniche e “fare” da soli.
C’è un ultimo aspetto da evidenziare: la tensione tra degrado e ricerca di bellezza. Il quartiere ha una estrema necessità di “bellezza”. Viareggio tutta ha necessità di recuperare la sua antica e perduta bellezza.
Nel quartiere ci sono zone di degrado che non si riesce a portare a un minimo di decenza. Spesso sento dire: «Ma al Varignano è sempre stato così». Se questo atteggiamento non cambia è difficile rendere il quartiere più “bello”.
In questo quadro, la costruzione del nuovo edificio parrocchiale – nel quale la comunità è impegnata, inserita nel progetto “percorsi diocesani” della CEI – può essere di stimolo a riqualificare una parte rilevante del quartiere. Riqualificazione che, se portata avanti dalle istituzioni, darebbe alla città uno spazio decisamente affascinante. Il Varignano diverrebbe il crocevia, sul canale Burlamacca, tra il mare e il lago di Massaciuccoli. Il nuovo edificio parrocchiale si troverebbe in questo snodo: cerniera, quasi una “porta” tra il Canale e il resto del quartiere.
Uno sguardo sulla parrocchia E la parrocchia? La parrocchia è stata eretta a Curateria autonoma nel 1969 e costituita in “Parrocchia della Resurrezione di nostro Signore” nel 1975. La parrocchia, pur essendo “giovane” e “minoranza”, intende essere presente nelle tensioni del quartiere sia nel favorire spiragli di Vangelo e speranza di futuro, sia nel percorso e nelle scelte del nuovo complesso parrocchiale.
La presenza della comunità cristiana nel quartiere La comunità intende essere nel quartiere, anzitutto, con l’Eucaristia domenicale. La partecipazione alla celebrazione domenicale si aggira intorno al 6-7% della popolazione. L’assemblea è costituita prevalentemente da persone “mature”. Nonostante ciò, le celebrazioni domenicali stanno diventando un momento significativo di preghiera comune, di incontro amicale, di sguardo trasfigurato sulla città (cf. Laudato Si’ 236-237).
Intende esserci con le proposte di Catechesi. I ragazzi iscritti al cammino catechistico – che va dalla III Elementare alla III Media – sono circa 130. Il gruppo dei catechisti è appena sufficiente. I genitori, pur inviando volentieri i loro figli alla catechesi, non partecipano, se non rarissimamente, alla Messa domenicale e agli incontri a loro dedicati. C’era anche un gruppetto di giovani, ma ora un po’ defilati. In ogni caso, la comunità continua ad offrire a tutti la sua esperienza di fede incarnata nelle tensioni del quotidiano.
Intende esserci rimanendo in ascolto del Vangelo. Nei tempi forti dell’anno liturgico, la comunità è invitata a ritrovarsi a meditare sulla parola di Dio e a confrontarla con la vita quotidiana.
Intende esserci con il Centro di ascolto Caritas. Questo è in contatto con una 60.na di famiglie (in maggioranza italiane) in difficoltà relazionale ed economica. I volontari ascoltano le loro necessità e tentano insieme di trovare piccole soluzioni possibili. Vengono consegnati viveri, vestiario usato, “Voucher di solidarietà” per piccoli lavori saltuari.
La comunità intende abitare le tensioni del quartiere partecipando attivamente al “Tavolo di partecipazione”. All’indomani di un incontro, avvenuto nella Chiesa parrocchiale, tra il Sindaco e la popolazione, nell’ottobre del 2010, in cui, con grande dignità, circa 400 persone hanno raccontato i loro disagi e le loro richieste, abbiamo dato vita al “Tavolo di partecipazione”,riconosciuto con delibera comunale e coordinato dal parroco.
Il Tavolo raduna la Scuola, le Associazioni operanti nel quartiere e singoli cittadini. Questa esperienza scandisce più un metodo che concrete realizzazioni. È difficile tenere insieme le diverse associazioni. Eppure, il Tavolo è stato, ed è tuttora, una occasione di stimolo e di confronto per ripensare il quartiere, per trovare ambiti di impegno comune e coordinato, per inventare modalità più raffinate ed efficaci nel rapporto con le istituzioni pubbliche.
Gli ambiti di impegno sono stati e sono i seguenti:
Iniziative educative rivolte in particolare ai ragazzi. Recupero scolastico, doposcuola, progetti con la Capitaneria di Porto.
Iniziative per la legalità. Notte bianca per la legalità. Marcia silenziosa all’indomani della gambizzazione. Incontri con il Prefetto di Lucca, per avvicinare le istituzioni e le forse dell’ordine alla gente del quartiere. Iniziative nella scuola. Lettera aperta alla città di Viareggio nel Natale del 2014.
Iniziative di partecipazione intorno al Regolamento Urbanistico per tentare di «seminare bellezza» (cf. Laudato Si’ 246).
Iniziative di carattere ricreativo. Festa di primavera, carnevale, “i martedì d’estate” sul piazzale della Chiesa, cene conviviali aperte a tutti per favorire l’incontro con le famiglie marginali e gli stranieri residenti.
Iniziative lavorative per i giovani.L’Istituto comprensivo, che raccoglie scuole materne/elementari/medie, ha circa 850 alunni. I giovani usciti dalle Medie inferiori iniziano il cammino scolastico, ma “molti” si perdono per strada e diventano “invisibili”, per lo stesso quartiere. La disoccupazione giovanile incrementa questa “invisibilità”. Con il contributo della Caritas diocesana e della Fondazione Banca del Monte di Lucca abbiamo promosso una decina di tirocini lavorativi per giovani tra 18/30 anni collegandoci ad un progetto regionale chiamato “GiovaniSì”. Goccia d’acqua in una città dove le politiche giovanili sono inesistenti.
In definitiva, la parrocchia del Varignano vorrebbe coltivare quello che sollecita papa Francesco: «essere contemplativi della Parola e contemplativi del popolo» (cf. Evangelii gaudium 154).
La costruzione del nuovo complesso parrocchiale In questo composito orizzonte si colloca la costruzione del Nuovo Complesso Parrocchiale. La parrocchia è stata inserita nel progetto “percorsi diocesani” della CEI, insieme al altre due parrocchie delle diocesi di Forlì e Monreale.
La comunità ha chiesto ai progettisti di impegnarsi in quattro sfide, concretizzate in quattro parole: memoria – sobrietà – futuro – bellezza.
Memoria. La parrocchia del Varignano – come già sottolineato – è una comunità giovane, ma ricca di memoria. Si è mescolata con la sua gente per sentire vivo il gusto di essere popolo, la forza debole del vangelo accanto ai poveri, la lotta comune per una cittadinanza attiva. Questo impegno ha trovato forma anche in un luogo: una “stalla” è diventata la Chiesa della comunità; una “casa minima”, con precarie fondamenta, l’abitazione dei preti e il luogo di incontro che ha trasformato l’esistenza di molti. Dal 1985 si riunisce nell’attuale edificio, diverso dalle altre chiese della città. Un capannone quadrato prefabbricato, decadente all’esterno, ma con una sua logica all’interno: collocazione di spazi che permettono una interazione reale tra celebrante e assemblea. Tutti questi ambienti hanno costituito la “casa della comunità”: una casa con “un’anima”. Questa memoria non va assolutamente perduta. Va rinnovata e rivalutata anche nella dinamica architettonica.
Sobrietà. La comunità del Varignano è povera, precaria. Questa sua collocazione è sicuramente un privilegio secondo il Vangelo: «beati i poveri». Ma è anche una grande fatica e una continua tentazione di cercare altre comunità di appartenenza. Lo stile della nuova Chiesa deve valorizzare questo tratto evangelico: una costruzione sobria, ecosostenibile, con contenuti costi di manutenzione e di gestione. Un luogo-simbolo capace di raccogliere la voce di tutti, dai più piccoli fino agli anziani; dove ognuno possa valorizzare la propria condizione.
Futuro. Comprendere un quartiere o una città non è cosa agevole. Alla “città visibile”, fa sempre da contrappeso la “città invisibile”, per dirla con Calvino. Quartieri e città sono organismi complessi che molto spesso si organizzano in modo “altro” rispetto alla funzionalità di chi li ha costruiti e di chi li amministra. Questa complessità è acuita, oggi più che mai, dalle nuove generazioni e da coloro che in futuro abiteranno il nostro quartiere e la nostra città; coloro che oggi non hanno interesse a dire, o coloro che non possono ancora dire, perché verranno poi. Il nuovo complesso parrocchiale dovrebbe tentare, per quanto possibile, di essere aperto anche a questa “invisibilità” del quartiere; dovrebbe provare a sporgersi anche sul “non detto”, che il futuro trattiene.
Bellezza. La comunità della Resurrezione vorrebbe offrire al quartiere e alla città un pizzico di bellezza, consapevole che il “bello” è un tratto essenziale della fede cristiana. Bellezza, tuttavia, che trattiene sempre un paradosso: il Cristo è il più bello tra i figli dell’uomo ma, al tempo stesso, è il Crocifisso. In lui è possibile scoprire la «bellezza crocifissa», l’amore di Dio che si è definitivamente donato e rivelato a noi nel suo mistero di morte e di resurrezione.
La bellezza trasforma immediatamente una chiesa in una “soglia”. Può immergere nella vita di un popolo e può aprire verso “l’oltre” e verso “l’altro” – per i cristiani – il Dio Trinità, sorgente della bellezza.
Per accogliere questa paradossale via pulchritudinis, che ha pure un tratto decisamente antropologico, è necessario attraversare un triplice movimento.
“Attrazione”. Guardando il bello rimaniamo spesso senza difese, senza memoria, senza identità. Quando, presi dal bello, esclamiamo: oh! Lo stupore ci assale e ci getta nella bellezza. Quando siamo avvolti dallo stupore di una persona, di un tramonto, di un edificio, un “pezzo” dell’altro entra a far parte della nostra identità. L’attrazione della bellezza svela la nostra identità più profonda: ciascuno di noi non è un sé chiuso, ma un io più l’altro, una comunione.
“Diminuzione”. Attratti dalla bellezza, siamo invitati a “diminuire”. Diminuzione non come tratto disumanizzante, ma come disponibilità all’altro, come apertura a ciò che è “diverso”, “fuori” da me. La “diminuzione”, operata dalla bellezza, mi «disloca», mi strappa dalle presunzioni del “mio io”, allarga lo spazio del cuore e mi fa «trafiggere» dall’altro. I mistici parlano della “ferita dell’amore”. La vulnerabilità diventa l’apertura e la disponibilità alla segreta bellezza dell’altro, del cosmo, di Dio, della Chiesa.
“Danza”. Attratti e diminuiti siamo nella condizione di “danzare” nella reciprocità e nella circolarità che la “bellezza crocifissa” instaura, evoca e offre. Ognuno di noi è fatto per la danza; è costituito non per se stesso, ma è formato dal dono dell’altro a me e dall’offerta di me all’altro. La danza dà ritmo alla diversità, dà armonia alla complessità, dà movimento al silenzio del cuore.
Papa Francesco raccoglie queste prospettive in modo ineffabile: «La via di Dio è l’incanto che attrae. Dio si fa portare a casa. Egli risveglia nell’uomo il desiderio di custodirlo nella propria vita, nella propria casa, nel proprio cuore. Egli risveglia in noi il desiderio di chiamare i vicini per far conoscere la sua bellezza. La missione nasce proprio da questo fascino divino, da questo stupore dell’incontro».[1]
Se il nuovo complesso parrocchiale favorisse un po’ di questa bellezza, diverrebbe una “porta aperta” sulla profondità del cuore, sulla fatica del quotidiano, sulla presenza di un Dio che sempre si mostra come “bellezza crocifissa”.
Una considerazione conclusiva Il termine Varignano significa “luogo di approdo e di passaggio”. In passato, il nostro quartiere è stato davvero un “piccolo porticciolo di approdo e di passaggio” per barche che trasportavano merci dal mare verso i porti alla base della collina attraverso il lago di Massaciuccoli e viceversa.
Varignano è una specie di “porta”.
Mi sia permessa una divagazione biblica.
Nella Sacra Scrittura, le porte sono importanti perché custodiscono la città. Ma, al tempo stesso, sono un luogo di incontro e di scambi.
Presso le porte venivano organizzati gli scambi commerciali, al punto che queste prendevano il nome di beni di consumo: la porta della pecore; la porta dei pesci, la porta dei cavalli (Neemia 3,1.3.28).
La porta era pure lo spazio delle attività amministrative. «Sedere presso la porta», significava essere una persona importante e avere voce sulla politica della città (cf. Genesi 19,1; 2Samuele 18,24;19,9; Proverbi 31).
La porta, infine, era la sede del tribunale (cf. Deuteronomio 21,19; 22,15; 25,7). Già Mosè giudicava «sulla porta dell’accampamento» (Esodo 32,26). La giustizia amministrata sul “liminare” garantiva alla città di non implodere su se stessa, ma di aprirsi al controllo della comunità.
Non è un caso che i profeti e l’Apocalisse descrivano la città futura, dotata di 12 porte, tre per lato, una per tribù; porte sempre aperte.
Per i credenti è fondamentale ricordare la lode del Salmo: «Il Signore ama le porte di Sion più di tutte le dimore di Giacobbe» (Salmo 87,2).
La periferia è, di fatto, la “porta di accesso” al centro della città. Lo stile di una città è immediatamente trasparente dal modo con cui la periferia viene curata o abbandonata.
La periferia come “porta”, il Varignano come “porto di passaggio”, con le loro tensioni, trattengono delle “opportunità” per l’intera comunità cittadina. Certo, per coglierle è necessaria una particolare sapienza. Papa Francesco la propone con due caratteristiche.
Anzitutto, una “sapienza di periferia”: «Io sono convinto che i grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia. È una questione ermeneutica. Stare in periferia aiuta a vedere e capire meglio, a fare un’analisi più corretta della realtà, rifuggendo dal centralismo e da approcci ideologici».
Una “sapienza relazionale” che sappia promuovere una «ecologia integrale»: «È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura» (Laudato Si’ 139).
E allora? Allora, “buon Varignano” anche a tutti voi. Grazie.
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