
Con il patrimonio immobiliare pubblico non si fa cassa. Task force con i privati per creare valore
REbuild 2014 / Dal Bosco (Ifel/Anci): "Innovare prendendo coscienza che le Pa possono anche non essere proprietarie dei beni che utilizzano"
“Dobbiamo uscire dalla logica di far cassa a tutti i costi dal patrimonio pubblico. Dobbiamo creare valore economico e sociale con progetti sviluppati in partnership con i privati. Con le risorse a disposizione, servono regole chiare e controllo da parte del pubblico e dai privati idee, gestione e progetti"
La rigenerazione del patrimonio immobiliare pubblico è centrale nel programma di REbuild 2014 che si rifà a due filoni principali: “best practice, la riqualificazione che funziona” e “scaling up, la riqualificazione a grande scala” e tre quarti degli incontri riguardano la rigenerazione del patrimonio immobiliare pubblico. "Il tema è di grande attualità, basta vedere gli operatori pubblici che si sono affacciati sul mercato con interessanti possibilità: Invimit sgr ha pubblicato recentemente un vademecum con 1,4 miliardi di investimenti e l’Agenzia del Demanio – dice Michele Lorusso, direttore Fondazione Patrimonio Comune / Anci – ha cambiato da poco il suo direttore scegliendo un ex sindaco, un tecnico che viene dal mondo pubblico (Roberto Reggi, ndr). Le aspettative del Governo sono alte".
A REbuild sono stati presentati due laboratori italiani: quello bolognese di Acer e quello torinese con l’Agenzia Territoriale per la Casa. “Dobbiamo uscire dalla logica di far cassa a tutti i costi dal patrimonio pubblico – ha sintetizzato Lorusso -. Dobbiamo creare valore economico e sociale con progetti sviluppati in partnership con i privati. Con le risorse a disposizione, servono regole chiare e controllo da parte del pubblico e dai privati idee, gestione e progetti".
“Bisogna trovare le ragioni di sostenibilità economica di qualsiasi investimento – ha dichiarato Tommaso Dal Bosco, Capo dipartimento sviluppo urbano e territoriale IFEL Istituto per la Finanza e l'Economia Locale – e questo tema ha trovato impreparate le imprese, le amministrazioni, il mondo del credito e della finanza, che erano tutti abituati ad operazioni più semplici”.
Il mondo dei Comuni ha fatto il suo passo avanti. “Siamo stati abituati a soddisfare i bisogni di infrastruttura chiedendo i soldi allo Stato, alimentandone la funzione distributiva – continua Dal Bosco -. Ora bisogna inventarsi un nuovo sistema a partire dalla presa di coscienza che gli enti pubblici possono anche non essere proprietari dei beni che utilizzano, separando quindi le funzioni di programmazione e di gestione”.
L’innovazione da parte delle Pa, delle imprese che devono investire in un nuovo modo di fare edilizia e di chi per professione gestisce immobili si fa solo dopo un importante salto culturale. “C’è bisogno di visione per portare avanti i progetti con tutte le difficoltà tecniche e amministrative” ha aggiunto Lorusso.
Le opportunità ci sono ma il nostro è un paese con il freno a mano tirato. “I due miliardi di mq da riqualificare generano un potenziale di 500 miliardi nel settore dell’edilizia – ha spiegato Marco Marcatili, analista economico di Nomisma. Ma il mercato non decolla per criticità legate alla domanda, all’offerta, alla finanza e al rischio”. I fattori di “in-sostenibilità” sono dovuti ad esempio al fatto che “troppo spesso – aggiunge Marcatili – il pubblico ha ragionato sul fatto che il patrimonio sia un costo e non una risorsa; o ancora, guardando al mondo delle Esco si valuta che per un intervento di efficientamento dell’importo da 2 milioni di euro solo il 15% delle aziende italiane abbia i requisiti idonei per partecipare alle gare (in termini di fatturato)”.

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