Cino Zucchi a Venezia: 85 architetture che disegnano l’Italia degli Innesti
Il curatore del Padiglione italiano anticipa i dettagli e spiega le scelte: "Non mi interessano gli autori ma i progetti"
“L'architettura italiana contemporanea è di ottimo livello, adeguato o superiore a quello di altre realtà europee. In un momento di forte crisi immobiliare si osserva una meravigliosa cultura architettonica italiana; passati gli anni peggiori - gli anni ’80 hanno devastato l’Italia -, penso ci siano contenuti e forme all’altezza delle capacità interpretative e della qualità del migliore moderno italiano”
Ultimi ritocchi al Padiglione Italiano della 14 Mostra di Architettura della Biennale di Venezia. Cino Zucchi ha corso contro il tempo per mettere in piedi un progetto in meno di sei mesi, per definirne i contenuti, organizzare la squadra, “montare un film – come racconta il curatore – supportato da un importante lavoro analitico, ma il cui carattere si vede solo alla fine. Il padiglione è un insieme di tanti episodi legati insieme da un tema forte, quello espresso dal titolo "Innesti". In questo momento vedo nel giardino delle Vergini gli operai che mangiano un panino seduti sulla grande panca di metallo da noi disegnata – racconta Zucchi camminando nel cantiere dell'Arsenale – . Il padiglione ha un’anima urbana e una ambientale; il grande portale di ingresso parla di architettura, ma la panca- scultura del giardino genera un spazio di necessaria decompressione al termine del lungo percorso delle Corderie”.
Il titolo della mostra curata da Zucchi è Innesti/Grafting. “E’ una chiave di lettura – sottolinea l’architetto milanese – che ho scelto per sviluppare il tema suggerito da Rem Koolhaas ai padiglioni nazionali, Absorbing Modernity 1914/2014”. Un invito ad approfondire i processi che hanno portato all’attuale carattere omogeneo e atopico dell’architettura globale, individuando resistenze e caratteristiche peculiari che la modernizzazione ha preso nel confronto con le vere o presunte ‘identità nazionali’. “L’Italia conta grandi architetti e ingegneri che hanno perseguito innovazione e modernità, e ha saputo fare suo il tema della complessità e della stratificazione. Se il modernismo nordico si è concentrato sul programma funzionale dell’edifico, l’Italia – spiega Cino Zucchi – ha fatto un percorso alterativo: le parole di Gio Ponti di “Amate l’architettura” esprimono la fiducia nella nuova era in maniera diversa da quelle di un Hans Schmidt o di un Hannes Meyer. Non parlo di “adeguamento al contesto”, che spesso è una strategia commerciale, ma di una capacità di includerlo e trasfigurarlo in un atto di trasformazione. Per Cino Zucchi l’innesto è un atto violento: “esso unisce tuttavia trasformazione e riorganizzazione dell’esistente, e si prende la responsabilità del suo atto”.
Cino Zucchi propone all’interno del suo padiglione un racconto della nostra migliore architettura: ha scelto 85 studi da Nord a Sud “ma sia chiaro – commenta il curatore – non mi interessano gli autori ma i progetti. Attraverso queste architetture ho voluto ricreare un paesaggio. In mostra si vedrà una sola fotografia per ciascuna opera, nessun disegno né didascalia. La Biennale deve comunicare in forma sintetica, quasi da installazione ”. Tra gli 85 ci sono studi emergenti e altri più noti. Ci sono quasi tutti: manca Fuksas ma “non per scelta nostra – spiega Zucchi -; gli avevamo chiesto allo studio il progetto di Mainz e non ce l’ha inviato. Ci sono molte opere italiane, ma anche progettisti italiani che lavorano all’estero come Ebv Barozzi Veiga; o altri ancora che hanno costruito oltre confine, come Piuarch con il progetto di San Pietroburgo o Renato Rizzi con il teatro a Danzica”. Ancora prima della vernice c’è già chi punta il dito contro la scelta degli 85, ma Zucchi non si scompone “la Biennale non è la fiera della vanità: il pettegolezzo mi lascia indifferente, ho scelto le opere e non gli architetti. E’ stato come curare un numero di una rivista, un numero monografico dedicato al tema degli Innesti”.
Dopo questa esperienza, come curatore del padiglione, Zucchi ha arricchito il proprio bagaglio personale e ha acquisito un privilegiato punto di vista sullo stato di salute dell’architettura italiana. “E’ di ottimo livello, adeguato o superiore a quello di altre realtà europee – dice Zucchi -. In un momento di forte crisi immobiliare si osserva una meravigliosa cultura architettonica italiana; passati gli anni peggiori – gli anni ’80 hanno devastato l’Italia -, penso ci siano contenuti e forme all’altezza delle capacità interpretative e della qualità del migliore moderno italiano”. Tra i protagonisti ci sono opere di Vittorio Gregotti, di Albori, di Elastico, di Modus architects, di ETB, di Studio Errante, di Massimo Carmassi, di Kuehn Malvezzi e di Mdu architetti, solo per citarne alcuni. E il curatore sottolinea ancora “Non mi interessa la chiave generazionale, né l’appartenenza o meno all’Accademia o a gruppi professionali. Io e Nina Bassoli – che mi ha aiutato nella ricerca e nella scelta finale – abbiamo probabilmente deluso o addolorato molte persone – tra di loro molti cari amici di cui non ho inserito alcun progetto – proprio per un certo rigore tematico; un film sui castori non è né sulle seppie né sulle gazzelle; il prossimo curatore potrà fare scelte diverse intorno al tema da lui scelto”.
Il Padiglione italiano si aprirà con un’introduzione sull’ultimo secolo in Italia, ma ha dedicato particolare attenzione al laboratorio Milano “dove c’è stata un interessante dialettica tra modernità ed esistente. Milano – racconta Zucchi – è stata pesantemente bombardata nel ’43, e gli edifici moderni si sono inseriti sulle distruzioni contribuendo a consolidare la morfologia esistente e nel contempo a ricercare le qualità del vivere moderno con una strategia che oggi tutta Europa ci invidia”. Per raccontare Milano ci sarà un modello molto dettagliato con una proiezione video di Studio Azzurro che delinea la città romana, quella medievale, quella moderna e quella attuale. “Anche qui – dice Zucchi – l’intenzione non è didattica ma piuttosto interpretativa. Alla Biennale non si può né si deve fare un museo sulla storia di Milano; ci siamo piuttosto concentrati sul creare eventi: l’allestimento mette in scena un tema piuttosto che spiegarlo con troppe parole”. Milano è anche il luogo che ospita Expo 2015 e il padiglione di Zucchi dedica spazio alla grande trasformazione territoriale in corso nel capoluogo lombardo, con un’attenzione al post-evento attraverso alcune prefigurazioni concettuali richieste ad hoc a cinque giovani studi.
Prima di terminare la visita, e arrivare nel giardino dell’ex convento delle Vergini, su un grande tavolo-distributore ci saranno diciotto cartoline dal mondo che rappresentano altrettante letture della modernità italiana da parte di importanti architetti internazionali che hanno in qualche modo intersecato la cultura del nostro paese nel loro lavoro e nella loro riflessione teorica. Tra loro ci sono Steven Holl, Peter Wilson, le Grafton Architects, Juan Navarro Baldeweg e Dominique Perrault.
Appuntamento per venerdì 6 giugno, ore 17 per l’inaugurazione ufficiale del Padiglione italiano.
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