30-03-2022 Paola Pierotti 8 minuti

Spazi ibridi socioculturali e servizi per il quartiere, come si fa una città di prossimità

Co-design e politiche pubbliche per un’urbanistica contemporanea. Ne parla Isabella Inti, Temporiuso

Le aree ibride socioculturali offrono un crossover di nuovi contenuti, aprono ad una pluralità di popolazioni ed usi, propongono nuovi format culturali e momenti di aggregazione, tentano di coniugare innovazione ed inclusione sociale.

Se si confrontano le mappe di città come Milano, Berlino, Amsterdam o di altre, che tipo spazi ibridi socioculturali sono nati negli ultimi anni? Quali servizi per il quartiere? Su cosa si concentra il dibattito pubblico? Quali forme di co-design sono state attivate per un welfare solidale? E ancora, come viene misurato l’impatto socioculturale di questi luoghi, anche temporanei? Quali sono gli indicatori di impatto? Domande aperte che troveranno risposte nell’evento in programma a Milano dal 7 al 10 aprile nell’ambito di workshop e seminari, incontri pubblici e passeggiate. «Durante i giorni di workshop – racconta Isabella Inti, fondatrice di Temporiuso e anima dell’evento – oltre 50 realtà con gestori di spazi, associazioni, imprese creative, architetti e studenti si confronteranno su due principali temi di lavoro, quello degli spazi ibridi socioculturali e dei servizi di quartiere con Antonella Bruzzese (DAStU Politecnico di Milano) e quello degli indicatori di impatto socioculturale con Roberto Arnaudo (Rete case del quartiere Torino)».

Isabella Inti. Ph. ©Filippo RomanoIsabella Inti, facciamo un passo indietro. Come si fa Urbanistica oggi o meglio quale pianificazione urbanistica è possibile nella contemporaneità?

Oggi è quanto mai necessario adottare strumenti territoriali di pianificazione aperta, dei living-lab. Dall’indagine sul campo, all’identificazione di una vision, alla messa a punto di un palinsesto con le linee guida per la trasformazione. E poi ancora, con l’avvio del processo, serve mantenere attivi diversi momenti di dibattito pubblico con workshop, consultazioni e interazione con la cittadinanza e le istituzioni, sia nelle fasi di indagine locale, fino alle prime ipotesi di intervento. Successivamente bisogna attivare dei progetti pilota d’uso temporaneo o di urbanistica tattica, per sperimentare nuove vocazioni, economie e comunità di cura e nel tempo sedimentare usi, pratiche, valori, memorie e risignificazioni di un territorio e paesaggio evolutivo.

Si parla di co-design di politiche pubbliche e nascono nuovi mestieri. Cosa fa il vostro Temporiuso? 

Temporiuso gioca un ruolo nelle diverse fasi di progetto, per l’ascolto e il social engagement, l’advocacy planning e il placemaking con privati e istituzioni, ma anche per la progettazione e la realizzazione partecipata di spazi ad uso temporaneo per sperimentare nuove vocazioni.

Oggi più che mai bisogna accompagnare i processi di trasformazione, di rigenerazione urbana e territoriale e in questo solco abbiamo avviato al Politecnico di Milano un corso post-laurea dedicato al “Riuso temporaneo. Strumenti e strategie per il riuso di spazi in abbandono”: le nuove figure professionali sono quelle di “agente di riuso”, “attivatore e gestore di riuso”, “situazionista e cooperante del riuso”, “tecnico comunale del riuso”. A breve vorremmo riorientare il corso verso il ruolo degli usi temporanei, teso al co-design di politiche pubbliche e con progetti per grandi aree di trasformazione, pensando alla ricostruzione temporanea post terremoto, all’attivazione di programmi socioculturali di animazione territoriale e dello spazio pubblico.

Locandina del workshop “Città aperte e spazi ibridi socioculturali. Luoghi del welfare di comunità per la città e i territori di prossimità”.

Dal 7 al 10 aprile Milano ospiterà un evento con workshop, seminari internazionali e passeggiate pubbliche sul tema “Città aperte e spazi ibridi socioculturali. Luoghi del welfare di comunità per la città e i territori di prossimità”. Ma cosa intendiamo per spazi ibridi e socioculturali?

In molte città europee sono nati negli ultimi anni diversi spazi e modi per produrre welfare generativo, fare cultura e partecipare al rinnovamento di un patrimonio culturale materiale ed immateriale della città in continua trasformazione. A Milano, in particolare, nell’ultimo decennio hanno aperto spazi ibridi socioculturali che hanno saputo rigenerare e attivare ex immobili industriali, cascine, asili, chiese, cinema, teatri, uffici, mercati, portinerie, ma anche nuove architetture che hanno catalizzato nuovi format e tentano di combinare funzioni come casa delle associazioni e ciclofficine, fab-lab e spazi mostre, co-working e ostelli, cinema e bar, libr-osterie, giardini-bistrò.

Le aree ibride socioculturali offrono un crossover di nuovi contenuti, aprono ad una pluralità di popolazioni ed usi, propongono nuovi format culturali e momenti di aggregazione, tentano di coniugare innovazione ed inclusione sociale.

Alcuni esempi?

Base Milano nel quartiere Tortona, Stecca3 al quartiere Isola, Mare culturale urbano nel quartiere San Siro sono esempi di spazi in grado di rispondere in modo flessibile e adattivo all’esigenza di ognuno di costruire il proprio palinsesto quotidiano, che può essere organizzato secondo tempi e modi dinamici, facendo attenzione all’inclusione, sono luoghi accessibili per lavorare e abitare, incontrarsi e divertirsi con diverse modalità di offerta: gratuitamente, a consumo, a contratto.

A scala internazionale un progetto che fa scuola?

Penso a Martijn Braamhaar, direttore di Bureau Broedplaatsen del Comune di Amsterdam, che sarà ospite dell’evento il 7 aprile alle 9.30 presso Stecca3. Si tratta di uno sportello comunale che gestisce la mappatura on-line di aree in abbandono di proprietà comunale, che sono assegnati a imprenditori socioculturali, artisti, associazioni ed enti. Incubatori della creatività, spazi ibridi fruibili con progetti di riuso temporaneo di circa cinque anni, rinnovabili.

Ci sono storie top down e altre bottom up. A Berlino c’è un collettivo premiato anche alla Biennale di Venezia.

Durante i quattro giorni di workshop, ma in particolare l’8 aprile ore 18 presso Casa degli Artisti abbiamo invitato i tedeschi Markus Bader e Nina Peters/raumlaborberlin. Il collettivo di Berlino raumlaborberlin è stato premiato dalla Biennale di Venezia con il Leone d’oro per la miglior partecipazione alla 17ma Mostra internazionale di architettura “How will live together”, e con loro abbiamo lavorato i mesi scorsi per confrontare la geografia di spazi ibridi socioculturali berlinesi. Molti spazi sono nati a Berlino con processi bottom-up, da movimenti di rivendicazione di spazi ed edifici in abbandono che hanno saputo rigenerare ed innescare nuovi programmi ed economie locali e che spesso si coniugano in una nuova economia di welfare solidale nelle aree, a grandi progetti di trasformazione top-down. Raumlaborberlin lavorano in sinergia con l’assessorato all’Urbanistica di Berlino, accompagnando diversi progetti-processi come urban practice. Con la dicitura “Instances of Urban practice” si fa riferimento allo spostamento di sguardo ed approccio, dall’obiettivo dell’oggetto finito, al processo qualificato di architettura e coinvolgimento della società civile.

Che ruolo possono avere i privati e come il real estate potrebbe giocare la sua partita (magari insistendo sulla S degli Esg)?

È possibile coniugare processi e progetti bottom-up e top-down. A Milano, come a Berlino e ad Amsterdam è possibile un’urbanistica e pianificazione aperta, per progetti e servizi collaborativi. L’apertura dei processi incoraggia la cittadinanza e le realtà locali a sentirsi proattivi nella cura di spazi, nel proporre programmi di animazione, nel rivendicare un’identità e produzione collettiva di saperi. Il real estate in parte ha già avviato una nuova fase culturale, di non consumo di suolo e rigenerazione urbana. Resta da fare il passo successivo: dare spazio alle comunità di cura e ai municipi locali, sostenendo la progettualità di abitanti, associazioni, artisti, imprese creative che possono co-gestire e co-programmare l’uso dello spazio pubblico e di quelli ibridi socioculturali, come hub di un nuovo welfare cittadino. Un esempio è il progetto LOC Loreto open community che accogliendo gli SDGs (Sustainable Development Goals) dell’Agenda 2030 e in particolare SDG11-Sustainable cities and communites, prevede un hub di comunità negli uffici gestionali della futura piazza, capace di accogliere le proposte delle comunità locali.

La sfida è costruire una cassetta di attrezzi. Si parte da Milano, ma per l’Italia?

Saper riconoscere e attivare anche nuove aree ibride permetterà di adottare nuovi strumenti di pianificazione aperta, una “cassetta di attrezzi” per promuovere spazi adattabili, flessibili e inclusivi parte di processi di trasformazione di parti di città e territori. Occorre costruire città più incomplete, con spazi non sovradeterminati nelle loro funzioni, “ambigui”, flessibili, porosi. Se una città diventa più aperta sarà in grado di accogliere adattamenti, incoraggerà usi dello spazio pubblico dissonanti. Il compito del planner radicale, ma anche dell’amministratore pubblico e degli imprenditori socioculturali è dunque quello di promuovere la dissonanza e gli spazi ibridi possono dar casa all’imprevisto, al fuori programma, all’uso meticcio di diverse popolazioni.

Il Pnrr offre una cornice in linea con questi scenari? 

Questo approccio ben si coniuga con diversi obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, quelli della digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura con la semplificazione normativa della PA, come pure l’obiettivo dell’inclusione e coesione sociale. In particolare, facilitando la partecipazione al mercato del lavoro, anche attraverso la formazione, rafforzando le politiche attive del lavoro e dell’imprenditorialità femminile. O ancora gli interventi di rigenerazione urbana per le periferie delle città metropolitane.

Cosa serve per passare dalla letteratura alla pratica in modo diffuso? 

Una rete informale di realtà culturali milanesi, di spazi ibridi socioculturali (oltre 26), ha sentito la necessità di ritrovarsi (virtualmente e fisicamente) e confrontarsi, sia per mappare e conoscere la pluralità di servizi autorganizzati, parte di un welfare collaborativo di una città di prossimità, sia per far emergere le criticità nella gestione degli spazi che spesso si scontrano nella quotidianità con regolamentazioni obsolete e rigide che non accompagnano il cambiamento. Ad aprile 2021 è stato presentato al Comune di Milano e alla città “Gli spazi ibridi di Milano. 1 Manifesto, 1 questionario, 1 mappa per la città a 15 minuti”. L’ascolto del sindaco Beppe Sala ha portato alla costituzione di un tavolo tecnico e un altro politico inter-assessorile, che ha coinvolto l’assessorato alla Cultura, all’Urbanistica, al Commercio e Politiche del Lavoro, al Welfare, alla Partecipazione. A settembre 2022 è arrivata la prima delibera nazionale (N. 1231 del L 24/09/2021) grazie al Comune di Milano che riconosce gli spazi ibridi e definisce le “Linee di indirizzo per l’istituzione in via sperimentale di un elenco qualificato di luoghi di innovazione socioculturale nella città di Milano denominato “Rete spazi ibridi. Il 4 febbraio 2022 il Comune di Milano ha promosso il primo bando “Elenco qualificato Rete spazi ibridi della città di Milano”, una mappa di chi fa innovazione socioculturale nel capoluogo lombardo. Nel lungo weekend dal 7 al 10 aprile si proseguirà il percorso avviato.

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Paola Pierotti
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