07-10-2020 Francesco Fantera 5 minuti

Recovery Plan e sviluppo urbano: i piani di governo, comuni e province

Come usare le risorse in arrivo dall’UE per rilanciare le nostre città? Il punto al Festival dell’Asvis

«I fondi europei che arriveranno nel prossimo triennio dovrebbero essere utilizzati per rigenerare le nostre scuole e mandare così un forte messaggio alle generazioni future»
Michele de Pascale

Dalla digitalizzazione all’economia green, dalla transizione energetica alla lotta contro le disuguaglianze. Argomenti già attuali ad inizio anno, quando la pandemia ancora non era tale, e che proprio a causa del Covid-19 sono ormai entrati definitivamente nel dizionario collettivo. Nonostante ciò, raramente si affronta la questione di come gli enti locali possano collaborare per realizzare un piano organico utile a mettere in pratica le azioni decise a livello governativo e che, necessariamente, si devono tradurre in azioni concrete. Un cortocircuito che il Festival dello sviluppo sostenibile 2020, evento promosso dall’Asvis (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) ha provato a risolvere invitando allo stesso tavolo città, province e governo. Il tutto alla vigilia della presentazione da parte dell’esecutivo del Pnrr (Piano nazionale di rilancio e resilienza) su cui ottenere i finanziamenti dell’UE attraverso le risorse del Recovery Fund.

Il quadro. Come noto, entro il 2030 si calcola che circa il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle aree urbane. Traducendo i numeri, significa che 2 miliardi di abitanti si sposteranno nelle città nei prossimi 10 anni. Elemento, questo, che permette di capire la centralità degli enti locali che svolgeranno un ruolo fondamentale per l’attuazione delle politiche e la mobilitazione delle comunità. Il principio di sussidiarietà fra i livelli amministrativi rappresenta infatti un veicolo fondamentale per cambiare il modello di sviluppo verso la sostenibilità e la resilienza del costruito. Partendo da questi presupposti e con l’obiettivo di dare un contributo concreto, l’Asvis ha proposto un pacchetto di investimenti che prevede l’utilizzo di quasi tutti i 209 miliardi previsti per l’Italia dal piano della Commissione Europea conosciuto come Recovery Fund. Tre i pilastri su cui poggia la strategia: transizione verde (143 miliardi), trasformazione digitale e innovazione (54,7 miliardi), sanità e lotta alla povertà (27 miliardi) da finanziare rispettivamente con 143, 54,7 e 27 miliardi per un totale di 201,7 miliardi di euro in 10 anni.

Governo. A raccontare il punto di vista dell’esecutivo è il Ministro agli affari regionali, Francesco Boccia, impegnato in prima linea nel lavoro di mediazione fra le necessità dei territori e quelle di respiro nazionale. «Siamo in una fase in cui il cantiere è aperto. In un anno di lavoro abbiamo fatto della Conferenza Unificata un luogo di confronto permanente. Dopo aver protetto salute e vita – spiega Boccia intervenendo durante il Festival dello sviluppo sostenibile – oggi la storia ci chiede di costruire un percorso che incida sul prossimo decennio attraverso il Recovery Fund. Abbiamo obiettivi ambiziosi e come partito (Partito Democratico ndr) ci siamo spesi con un emendamento bocciato a inizio legislatura, che puntava ad anticipare al 2040 l’obiettivo della carbon neutrality. È necessario che gli indicatori Bes diventino vincolanti per le politiche pubbliche». Ma quale strumento potrebbe favorirne l’applicazione? «L’autonomia differenziata può rafforzare i territori consentendo alle amministrazioni di intervenire con efficacia su scuola, sanità, trasporto pubblico e assistenza. In riferimento alle proposte degli enti locali circa progetti finalizzati a ricevere un finanziamento attraverso il Recovery Fund, come approccio consiglio non di arrivare battendo cassa, ma di presentare piani come quello suggerito dall’Unione delle Province Italiane su un intervento di grande respiro di edilizia scolastica».

Province. Ad entrare nei dettagli è proprio il presidente dell’Upi e sindaco di Ravenna, Michele de Pascale. «I fondi europei che arriveranno nel prossimo triennio dovrebbero essere utilizzati per rigenerare le nostre scuole e mandare così un forte messaggio alle generazioni future. Il fenomeno dei Fridays for future è stato molto importante, ma i ragazzi una volta rientrati negli istituti trovavano edifici che sotto il profilo della sostenibilità sono un disastro. Inoltre – evidenzia de Pascale – un’operazione del genere andrebbe a sostenere il mondo delle costruzioni focalizzandone gli sforzi sulla sostenibilità. La sfida del futuro, infatti, non è tanto quella di essere green, ma di ridurre o azzerare l’impatto ambientale senza fare passi indietro su altri elementi di benessere. Facile enunciarlo, difficilissimo realizzarlo».

Città. Se è vero che un piano per le province andrebbe a generare effetti positivi in tutto il Paese, è nelle città metropolitane che si giocherà la sfida più impattante circa l’obiettivo di abbattere le emissioni di gas climalteranti. «L’emergenza ci ha fatto comprendere che per avviare una transizione energetica e ridisegnare la mobilità nelle nostre realtà urbane c’è bisogno di un cambiamento radicale» racconta Chiara Appendino, sindaca di Torino. «Certamente serve l’infrastruttura materiale, vedi le tante piste ciclabili già realizzate e quelle previste nel prossimo futuro, ma senza una cultura della sostenibilità diffusa non si riesce a esprimerne il potenziale. Noi a Torino abbiamo proposto un investimento di quattro miliardi per aumentare la lunghezza della metro esistente e arrivare in periferia, favorendone l’inclusione nel tessuto cittadino. Questo perché la sostenibilità deve essere sia ambientale che sociale».

Altra realtà che nei prossimi anni è chiamata ad affrontare importanti cambiamenti per riuscire a non perdere il treno dell’innovazione è Roma. «Siamo tutti d’accordo sulla linea green e digitale da seguire per uscire dalla pandemia, ma è fondamentale che tutte le istituzioni vadano nella stessa direzione» ribascie la sindaca Virginia Raggi. «Nel 2019 abbiamo acquistato un parco autobus nuovo ma sul mercato non c’era produzione di veicoli elettrici in grado di soddisfare la nostra richiesta. Se vogliamo anticipare la decarbonizzazione dobbiamo fare in modo che sia materialmente possibile. Nel nostro caso abbiamo proposto al governo un piano da 25 miliardi di opere pubbliche con cui si prevede, fra l’altro, un aumento poderoso della mobilità su ferro. Non solo la realizzazione della Metro D – spiega la Raggi – con il progetto che è attualmente in fase di revisione, ma anche il prolungamento delle linee esistenti, il completamento della linea C e nuovi collegamenti tramviari. A questo si aggiunge l’impegno per la rigenerazione del costruito con i progetti di reinvenTIAMO Roma. Infine, altra proposta è quella di creare un polo completamente elettrico dedicato alla logistica, tema che spesso in Italia viene dimenticato».

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Francesco Fantera
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