12-01-2022 Paola Pierotti 4 minuti

Enrico Molteni: tenacia e tanta ricerca per rendere possibile la progettazione

Bilancio parzialmente positivo: mancano opportunità, dare voce all’architettura di valore

Un magazzino automatizzato, in una zona industriale lungo la superstrada SS36, che collega Milano a Lecco e alla Valtellina. La Warehouse di Verano Brianza è l’ultima opera realizzata dall’architetto Enrico Molteni: un addendum ad uno stabilimento esistente, per definire la nuova immagine dell'azienda. Un sistema modulare di pannelli in policarbonato alveolare a tutta altezza, evitando giunti orizzontali, e facilitando il cantiere. Un’architettura ridotta al minimo, essenziale, dove la luce riflessa diventa l’unica presenza animata di giorno; di sera invece l’architettura parla e si mostra con lo scheletro del muro-magazzino illuminato. Il committente è Vismaravetro. Enrico Molteni, classe 1968, rappresenta una generazione di professionisti che ha optato per la cura di uno studio di piccole dimensioni, con gavetta all’estero (nel caso di Molteni nello studio di Elias Torres a Barcellona), partecipazione costante ai concorsi (più di un centinaio) e tanta ricerca, anche con una cattedra all’Università di Mendrisio per alcuni anni (sul sito dello studio nell’area academic è disponibile una serie di pubblicazioni tematiche). 

Architetto, com’è nato il progetto della Warehouse?

C’era un progetto di massima, poi il costruttore ha segnalato al committente la mia disponibilità a portarlo a termine. Ho proposto una nuova collocazione e uno studio architettonico integrato, entrando in un'ottica industriale e produttiva, funzionale e pratica, riducendo a zero ogni intenzione di progetto che non avesse un senso industriale (sia funzionale che di immagine dell'azienda).

Nel suo portfolio sono numerose le abitazioni private. Qual è il target del suo committente-tipo?

Ho firmato 14 progetti, di cui 5 sono realizzati. A questi si aggiungono diversi interventi di ristrutturazione. I miei clienti non sono persone molto ricche, sono molto normali con budget e cultura standard (dell’ordine dei 1.800 euro/mq). In un paio di casi, con clienti stranieri abbiamo fatto i conti con una committenza con cultura e budget più alti della media. 

Come nasce l’incontro con i clienti?

Mi cercano con il passaparola, conoscenze, solo in un caso grazie alle pubblicazioni (Casabella nel caso specifico). 

In 20 anni di lavoro, si contano 40 scuole progettate dal suo studio. Quale riflessione dal suo osservatorio su questa tipologia che da qualche anno è sotto i riflettori a scala nazionale? 

Tutti i nostri progetti sono nati da concorsi, solo due ad inviti, gli altri erano anonimi e internazionali. Abbiamo realizzato solo una di queste, con un project financing, per nulla attinente al progetto nato dal concorso. Un’altra scuola è di prossima realizzazione con un committente pubblico-privato a Parma, nel campus dell'università.

Dal mio osservatorio, le criticità in Italia su questo fronte sono legate al fatto che il dm 1975 ancora in vigore è in contrasto con le linee guida Miur e con tutti gli studi sulla pedagogia innovativa. Non solo, il sistema concorsi rimane arretrato, basta ricordare che il Codice degli appalti considera la progettazione come una fornitura. E si aggiungano le criticità legate alle qualifiche delle giurie.

In generale, il suo bilancio di vent’anni di architettura sul campo in Italia?

Solo parzialmente positivo: mancano occasioni di lavoro e di incontro con committenze adeguate. E soprattutto, è troppo pesante la difficoltà di riuscire a portare in cantiere i progetti, dopo la vincita dei concorsi. In Italia si sta disegnando una mappa con grandi studi (le classifiche Guamari li analizzano per i loro fatturati), nelle prime file alcuni si distinguono per una spiccata vena commerciale. 
Oggi in Italia per me l'architettura di valore non esiste, se non nelle piccole o piccolissime realtà, che proliferano ovunque, in ogni generazione, ma che non hanno adeguato spazio e possibilità di lavoro. In Italia sono tanti gli studi, come nel mio caso, composti da poche persone: da 2 ad un massimo 8-10 persone (se i soci sono tanti e se si considerano anche gli stagisti) e dal mio punto di vista il progetto ideale è quello possibile, quindi nessun target specifico: non c’è scala di progetto accessibile ad alcuni e ad altri no.

Una strada in salita, ma ai giovani professionisti cosa si può dire?

Non mollare mai, lavorare sodo, non solo per loro stessi o per i loro committenti, ma soprattutto per il bene dell'architettura (come diceva Mies).

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Profili e interviste di thebrief 

Asti Architetti 

Giulia De Appolonia 

Mobility in Chain

Marazzi Architetti

Btt Studio – Archliving

In copertina: la Warehouse, progetto di Luca Molteni per Vismaravetro

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Paola Pierotti
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