Ance: La rigenerazione urbana? La grande assente del Dl Semplificazioni

15-07-2020 Chiara Castellani 3 minuti

I costruttori commentano il Disegno di legge e ricordano i 10 anni di vani tentativi

Preoccupa fortemente la decisione di eliminare le gare invece di tagliare le procedure a monte. È lì che si annida il ritardo nel 70% dei casi.

«Oggi servono più di 30 documenti da allegare alle domande che precedono l’ottenimento dell’autorizzazione a costruire, a causa dell’elevato numero di obblighi imposti dalla normativa statale, regionale e comunale». Con questo esempio l’Ance (Associazione Nazionale Costruttori Edili) spiega le criticità e l’urgenza di una reale semplificazione e sburocratizzazione da anni richiesta dal settore dell’edilizia. Un obiettivo, quello dello snellimento delle procedure che sembra concretizzarsi (almeno in parte) nel nuovo Dl Semplificazioni che, ad una settimana dall’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, uscito con la formula “salvo intese”, ha raggiunto nella sua forma definitiva i 65 articoli ed è in attesa della “bollinatura” alla Ragioneria dello Stato. 

Nei giorni immediatamente successivi la pubblicazione del Dl, l’Ance ha organizzato l’evento Il coraggio di semplificare: un confronto partito da una panoramica degli ultimi 10 anni, durante i quali i vari governi che si sono succeduti – in tutto sette esecutivi con diverse maggioranze – hanno tentato di metter mano alla normativa. Questa volta per il presidente Ance nazionale, Gabriele Buia occorre «evitare il continuo rimando a decreti attuativi che non fanno che ritardare l'entrata in vigore delle norme che spesso rimangono lettera morta».

«Basti pensare – continua Buia – che ad oggi tra i governi Conte I e Conte II, si contano ben 570 decreti da attuare». 

A fare le spese di tutto questo sono il settore privato e le città. Spiega Filippo Delle Piane, vicepresidente Ance nazionale «si fa a presto a dire semplificare. Molto meno a farlo. Ogni qualvolta, anche in passato, si è pensato di aver introdotto delle semplificazioni normative e procedurali, poi alla prova dei fatti ci si è accorti che nulla era cambiato in meglio, semmai il contrario. Nel caso del settore privato questo paradosso è ancora più evidente. Tre livelli istituzionali, spesso in conflitto tra loro, legiferano con grandissime differenze tra un territorio e l’altro. Una prassi ormai consolidata che determina non solo stratificazione normativa difficile da dipanare anche per i più fini giuristi, ma anche una disomogeneità applicativa che rende impossibile la vita delle nostre imprese e dei cittadini. A farne le spese sono le nostre città, che allo stato attuale sono immobili». 

Ancora, per Buia, dopo questi 10 anni di tentativi è arrivato il momento di non perdere più l’occasione «il decreto semplificazioni contiene norme condivisibili come la revisione dell’abuso d’ufficio e del danno erariale per contrastare la burocrazia difensiva. Ma preoccupa fortemente la decisione di eliminare le gare invece di tagliare le procedure a monte. È lì che si annida il ritardo nel 70% dei casi. Occorre sfoltire quella selva di pareri, valutazioni e procedure che non si sono mai riuscite a tagliare. E poi manca un progetto sulle città. Ancora una volta le grandi assenti di ogni progetto di rilancio del nostro Paese». 

Edoardo Bianchi, vicepresidente Ance nazionale, ritiene fondamentale che chi legifera riesca a riportare la propria attenzione sui cittadini e sugli imprenditori per avere poi più chiaro il quadro d’intervento. Si correrà altrimenti il rischio di avviarsi verso una “guerra fra poveri” poiché «il mondo privato non sarà più in grado di mantenere un mondo pubblico sempre più autoreferenziale e scollegato dalla realtà». Serve riavvicinarsi agli abitanti e alle imprese anche per il Segretario generale alla Presidenza del Consiglio dei ministri Roberto Chieppa, il quale auspica che «questo provvedimento possa contribuire a un cambio culturale nella burocrazia italiana». 

Infine, una spinta verso la semplificazione può arrivare cominciando a lavorare su alcuni punti chiari, come da proposta del professor Sabino Cassese, Giudice emerito della Corte costituzionale. Cassese ne delinea sette: «Occorre operare sulla legislazione che in questi anni è stata troppo ambiziosa; eliminare gli incentivi al non fare; ridurre i decisori, i centri di decisione; riportare i tecnici nella Pubblica amministrazione; riordinare le sequenze decisionali dell'amministrazione; semplificare la contrattazione pubblica; dato che Palazzo Vidoni (sede del Ministro per la Pubblica Amministrazione, ndr) c'è un ufficio per le semplificazioni, valersi del patrimonio che lì è stato raccolto». 

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Chiara Castellani
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